Nel cuore delle storie
Diego Matteucci
È opinione comune che la maggior parte degli adattamenti cinematografici o televisivi tratti da romanzi o racconti di Stephen King, in genere, si discostino notevolmente dalle storie del Re, con risultati spesso anche molto deludenti. Quando, invece, le storie di King sono tradotte per il grande schermo dal regista e sceneggiatore Frank Darabont, diventano dei capolavori. Basti pensare a Le ali della libertà (The Shawshank Redemption) del 1994, film che ha portato al grande successo lo stesso Darabont, per non parlare de Il Miglio Verde (The Green Mile) del 1999 e The Mist del 2007.
Che cosa differenzia quindi l’operato di Darabont da quello di altri sceneggiatori o registi che si sono cimentati in alcuni adattamenti della narrativa kinghiana? Una prima risposta a tale quesito può essere tratta da una delle numerose interviste rilasciate dallo stesso Darabont, in cui afferma: «Credo che, in molti casi, le persone che girano quei film non riescano semplicemente a vedere oltre i mostri e il sangue; quelle stesse cose che fanno eccitare gli uomini del marketing.»30
Come si vedrà di seguito, il rapporto lavorativo tra lo sceneggiatore-regista e lo scrittore del Maine (per quanto abbia ottenuto ampi e numerosi consensi), non è stata l’unica occasione in cui Frank Darabont ha fatto conoscere il suo estro creativo. Sicuramente la più famosa in ordine cronologico è quella di essere stato lo showrunner della serie televisiva The Walking Dead,31 scrivendo e dirigendo l’episodio pilota e sceneggiandone altri due. Ma se si torna indietro di qualche anno, i copioni di film come Nightmare 3: I guerrieri del sogno (A Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors, 1987), Blob – Il fluido che uccide (The Blob, 1988), La mosca 2 (The Fly II, 1989), Frankenstein di Mary Shelley (Mary Shelley’s Frankenstein, 1994), solo per citarne alcuni, portano tutti la firma di Frank Darabont.
In questo capitolo si analizzerà pertanto il Darabont sceneggiatore, partendo dai suoi esordi con The Woman in The Room del 1983, fino ai film più recenti, cercando di individuare un filo conduttore tra le sue varie opere.32
The Woman in The Room (1983)
“La donna nella stanza” (“The Woman in The Room”) è un racconto breve di Stephen King tratto dalla raccolta “A volte ritornano” (1978) pubblicato in Italia nel 1981.33 Si tratta di uno dei pochi racconti inediti dell’antologia, in quanto la maggior parte degli altri erano già stati pubblicati in alcune riviste americane.
La storia narra di un uomo e del suo senso di colpa verso la propria madre malata di cancro in fase terminale, senso di colpa che nasce dal prendere coscienza che l’unico modo per alleviare le sofferenze del genitore è quello di praticare un’eutanasia. Lui è un alcolizzato, ha una moglie assente e un fratello lontano che “non riesce” a trovare il tempo per far visita alla madre morente. È quindi solo, con un flacone di pillole in tasca che prima o poi farà assumere alla madre. Dal canto suo la donna è bloccata in un letto d’ospedale, non riesce quasi più a muoversi, perché ha subito un intervento chirurgico al fine di alleviarle il dolore; non ha più il senso del tempo ed è ridotta pelle e ossa.
Nel 1980 Frank Darabont chiese a Stephen King, tramite una lettera, di poter adattare “La donna nella stanza” in un cortometraggio. King accettò di cedergli i diritti per il simbolico costo di 1 dollaro: fu l’inizio del famoso contratto chiamato “Dollar Baby”, o anche “Dollar Deal”.
Dagli anni ‘80 ad oggi, sono decine e decine i racconti di Stephen King adattati in cortometraggi attraverso il Dollar Baby. Non per ultimo, ma per la prima volta in Italia, nel 2016, anche con il corto Nona di Massimo Volta,34 tratto dall’omonimo racconto di King facente parte della raccolta “Scheletri” del 1985.
«Ho letto il racconto parecchi anni fa e mi aveva subito affascinato – c’erano il mondo di King, la sua Castle Rock, il suo Maine e i suoi fantasmi, ma nel contempo era una storia d’amore. Mi ha ricordato Badlands di Terrence Malick come atmosfere, lo immaginavo in un’America anni ‘70. Adattarlo non è stato semplice soprattutto per questioni di budget: la storia originale è ambientata durante una gran nevicata e, dal momento che la neve è produttivamente molto difficile da realizzare in modo credibile, abbiamo scelto di ambientarlo durante una estate torrida. Per non perdere quel “personaggio in più” che era il freddo abbiamo usato il suo esatto opposto.
Per il resto la storia è fedele, tranne il finale che abbiamo esteso e il flashback con Ace Merrill che abbiamo accorciato.»35
Con una produzione così vasta di cortometraggi è lo stesso King alla fine degli anni ‘90 ad ammettere che «molti di questi adattamenti non sono stati molto buoni […] ma di sicuro, La donna nella stanza, è il miglior cortometraggio tratto dal mio materiale.»36
Frank Darabont impiegò tre anni, dal 1980 al 1983, per la realizzazione di questo lavoro. Il film si apre con una lunga carrellata della casa della madre del protagonista: suppellettili, oggetti personali, tutto antiquato ma in perfetto ordine, come se si stesse osservando il museo di una donna che non c’è più. Poi l’inquadratura si sofferma sul protagonista stesso, che apre la piccola specchiera del bagno e si mette a rovistare tra i flaconi di medicinali, gettandoli alla rinfusa nel lavandino, finché non trova delle pillole. La sequenza continua nei corridoi dell’ospedale e infine nella stanza occupata dalla madre. Dopo queste scene è possibile individuare una delle prime tre differenze fondamentali tra il lavoro di Darabont e il racconto di King, ovvero l’introduzione di una sequenza in cui il protagonista, che svolge la professione di avvocato, si trova in un carcere e ha un colloquio con un suo cliente, detenuto.
