Il sistema del guardaroba maschile comprende molte regole e moltissime eccezioni, dovute all’evoluzione delle professioni, della tecnologia e del gusto. L’abito è ancora la tenuta più appropriata per il professionista, ma a seconda di struttura, tessuto e abbinamenti il completo può essere più consono per un appuntamento informale che per una riunione decisiva. La costruzione delle spalle, il tipo di tasche e l’abbottonatura serviranno da mappa interpretativa. Se la giacca resiste e prende una diversa connotazione a seconda di struttura e dettagli, la camicia può liberarsi dal collo (e diventare coreana) oppure, all’occasione, essere sostituita da una polo, i pantaloni concedersi il vezzo di nuove linee (specie per il viaggio) e fantasie, i giubbotti diventare un investimento multistagionale. Poi c’è il capospalla, declinato nella sua forma più elegante, il cappotto, ma che a seconda della stagione o dell’estro, può essere sostituito da trench, mantelle e impermeabili cerati. Nella praticità di alcuni classici, come la utility jacket o la sahariana, sta anche la sua eleganza: rende più fluidi i gesti di chi le indossa, lo solleva da impicci, portando la nonchalance anche “sul campo” o durante un viaggio movimentato.
1. UNO STILE SMART
La cosa più difficile da fingere è l’intelligenza. Una prova lampante è il dress code smart, un informale intelligente, che ha creato un paradosso: invece di imporre una nuova regola (uno stile proprio né casual né formale), ha decretato di fatto la convivenza della regola con l’eccezione (cioè capi tipici dello streetwear con pezzi formali), con ciò permettendo a diversi individui di dar prova di pochissima intelligenza e molto cattivo gusto.
Il ritorno dell’eleganza, dell’abito, del tre pezzi, dell’intero, restituisce al mondo maschile dei canoni che nella loro fermezza sono comodi e sicuri. Il completo è giovane, disinvolto, è un workwear, almeno per certe professioni, ma non guasta in contesti non strettamente professionali, specie se indossato come una seconda pelle.
All’educazione professionale e a quella nel vestire è dedicato uno scambio di battute tra il socio di uno studio di avvocati americani e il suo giovane assistente, tratto da una scena dell’episodio pilota della serie televisiva Suits. Nel dialogo, l’avvocato affermato allunga al giovane praticante il biglietto da visita del suo sarto, intimando al sottoposto «di andare a suo nome e spendere un bel po’ di soldi».
Gli abiti sono talmente cruciali, per rendere reale questa finzione, da dare addirittura il nome alla serie, ma il risvolto più interessante è l’apprendistato a 360 gradi del nuovo arrivato che impara (oltre agli stratagemmi della professione) che cosa significhi investire in un ottimo abito. La prima visita dal sarto, con bicchiere di scotch in mano, finisce in un nulla di fatto. I prezzi sono ancora esagerati, per lui. Ma il ragazzo ha toccato e valutato certi tessuti e pregustato il piacere di avere una “stanza tutta per sé”.
Per cancellare la deferenza del giovane rispetto all’abito, moltissimo può fare la scelta strutturale della giacca e di materiali performanti: quando l’abito è destrutturato, letteralmente privo di armature, è più rilassato, più morbido. Quando è sfoderato, è metamorfico, si può piegare e mettere in una sacca e rimane perfetto.
Ognuno speciale per una costruzione o per il tessuto scelto, i completi a cui ci riferiamo hanno, però, tutti un dettaglio comune: sono monopetto a due bottoni (soltanto quello più in alto deve essere allacciato, lo si dice a uso di apprendisti immaturi). Questo è il tipo di abito che il giovin signore deve appendere nella stanza tutta per sé. L’eccezione? La giacca a un petto e mezzo, magari in un colore avana, meno formale, eppure elegantissima e versatile.
