Il villaggio sepolto nell'oblio
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Il villaggio sepolto nell'oblio

Informazioni su questo libro

Andare oltre per non farsi più trovare….
Cosa fare quando il futuro offre solo massacri, follia, colonne di prigionieri e carri bestiame? Quali sono le ragioni per trionfare sul totalitarismo, le paure e, perché no, il freddo? Condannato a morte nel 1914, l'impiccagione è stata, in seguito, "temporaneamente commutata in esilio perpetuo in Siberia", il giovane Theodor Kröger, una volta libero, partecipò alla straordinaria avventura di isolare un villaggio russo dal resto del mondo, per sfuggire alla nuova tirannia bolscevica. Nascondere percorsi, trasformare le foreste in labirinti, far sparire carte per sfuggire al caos... Quanto tempo?
In questo romanzo, bestseller mondiale fin dalla sua pubblicazione nel 1950, l'oscurità di un'epoca e la grandezza dell'anima russa si mescolano con l'immensità della taiga, essa sola è in grado di resistere alla follia degli uomini.
L'autore
Nato nel dicembre del 1890 a San Pietroburgo da una dinastia di industriali tedeschi, Theodor Kröger aveva ventiquattro anni quando scoppiò la guerra nell'agosto del 1914. Catturato per aver tentato di raggiungere clandestinamente la terra dei suoi antenati, fu inviato in Siberia e sarà rilasciato solo cinque anni dopo. Terribilmente segnato da questa esperienza, si stabilì in Germania e dedicò il resto della sua vita alla scrittura, prima di morire in Svizzera nel 1958. Il villaggio sepolto nell'oblio, che ebbe un enorme successo editoriale fin dalla sua prima pubblicazione nel 1950, rimane il suo lavoro principale ed è nutrito dai suoi terribili ricordi delle galee. Theodor Kröger canta paradossalmente il suo amore per l'immensa Siberia e i suoi abitanti, ed evoca con una vitalità indimenticabile l'anima russa, i suoi demoni e, insieme, la sua bellezza.

