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La Pedagogia
Informazioni su questo libro
La Pedagogia trattata da Kant in questo volume è organizzata in diversi momenti: Introduzione, dedicata ai problemi di pedagogia generale; Educazione fisica (o naturale), dedicata alla dimensione strettamente fisica nonché a quella intellettuale; Educazione pratica (o morale), dedicata all'abilità, alla sagacia e alla moralità. Nella presente edizione la traduzione è stata lievemente e prudentemente revisionata.
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Informazioni
Argomento
PedagogíaCategoria
Teoría y práctica de la educaciónTRATTATO
15. La Pedagogia o scienza dell’educazione, si divide in fisica e in pratica. L’educazione fisica è quella che l’uomo ha comune con gli animali, e risguarda le cure della vita corporea. L’educazione pratica o morale (si chiama pratico tutto quello che si riferisce alla libertà) è quella che risguarda la cultura dell’uomo, perché costui possa vivere come ente libero. Quest’ultima è l’educazione della persona, l’educazione d’un ente libero, che può bastare a sé stesso e tenere il suo vero posto in società, ma che altresì è capace d’avere per sé un valore intrinseco.
Quindi l’educazione consiste: 1° nella cultura. scolastica o meccanica, che risguarda l’abilità; essa. pertanto è didattica (e sta nell’opera del maestro); 2° nella cultura prammatica, che si riferisce alla prudenza (e sta nell’opera del governatore); 3° nella cultura morale, e si riferisce alla moralità.
L’uomo ha bisogno della cultura scolastica o della istruzione, per mettersi in grado di conseguire tutti i suoi fini. Essa gli dà un valore come individuo umano. La cultura della prudenza lo prepara a diventare cittadino vero, dacché gli conferisce un valore pubblico. In questo modo egli impara a trar partito pei suoi fini della società civile e a conformare sé stesso a quelli sociali. Finalmente, la cultura morale gli dà un valore che risguarda tutta la specie umana.
Prima viene la cultura scolastica. Difatti, la prudenza presuppone sempre l’abilità. La prudenza è la facoltà di usar bene e con profitto l’abilità propria. Per ultimo viene la morale, in quanto si fonda su principi che l’uomo stesso deve riconoscere; ma finché riposa unicamente sul senso comune, dev’essere praticata fin da principio, anche nell’educazione fisica, ché altrimenti parecchi difetti si radicherebbero a segno da render poi vani tutti gli sforzi e tutta l’arte dell’educazione. Rispetto all’abilità e alla prudenza, tutto deve venire a suo tempo con gli anni. Mostrarsi nell’infanzia abile, prudente, paziente, senza malizia, come un uomo adulto, sarebbe lo stesso che voler conservare nell’età matura la sensibilità di un fanciullo.
A) Dell’educazione fisica
16. Chi intraprende un’educazione come precettore, sebbene non tolga a dirigere così presto i fanciulli per occuparsi anche della loro educazione fisica, giova per altro ch’egli sappia tutto quello che si richiede nella, educazione da principio alla fine. Quantunque un precettore non si debba occupare che di fanciulli adulti, può accadere ch’ei veda nascere altri figli nella stessa famiglia, e che, s’egli ha meritato per la sua condotta di essere il confidente dei genitori, questi non manchino di consultarlo sull’educazione fisica dei loro figli; poiché si dà spesso il caso che il precettore sia l’unica persona dotta della casa. Occorre adunque che il precettore abbia cognizioni su questa materia.