*L’ABITO PER L’UOMO È UNO STRUMENTO
DI LAVORO E DI DEFINIZIONE SOCIALE:
AL PROFESSIONISTA DÀ SICUREZZA,
A CHI LO INCONTRA MOSTRA IL GRADO
DI RISPETTO DEI CANONI E DISINVOLTURA
Partiamo da un caposaldo: l’abito rimane l’abbigliamento perfetto per il lavoro; se è blu si può utilizzare anche per le cerimonie, ma non sarà mai elegante come uno spezzato. Quest’ultimo, per diversi anni, è stato appannaggio di una certa generazione – giacca blu e pantaloni grigi per intenderci – ma ora torna in auge anche grazie a giacche non anonime, come quelle operate, con micro fantasie o trame in rilievo. Non c’è via di mezzo; un tessuto leggero, una lavorazione fine e un colore scuro per la sera, e un tessuto a trama più spessa per il casual. Niente ufficio.
La giacca monopetto operata risulta più facile rispetto al doppiopetto. Si può mettere sempre, con la camicia o una T-shirt. Sta bene a tutti, si sposa meglio con un paio di pantaloni tinta unita e in colore diverso. Il doppiopetto, di contro, è più glamour nelle occasioni casual e dona maggiormente a chi è longilineo. Esistono, poi, le versioni costruite o destrutturate e questa dicotomia si ritrova anche nella giacca operata. Dipende tutto da stoffa e taglio. Capi in jersey o in tessuto morbido sono preferibili poco costruiti, e di taglie comode, per evitare l’effetto stretch.
È una giacca semplice da comprare e indossare, ma un minimo di attenzione agli abbinamenti è importante. Per il tempo libero si può accompagnare elegantemente a una polo, un paio di chinos e di sneaker. Un accostamento interessante ed elegante è quello della giacca in lana e cotone fantasia in microcheck, con toppa sul gomito in tessuto: il look di un moderno dandy. E la cravatta? Qui sta la grande sorpresa: abbinata a una giacca operata, può trasformare il casual in glamour. Cravatta liscia, sottile e tendenzialmente tinta unita; non consigliabili invece cravatte in lana o all’uncinetto: per gli abbinamenti “chiamati” c’è sempre tempo.
I colori sono i classici: per la primavera sono perfetti beige e bruciato, oltre al blu. Un grande evergreen ripreso è lana blu a motivo spigato tono su tono.
L’abbinamento con T-shirt o camicia dipende sempre dalla giacca e, se è decostruita, niente cravatta.
Quando si acquista una di queste giacche bisogna guardare due cose fondamentali: le tasche e il girospalla. Sono i due dettagli che rendono un capo più o meno formale. Le tasche applicate sono tipiche da giacca casual.
Ci sono, poi, le eccezioni, piccoli capolavori che possono non stare alle regole. Tutto è nel girospalla, che riesce a rendere formale una giaccia decostruita e con tasche applicate.
La giacca operata non è per il lavoro, a meno di non organizzare incontri a un tavolo di un cocktail bar. In questo caso, il drink da giorno saprà stimolare qualsiasi grande progetto.
*IL MONOPETTO È PIÙ FACILE DEL DOPPIOPETTO
2. SOTTO LA GIACCA
| LA CAMICIA CON COLLO ALLA COREANA |
Tot capita, tot sententiae. Tot colletti. Il colletto, più che la camicia, esprime l’uomo. A seconda della forma, dell’apertura delle punte e della loro rigidità offre una diversa formula e con ciò indica la direzione prevalente dello stile: formale, solenne, operativo, rilassato.
Ne esistono diverse tipologie: ognuno sottende una pertinenza. Quello ad alette è da smoking o cerimonia e si sposa al farfallino. Quello Club, a punte arrotondate, adottato nel periodo della Belle Epoque (ne è sintomo la linea curva), usato da studenti inglesi e americani, esiste in versione rigida (più formale) o morbida. Dopo il noto botton-down con punte più o meno spioventi, ci sono ancora il francese e i due tipi di italiano: la differenza sostanziale sta nell’apertura delle ali che nel francese risulta più ampia; altra distinzione sta nella lunghezza delle punte: più allungata (nell’italiano), media (nel semi italiano) e corta (nel francese).