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Parte terza

IL VILLAGGIO SEPOLTO NELL’OBLIO

Divento commerciante di pelli

A poco a poco, nella mia frenetica attività sopravvenne una pausa. Tutto era ormai organizzato; la mia presenza diventava superflua. E per la primavera, avevo grandi progetti per Nikitino. Per ora, mentre tutto giaceva sepolto sotto la neve, non restava che accettare la passività, in attesa degli avvenimenti futuri.
Ero tranquillo, singolarmente tranquillo pel mio carattere. Passavo ore, sperduto nei miei pensieri, ad arzigogolare... su che non lo sapevo neppur io. Ma avevo troppo tempo da gettare.
“Devi dirti sempre: ho tanto tempo inutile, bisogna che lo distrugga. Pensa, pensa intensamente a cose belle, I vecchi, e noi deportati, non viviamo che di ricordi... ” Queste parole, più d’una volta me le aveva dette il mio amico, il gigante Stepan, quando eravamo incatenati l’uno all’altro. Egli m’aveva appreso l’attesa. A che cosa? Attendere... così... Chissà dov’era finito, Stepan? E Marussia, dove si trovava? Lo seguirà sempre, o lo avrà perduto di vista?
Allora... allora passavano le ore, i giorni in attesa, e si poteva pensare a un’infinità di cose, anche alla possibilità della fuga. Ma ora, non c’era più niente!
Liberamente ho rinunciato, con pieno entusiasmo, per profonda convinzione! E ora...
Attesa, attesa, sempre! Non pensare più a tutto! Anche questo ho ancora da impararlo! Imparare a dominarmi, e ad attendere!...
Venivano momenti in cui guardavo a lungo e gravemente negli occhi di Fayme.
Non essere triste, Pietruccio, non essere triste, aspetta un altro pochino, — così ella mi consolava ogni giorno.
Non essere triste... no, non essere triste... aspetta un altro poco... - ripetevo io come un’eco delle sue parole. Di nuovo la fanciulla aveva il suo sorriso enigmatico e imperscrutabile. Sapevo, ch’ella sorrideva per non piangere.
Potessi imparare il tuo sorriso, adorata, agli occhi miei non sarei più un nano, ma un Dio!
Venne per me la liberazione.
Fayme - lei sola, sempre ancora lei, mai stanca, sempre vigile - lei me la recò, nella sua mano di bimba.
Il capitano ti permette di andare nei paesi per comperare delle pelli; ho parlato con lui. E io posso accompagnarti, ovunque tu voglia arrivare.
Mi par d’essere caduto dalle nuvole, non oso credere alla fanciulla, che ride baldanzosa.
Io, io potrò andare nei paesi, a comperar pelli?
Si, Pietro, spalanca pure gli occhi grandi come noci! Ora ti racconto... Le condizioni sono molto favorevoli. Dovrai essere accompagnato da due soldati, i più capaci e fidati. Tu penserai a nutrirli. Tutti gli affari, lì concluderai a nome dei miei fratelli, dunque hai pieni poteri da parte loro. Il capitano riceverà il dieci per cento sui guadagni, che tu gli garantirai sulla tua parola d’onore; e basta. Sei d’accordo, Pietro? Ho fatto le cose bene?
II capitano non esige nessuna parola d’onore, che non tenterò la fuga?
No, Pietro, non è affatto necessario! “Kröger mi lascerebbe negli impicci, piuttosto di mettere in gioco la vita dei suoi camerati tentando la fuga! Essi non sperano che in lui, e mai in vita sua egli abuserà di questa fiducia! ” così gli ho detto, e ha dovuto persuadersi, perché è la sacrosanta verità, non è vero, Pietro?
Speranza... fiducia... non abusare... sacrosanta verità...
Sì, Fayme, è la verità, eppure... così dura!
Prendendole il viso fra le mani, la guardo negli occhi. Ardono d’una luce incomparabile. Solo in quei neri occhi misteriosi e senza fondo ho veduto quella luce... Per quella luce non sono diventato un mascalzone!
Ecco, Pietro, ora sorridi come me. Il nostro sorriso l’hai imparato, almeno...
Torna ad assalirmi la passione per quella fanciulla. Le copro il viso di baci, non c’è posto del corpo adorato ch’io non voglia toccare e baciare, per sapere ch’ella è mia, tutta mia.
Ora sei di nuovo felice, Pietro, caro?
Sì, Fayme, felice e forte!
Verso sera, suonarono alla porta di casa. La cameriera andò ad aprire: era Ivan Ivanovic.
Sorrideva, d’un sorriso bonario, molto imbarazzato. Senza fretta porse il mantello da ufficiale e il berretto alla ragazza, si sfilò la sciabola, che posò delicatamente entro il portaombrelli, si tolse i guanti, con cura particolare lì accomodò sull’attaccapanni, si ravviò i capelli e allora soltanto, senza guardarmi negli occhi mi porse la mano.
Ivan, ti ringrazio, ti ringrazio di tutto cuore!
Va bene, va bene, Kröger, non potevo far diversamente. - E lo disse con un tono, come di scusa. Soltanto dopo che si fu accomodato nel seggiolone, ed ebbe tratto qualche boccata dalla sigaretta che gli avevo offerto, soggiunse: Per giorni non ho potuto guardar negli occhi Fayme. Sapevo, che aveva da chiedermi qualcosa. E sapevo, anche, che un giorno non avrei potuto negarle quel che mi chiedeva. Ho cercato di evitarla, ma era inutile, essa mi inseguiva... E persino la notte, in sogno, quei suoi occhi neri mi si ficcavano fino in fondo all’anima. La conoscevo già da bambina. Allora, la chiamavano “Il diavoletto nero” perché era nera e svelta come un demonietto. E la evitavamo, per via di quel suo strano sguardo. Quando la bimba rideva, invece, i suoi occhi brillavano, come soli, come carboni ardenti...