17. L’educazione fisica consiste propriamente nelle cure date ai bambini o dai genitori, o dalle nutrici, o dalle bambinaie. Il nutrimento destinato dalla. natura al bambino è il latte della sua propria madre. È un pregiudizio il credere che il bambino succhi in qualche modo col latte i sentimenti materni, benché sentiamo dire spesso: Tu hai succhiato ciò col latte di tua madre. Ma è di gran vantaggio per il bambino e per la madre che costei lo allatti da sé stessa. Bisogna però ammettere, in certi casi estremi, le debite eccezioni per motivi di salute o di malattia. Si credeva un tempo che il primo latte che viene alla madre dopo il parto e che rassomiglia al siero fosse nocivo al bambino, e che la madre dovesse subito liberarsene prima di allattare la sua creatura. Ma Rousseau fu il primo a richiamare l’attenzione dei medici sulle qualità di questo primo latte; se cioè potesse tornare utile al bambino, dacché la natura non ha fatto niente invano [1] . E si è realmente trovato che questo latte non solo monda il corpo del neonato da quegli escrementi che contiene, detti meconio dai medici, ma che è altresì buono e utile al bambino
18. È stata agitata la questione se si possa egualmente nutrire il bambino col latte di animali. Il latte degli animali erbivori, che cioè si nutriscono di vegetabili, si rapprende prontamente quando vi si unisca qualche acido, per esempio l’acido tartarico o l’acido nitrico, o particolarmente il caglio animale (Lab o Laff). Ciò posto, quando la madre o la balia si è per qualche tempo nutrita di vegetabili esclusivamente, il suo latte si rapprende come quello di vacca e di altri animali. Ma s’ella si rimette a mangiare per qualche tempo la carne, il latte le ritorna buono come prima. Onde si è concluso esser più confacente al bambino che la madre o la balia si nutriscano di carne fino a che allattano. Quando i bambini rigettano il latte che hanno succhiato, vuol dire ch’esso è rappreso. L’acido contenuto nel loro stomaco deve pertanto far cagliare il latte meglio di tutti gli altri acidi, ché diversamente il latte della donna non avrebbe affatto la proprietà di rappigliarsi. Quanto non sarebbe dunque contrario alla salute dei bambini porgere loro del latte che si accagliasse già da sé medesimo! Ma non tutto dipende da questo presso altre nazioni. Per esempio, i Tongos campano quasi unicamente di carne, e son gente sana e robusta. Ma tutti i popoli di questa sorta hanno vita breve, e senza molto sforzo si può sollevare da terra un giovane alto che a prima giunta non si credeva leggero. Gli Svedesi, al contrario, ma segnatamente i popoli dell’India non mangiano quasi mai carne, e tuttavia i figli loro son bene allevati e crescono forti. Pare adunque che tutto dipenda dalla salute della madre o della balia, e che il cibo più confacente alla nutrice sia quello che la fa star meglio di salute.
19. Ora si tratta di sapere quale alimento convenga scegliere per il bambino quanto sia stato divezzato o gli sia cessato il latte materno. Da qualche tempo si è tentato di surrogarvi ogni sorta di pappe; ma non è bene di somministrare fin da principio al bambino questo genere di alimenti. Si badi soprattutto di non dargli alcun che di piccante, come vino, spezie, sale. D’altra parte non deve far meraviglia che i bambini palesino tanto gusto per queste cose; infatti esse danno ai loro sensi ancora ottusi un eccitamento e un’animazione piacevole. In Russia i bambini certamente ereditano questo genere di gusti dalle madri loro, le quali amano di bere l’acquavite; e si nota che i Russi sono forti e sani. Per fermo coloro che sopportano questa maniera di vita debbono essere d’una buona costituzione fisica; ma è vero altresì che ne muoiono parecchi, mentre con diverso tenore di vita avrebbero potuto vivere. Difatti, un eccitamento prematuro di nervi genera molti disordini nella vita. Si guardi parimente di non dare ai bambini bevande e cibi troppo caldi, perché tutto ciò li rende deboli.
20. Conviene altresì aver cura di non tener troppo caldi i bambini, perché il sangue loro è per sua natura assai più caldo di quello degli adulti. Il calore del sangue dei bambini ascende a 110 gradi del termometro Farenheit, mentre il sangue degli adulti non oltrepassa i 90 gradi. Il bambino soffoca in un’atmosfera in cui gli adulti possono trovarsi bene. Le abitazioni fresche generalmente rendono forti gli uomini. Non conferisce neppure alla salute degli adulti il vestire troppo caldamente, il coprirsi e l’abituarsi a bevande troppo calde. E però il letto dei fanciulli dev’essere fresco e duro: anche i bagni freddi giovano ai medesimi. Non si deve usare alcun eccitante per far nascere l’appetito nel fanciullo; al contrario, bisogna che l’appetito sia sempre generato dall’attività e dall’occupazione. Ai fanciulli non si lascino contrarre abiti che poi si convertano in bisogni. Anche in quello che è buono, non usate la vostra arte per far loro di tutto una consuetudine.
