Garibaldi
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Garibaldi

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Informazioni su questo libro

Il celebre scritto di Francesco Crispi qua riportato riunisce il suo Profilo di Giuseppe Garibaldi apparso in "Nuova Antologia" (giugno 1882) e il suo Discorso improvvisato al Teatro Brunetti di Bologna, per invito del Circolo Universitario Vittorio Emanuele (1° giugno 1884), nel secondo anniversario della morte dell'Eroe dei due Mondi. In questa edizione il testo è stato lievemente e prudentemente attualizzato nella forma.

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Informazioni

DISCORSO

Improvvisato al Teatro Brunetti di Bologna, per invito del Circolo Universitario Vittorio Emanuele il 1° giugno 1884

Signore e Signori ,
io non so se debbo ringraziare più il Circolo universitario il quale mi volle onorare dell’incarico di commemorare Giuseppe Garibaldi, o questo eletto uditorio che non mi attendevo.
Io credevo che sarei venuto a fare una conferenza ai giovani dell’Università; trovo invece tutto un popolo innanzi a me.
La conferenza per la sua modestia, parrebbe inferiore a un discorso che converrebbe tenere innanzi a voi.
Il popolo di Bologna per me è stato uno dei più simpatici dell’Italia.
Non dimenticherò, signori, quello che fu fatto da questa eroica città nei momenti terribili in cui il governo del prete, baldanzoso delle baionette austriache, insolentiva su voi, e come voi più di una volta tentaste di rompere le catene che vi tenevano nella schiavitù.
Non dimenticherò che in questa città sorse il primo Ateneo scientifico del mondo, che qui fu la sede del diritto, e che innanzi ai vostri giureconsulti si inchinavano reverenti gli imperatori di Germania, quando anche erano padroni del paese nostro.
Comprenderete dunque con quale animo io debba parlare, e come sia titubante al pensiero se potrò riuscire a soddisfare le vostre legittime esigenze.
Oggi, signori, è la festa dell’unità nazionale; domani sarà l’anniversario della morte di Garibaldi.
Ben fecero gli studenti nell’aver voluto commemorare il luttuoso anniversario in questo giorno sacro alla patria, alla quale è indissolubilmente legato il nome dell’Eroe.
La festa dell’unità nazionale ricorda a tutti noi che lo Statuto di Carlo Alberto, promulgato spontaneamente al 1859 e al 1860 dai governi insurrezionali, fu completato dai plebisciti. Con essi sorse e si consolidò il nuovo giure pubblico italiano, contemperandosi il diritto regio col diritto popolare, l’autorità di Vittorio Emanuele colla volontà di Garibaldi, il quale fu ai tempi suoi la vera personificazione del popolo.
(Applausi)
E poiché dovrò parlare di Garibaldi, che potrò dire di lui che voi non sappiate?
Nei due anni che sono corsi dopo la morte dell’Eroe, furono scritti su lui opuscoli e libri di ogni genere. È possibile, signori, che la sua vita sia una miniera non esaurita, e che io possa dirvi cose nuove, e dipingere con nuovi colori la figura dell’uomo che ha tanto operato per la patria?
È possibile che io vi parli convenientemente e come si deve dell’uomo innanzi al quale si inchinarono reverenti popoli e principi?
Garibaldi a 25 anni fu affigliato alla Giovane Italia e si fece cospiratore; a 27 anni fu proscritto.
Presa la via dell’esilio, si rivelò grande ammiraglio e potente capitano. Al 1860 quando compì l’impresa di Sicilia, si scoprì ch’era in lui la mente del legislatore.
I suoi storici non hanno saputo dirci dove abbia fatto gli studi; quale Università abbia frequentato, in qual collegio militare, in quale istituto di marina abbia appreso l’arte della guerra: e non lo potevano.
Dal 1837 al 1846, nelle libere terre di America, nei tempestosi flutti dell’Oceano egli apprese a combattere e a vincere. Ivi il suo genio si scoprì ai popoli attoniti, o l’eco lontana ripercosse sulla vecchia Europa, mentre la patria nostra era schiava, i plausi delle città redente dal valore italiano.
Garibaldi come matematico non ebbe rivali. Gli erano famigliari i nostri grandi poeti e i nostri pubblicisti.
Seppe la storia meglio di uno dei nostri accademici: e fu entusiasta di quella di Roma, i cui ruderi aveva visitato all’età di 15 anni, e n’era rimasto meravigliato.
Ai nostri giorni si osò dubitare che fossero sue alcune considerazioni di diritto pubblico internazionale, fatte al Parlamento subalpino, sol perché si era avvezzi a vedere in lui il marinaio e il soldato. Orbene, nell’aprile 1860, quando si preparava la spedizione dei Mille, Bixio e io lo trovammo collo Statuto in mano che commentava meglio dei professori emeriti delle nostre Università.
Allora l’animo suo era tutto compreso nella difesa della sua Nizza nativa che una crudele ragione di Stato aveva deciso di strappare alla madre Italia.
(Applausi prolungati)
Dissi che, presa la via dell’esilio, egli si è rivelato gran capitano e grande ammiraglio. Permettetemi, signori, che io accenni, senza estendermi, ai primi anni della sua vita militare, e che non vi narri in tutti i particolari quello che egli abbia fatto prima del 1860. A Montevideo e a Roma, in Lombardia, in Tirolo, e poi nei Vosgi egli non era signore di sé, altri esercitando l’impero e l’autorità nei paesi in cui ebbe a combattere.
La storia ricorderà le virtù del gran Capitano, la strategia, le risorse sul campo di battaglia, il coraggio col ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. GARIBALDI
  3. Indice
  4. Intro
  5. PROFILO
  6. DISCORSO
  7. Ringraziamenti