La seconda differenza è rappresentata da una sequenza horror, anche questa assente nel racconto di King, in cui il protagonista sogna il corpo della madre in decomposizione che lo insegue per i corridoi dell’ospedale su una sedia a rotelle. Darabont in un’intervista rilasciata nel febbraio del 2007 ha sottolineato l’apprezzamento di King per questa sequenza: «[…] (Stephen King) ha amato questa sequenza! Hey, date a Steve un corpo in decomposizione ed egli sarà vostro amico per tutta la vita.»37
In un’altra intervista, dove Frank Darabont fa notare come in molti adattamenti delle storie di King lo sviluppo dei personaggi e la storia vengano tralasciati in favore di alcuni elementi horror, l’intervistatore gli chiede se non si senta anche lui colpevole di aver inserito una scena horror in La donna nella stanza, che addirittura non era presente nel racconto originale. E lo sceneggiatore controbatte: «Già, penso di sì. Quanti anni avevo quando girai quel film? Ventuno? Amico, sono passati vent’anni… credo di aver scritto quella scena perché non volevo che fosse solo un film di mezzibusti. Voglio dire, si trattava di questo soprattutto: personaggi che per trenta minuti se ne stanno seduti a parlare. Sentivo solo che a quel punto avevo bisogno di qualcosa in più.»38
Eppure questo “qualcosa in più” non sembra buttato lì a caso, così come il finale del cortometraggio, in cui è rinvenibile la terza fondamentale differenza rispetto al racconto di King. In quest’ultimo infatti la scena dell’eutanasia, rappresentata dall’assunzione delle famose pillole da parte della madre, avviene nella passiva indifferenza di quest’ultima. Nel cortometraggio di Darabont, invece, il consenso a tale atto viene trasmesso allo spettatore attraverso lo sguardo pieno di tristezza ma anche di sincero ringraziamento della madre che sente che il suo calvario sta per finire.
Nei primi anni ‘80 la vita privata di King non era certo così conosciuta al grande pubblico quanto lo fu poi in seguito alla pubblicazione nel 2000 del saggio On Writing – Autobiografia di un mestiere (On Writing), dove lo scrittore, oltre al mestiere dello scrivere, racconta anche e in modo sincero circa la propria dipendenza da alcol e droghe, problema superato alla fine degli anni ‘80 grazie all’intervento della famiglia e degli amici. Alla luce di ciò è facile accostare il racconto La donna nella stanza ad alcuni aspetti autobiografici di King: «Mi ubriacai la prima volta nel 196639 […].» E ancora: «Nel 1985 avevo aggiunto alla mia dipendenza dall’alcol quella della droga40[…] Alla fine delle mie avventure bevevo una cassa di lattine da mezzo litro ogni sera41[…].» E quello che accadde alla madre, ma soprattutto come King si comportò in quel frangente: «Nell’agosto del 1973 […] a mia madre fu diagnosticato un tumore all’utero. […] La fine arrivò nel febbraio del 1974.»42 E poi: «La sera prima ero ubriaco, ma i postumi erano blandi, e questo è un bene. Nessuno vuol essere troppo sbronzo davanti al letto di morte della propria madre.»43 E infine: «Mia madre fu sepolta vicino alla Congregational Church a Southwest Bend. […] Pronunciai io il discorso di commiato. Credo di essermela cavata bene, considerato quanto ero sbronzo.»44
Non è dato sapere quanto Frank Darabont conoscesse, per lo meno allora, della vita privata di King, certo è che se anche nel cortometraggio il protagonista non è un alcolizzato, la sintonia raggiunta in questo adattamento è veramente notevole; anzi, sembra addirittura spingersi più in là, perché negli occhi della donna, mentre il figlio le fa ingoiare una dietro l’altra le mortali pillole, oltre alla tristezza e alla riconoscenza, si potrebbe leggere anche il perdono verso il figlio. Un perdono che per il figlio stesso si trasforma in una catarsi nei confronti dei propri sensi di colpa, cosa che nel racconto King sembra non raggiungere, ma che Frank Darabont, nel cortometraggio La donna nella stanza, sembra aver realizzato in pieno. Ed è questo, forse, che anche lo scrittore del Maine ha provato guardando questa pellicola.
Nightmare 3: I guerrieri del sogno (1987)
Nightmare 3: I guerrieri del sogno è il terzo capitolo della saga creata nel 1984 da Wes Craven. Il film è stato diretto da Chuck Russell (Blob – Il fluido che uccide, The Mask, L’Eliminatore, Il Re Scorpione). Frank Darabont scrisse la sceneggiatura di questo film apparentemente assieme a Wes Craven, Bruce Wagner e allo stesso Chuck Russell, anche se come verrà spiegato più avanti, le cose non andarono esattamente così.
Fu proprio ...