21. I popoli barbari non fanno uso di fasce pei bambini. I selvaggi dell’America, per esempio, scavano piccole fosse nella terra pei loro bambini; e ne guarniscono il fondo con polvere di vecchi alberi affinché l’orina e le immondizie vi s’infiltrino e i bambini possano così restarvi asciutti; e poi le coprono di foglie. Ma, del resto, lasciano ad essi affatto libero l’uso delle membra. Se noi fasciamo i bambini come mummie si fa unicamente per nostro comodo, cioè per toglierci la noia di vegliare perché non divengano storpi. E ciò tuttavia accade spesso per l’uso delle fasce! Le quali, d’altra parte, riescono dolorose ai bambini stessi, e li gettano in una specie di disperazione impedendo loro l’uso delle proprie membra. Si crede allora poterne acquetare i pianti rivolgendo loro alcune parole. Ma si tenti di fasciare stretto stretto a quel modo un uomo adulto, e allora vedremo ch’egli pure si mette a gridare e cade nell’angoscia e nella disperazione.
22. In generale va osservato che la prima educazione sia puramente negativa, cioè che nulla si debba aggiungere alle precauzioni prese dalla natura, ma ristringersi a non distruggerne l’opera. Se vi è un’arte permessa nell’educazione è quella di abituare i fanciulli. Bisogna dunque non far uso di fasce pei bambini. Ma se si vuol prendere qualche precauzione, la miglior cosa è una certa specie di scatola guarnita di corregge nella parte superiore. Gl’Italiani l’adoperano e la chiamano arcuccio. Il bambino resta sempre in questa scatola anche quando si allatta. In tal maniera si evita che la madre soffochi il bambino, ove ella si addormenti allattandolo di notte. Per questo motivo da noi muoiono parecchi bambini. Questa precauzione è dunque preferibile alle fasce perché il bambino si muove in tal modo più liberamente e si evitano le deformità, che avvengono spesso per la fasciatura.
23. Un’altra consuetudine nella prima educazione è di cullare i bambini. Il mezzo più semplice è quello che adoperano certi contadini. Sospendono la culla alle travi per mezzo d’una corda e non fanno che spingerla; la culla si dondola da sé. Ma in generale il cullamento non serve a nulla. Si vede anche con le persone adulte, che quel dondolio produce lo stordimento e l’alterazione di stomaco. Si vuole in tal modo stordire i bambini, per impedire loro di piangere. Ma il pianto è loro salutare. Appena usciti dal seno materno, ove son privi d’aria, cominciano a respirare, e così il corso del sangue, essendo in tal modo alterato, fa loro provare una sensazione dolorosa. Però col pianto essi facilitano lo sviluppo delle parti interne e dei vasi del corpo. È dunque pernicioso ai bambini cercare di quietarli appena cominciano a piangere, cantando loro qualcosa come sogliono fare le balie. E così si comincia ad abituare male il bambino, poiché vedendo che tutto cede ai suoi pianti, li ripete più spesso.
24. Veramente possiamo dire che i bambini del popolo sono più abituati male di quelli dei signori, perché il popolo scherza con loro come le scimmie. Cantano, li abbracciano, li accarezzano, ballano con loro. Credono dunque di fare cosa buona e utile al bambino, accorrendo subito appena comincia a piangere e giocando con lui; ma egli non farà che piangere sempre più. Se al contrario non ci occupiamo dei suoi pianti, egli finisce per non piangere più; dacché nessuna creatura si procaccia volentieri una pena inutile. Se abituiamo i bambini a veder tutti i loro capricci soddisfatti, invano tenteremo più tardi di piegare la loro volontà. Lasciamo dunque che piangano a loro talento, e presto ne saranno stanchi e annoiati essi stessi. Ma se cediamo ai loro capricci nella prima età, si corrompe in tal modo il loro cuore e i loro costumi.