Il coreano è quello dalla fisionomia più singolare: totalmente privo di punte, è il portato, come presumibile, di una diversa appropriazione culturale, arriva dall’Asia, come collo alla mandarina, comunemente detto alla coreana. Sebbene fosse indossato da funzionari imperiali cinesi (i Mandarini), nella più moderna formula di divisa quotidiana, uguale per tutti, pratica e non costrittiva, il collo coreano definisce un ambito casual, perché implica l’assenza di cravatta e metaforicamente di dinamiche di potere.
Se l’ambiente di lavoro è disinvolto (casual friday) può essere indossato anche da professionisti pre weekend. Si tratta di camicie con collo di pochi centimetri, nella versione contemporanea privi di rigidità strutturale, per cui la senzazione di rilassatezza è dominante. Può essere curioso scoprire che coreano è uno dei possibili nomi di questo colletto, che vanta affiliazioni geografiche diverse. In America, per esempio, lo chiamano “Grandad collar”, collo del nonno. Un collo “verticale” che dalle divise operaie degli anni Venti si estese a quelle militari, specie della Seconda Guerra Mondiale. Altri indicano questo colletto con l’appellativo di “guru”. E qui si incontra l’altro filone di influenza orientale della camicia alla coreana, la tunica indiana indossata da personalità carismatiche e guide spirituali.
Pur nelle differenze, vale per tutte un disegno ispirato a linearità, pulizia e leggerezza. Rimangono distinzioni di materia, fantasia, abbottonatura che possono fornire anche una guida all’utilizzo: collo rilassato e tessuto chambray, per un casual formal, a righe verticali in lino per il tempo libero. Il bianco è una scelta quasi artistica e dota chi lo porta di un’aura magnetica: da indossare al vernissage della propria antologica.
Il denim solo per il tempo libero? Un concetto superato: il casual formal sta conquistando terreno. Frutto di due tendenze che si incontrano. Da un lato, l’abbigliamento formale tende a essere meno impettito, per comunicare senso pratico e valore aggiunto (qualità che, chi non è sicuro di avere, potrebbe essere tentato di controbilanciare con uno stile in pompa magna). Dall’altro, il tessuto jeans oggi è impiegato anche per camicie di taglio classico. E, se è morbido, veste sotto la giaccia come il jersey: scompare, cade in modo naturale e offre un’immagine elegante, ideale per appuntamenti di lavoro tra pari (soci, colleghi, alleati).
Questo spostamento verso la dimensione dell’utile, riguarda anche altri oggetti tipicamente formali, come le stilografiche: nelle riunioni di affari, anche veramente importanti, le penne d’oro o palesemente costose sono sempre meno in voga, soppiantate dalle comuni Tratto Pen, adatte per essere usate, prestate, portate via o dimenticate.
Il denim è in linea con questa tendenza. Dopo la sovraesposizione degli anni Settanta e Ottanta, nei quali il tessuto jeans costituiva l’intero guardaroba (pantaloni, camicie, giubbotti), la camicia di jeans – quella da rodeo – è stata mantenuta viva dagli americani, che l’hanno sempre indossata con piacere, per lanciare al mondo un messaggio rivoluzionario: la moda passa non solo da Milano e Parigi, ma anche da Austin, Texas. Il suo pensiero è stato raccolto solamente dai più glamour (o da chi non era ancora uscito dagli anni Ottanta), mentre gli altri hanno preferito altri capi, come una camicia bianca oppure un girocollo blu. Ma ora, come abbiamo già visto, stanno volgendo al termine del loro dominio, e presto saranno viste come qualcosa di molto monotono. Verranno sostituite da quelle di jeans, oltre che da quelle a stampa e da quelle in ...