Certamente il bambino non ha ancora nessuna idea dei costumi, ma si guastano le sue disposizioni naturali in questo senso, che per rimediare al male bisogna poi infliggergli durissime punizioni. E allorquando vogliamo divezzare i bambini dal veder subito soddisfatti i loro capricci, essi piangono con tale inquietezza e rabbia, che parrebbe non fosse possibile altro che negli adulti, e la quale non produce alcuno effetto solo perché mancano loro le forze. Finche non hanno da far altro che piangere per ottenere quello che vogliono, essi dominano da veri padroni; e quando questo dominio cessa, ne sono naturalmente indispettiti. E invero, non è per gli stessi adulti una cosa affliggente l’essere costretti a perdere in un istante quel certo dominio, che hanno per lungo tempo esercitato?
25. Nei primi tre mesi circa della loro vita, i bambini non hanno ancora la vista bene sviluppata. Essi ricevono la impressione della luce, ma non possono distinguere un oggetto dall’altro: ne possiamo avere una prova, presentando loro qualcosa splendente; essi non la seguono cogli occhi. Con la vista si dispiega pure la facoltà del riso e del pianto; giunto a questo periodo di vita, il bambino piange con una certa riflessione, sebbene oscura e indistinta. Egli crede sempre che gli si voglia far del male. Il Rousseau nota che se picchiamo sulle mani un bambino di sei mesi, egli piange come se un tizzone ardente gli fosse caduto sulle mani stesse, giacché pensa che l’abbiamo voluto offendere. I genitori, per ordinario, parlano troppo di piegare la volontà dei loro teneri figli; ma ciò non sarebbe necessario, se non fossero abituati male fin da principio. La prima origine del male sta appunto nel rendersi schiavi della loro volontà, e nel far loro credere che tutto possano ottenere col pianto. E più tardi è sommamente difficile di rimediare a questo male, dato pure che vi si possa rimediare. Possiamo, è vero, ottenere che il bambino si quieti; ma egli consuma entro di sé il dolore e non fa che alimentare la sua collera. Si abitua per tal modo alla dissimulazione e alle passioni interne. Per citare un esempio, è cosa molto strana che alcuni genitori, dopo aver picchiato con la bacchetta i loro fanciulli, esigano che questi bacino poi loro le mani: è proprio un volerli abituare alla dissimulazione e alla menzogna. Le nerbate poi non sono un bel dono di cui il fanciullo possa mostrarsi grato; e figuriamoci con che cuore bacerà allora la mano che l’ha percosso!
26. Si adoperano in generale le dande e il carruccio per insegnare a camminare ai bambini. Ma è proprio curioso di voler insegnare a camminare a un bambino; come se un uomo non potesse camminare senza che gli s’insegni. Le dande specialmente sono dannosissime. Uno scrittore si lamentava della strettezza del petto, attribuendolo alle dande: infatti, siccome il bambino prende e raccatta ogni cosa, appoggia naturalmente il petto alle dande, e questo non essendo ancora sviluppato, s’incassa e rimane così per tutta la vita. Con tutti questi espedienti, il bambino non impara di certo a camminare con sicurezza più di quello che non avrebbe imparato da sé. La miglior cosa è di lasciarlo andar carponi, finché a po’ per volta non incominci a camminare; si può in tal caso aver la precauzione di tappezzare la stanza con coperte di lana per evitare contusioni e brutte cadute.
27. Si dice in generale che i bambini cascano con molta forza: ma questo non avviene spesso, e del resto non è poi un male che avvenga qualche volta. Poiché ciò non fa altro che insegnar loro a stare in equilibrio e a trovare il modo di rendere la caduta meno pericolosa. Si mette in generale ai bambini una sorta di ciambelle di cencio imbottite, per impedire di battere la testa e il viso per terra. Ma questa è una educazione negativa che consiste nell’usare mezzi artificiali, mentre il bambino ha quelli naturali. Nel caso nostro, gli strumenti naturali sono le mani, che il bambino mette avanti quando casca. Quanto più si fa uso di mezzi artificiali, tanto più è difficile che in progresso l’uomo possa farne a meno. Sarebbe meglio usare fin da principio ben pochi strumenti, e lasciare che il bambino impari molte cose da sé; le imparerebbe così...
Indice dei contenuti
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- LA PEDAGOGIA
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