«Stamane, è venuta da me. Tranquilla, padrona di sé, inaccessibile... È veramente mutata, è un’altra. Mi ha guardato tanto affettuosamente, e io, vecchio somaro, non potevo saziarmi di guardarla. Tranquillamente m’ha parlato, come fanno i bambini col padre, quando non vuole passare loro una birichinata. “Ivan, sii buono, dài il permesso; in premio, ti metterò le mani sulle guance”... così all’incirca mi pare che dicesse, e poi... e poi ho detto di si, ed ero felice.
«Essa m’è venuta vicino, non m’ha lasciato alzare, e m’ha proprio messo le mani sulle guance, e sorrideva, e con la sua voce profonda m’ha detto: “Siete molto caro, molto, molto caro, vi ringrazio con tutto il cuore... ”. Già se n’era andatale io ero ancora sempre li. Curioso, eh? Ed ero contento, che in quel brutto ufficio ci fosse rimasto il profumo di lei, e per quanto fosse pieno di fumo, non ho permesso che dessero aria. Ma di’ un po’, non sono un asino? » E il capitano ebbe un gesto stanco e rassegnato. - Dammi un buon bicchierino di qualcosa, per piacere!
D’un fiato tracannò il liquore, s’accese un’altra sigaretta, dopo di che tornò ad essere l’antico e sorridente Ivan Ivanovic.
Allorché Fayme entrò, delicatamente le prese una mano con tutte e due le sue, si chinò cavallerescamente e baciò quella manina.
Adesso posso guardare negli occhi, a Fayme. Ho esaudito un suo gran desiderio, inespresso. Non è così, Fayme?
Siete stato molto caro e generoso, Ivan Ivanovic - e con tutte le sue forze la Tartara stringe la mano del capitano, che fa udire un grugnito bonario. Ella si rizza sulla punta dei piedi, e Ivan avvicina la faccia alla bocca della fanciulla.
Questa sera ho una sorpresa per voi. Aragosta con maionese... - gli sussurra Fayme. A quell’annuncio, il capitano si fa rosso come un gambero. - L’ho fatta venire da Pietroburgo apposta per voi, sapevo che non m’avreste rifiutato quanto v’ho chiesto — ella soggiunge.
Ivan Ivanovic assaporò l’aragosta e la maionese con un entusiasmo addirittura infantile; dopo di che, lo pilotai a casa.
Ritrovatomi davanti alle mie finestre, vidi che quelle della sala da pranzo erano spalancate; quelle della camera di Fayme, invece, ermeticamente chiuse dalle cortine.
Salgo. Dileguato il fumo, e l’odor di gente estranea; l’aria è stata rinnovata. Nel salone arde la lampada a petrolio; il suo fioco riflesso rischiara i larghi divani. Tutta la stanza è impregnata del profumo di Fayme. Accendo la pipa, e mi metto a passeggiare su e giù, nel perfetto silenzio che regna all’intorno.
Potrò commerciare in pelli, nei paesi...
Ora il concetto s’è fatto realtà, tanto che m’inquieta.
Camerati prigionieri... Non si pongono in gioco migliaia di vite umane, per il gusto di rischiare la fuga... Speranza e fiducia... mai in vita sua egli ne abuserà...
Mi seggo, cerco di concepire l’idea, di abituarmi a potervi pensare.
Fayme è entrata in gioco, Fayme mi ha portato la libertà... La mia Fayme!...
Una sola parolina di lei e, a dispetto di tutto, quella sera ancora io sarei diventato un disonesto.
Pietro, caro, che vai macchinando?
Trasalendo alzo il capo. Fayme mi sta dinanzi; nella sua esotica veste da sera di foggia tartara, è figura uscita da una fiaba orientale. Improvvisamente ella si accascia tra le mie ginocchia, gli occhi socchiusi, la bocca semiaperta, e mormora: - Baciami, ora devi baciarmi...
Il tappo dello spumante vola alto, il liquido color dell’oro spumeggia nei calici. Beviamo come assetati, un bicchiere, uh altro ancora, e allora soltanto ci rimettiamo a ridere.
Il ciclo notturno si va imbiancando, ì primi contorni delle cose si delineano vagamente. Rimbocco le coperte a Fayme, le assesto i guanciali, ella s’accuccia con un sorriso di felicità; un bacio sulla gota, una parola d’amore, e in punta di piedi esco dalla camera.
Ordino alla cuoca e alla cameriera di non far rumore, ed esco. Nella radiosa mattinata iemale, verso la mia nuova libertà...
Al cadere della prima neve, la Siberia sì ridesta a nuova vita. Il contadino, che durante tutta l’estate ha avuto da lavorare in campagna, approfitta dell’inverno per far le spese necessarie e per badare a tutte quelle cose per le quali d’estate non c’era tempo. Le strade non sono ancora troppo ingombre, il primo strato di neve non è soverchiamente alto, e il freddo tollerabile, E così, da ogni parte arriva gente, ed è un gran comprare, vendere, scambiare, la vita ferve attiva e allegra.
Per una bazzecola trovai da acquistare una grande slitta. larga due metri e lunga tre, particolarmente adatta per lunghi viaggi; e la feci rimettere in ordine. Al posto del sedile aveva un materasso lungo due metri e largo uno; ciò era assai pratico, perché nei lunghi tratti dì strada sì sarebbe potuto dormire nella slitta, dato che per via difficilmente si trovavano locande. Oltre ai pattini ordinari, eccezionalmente larghi, a circa mezzo metro d’altezza ce n’erano altri due, che sul terreno accidentato avrebbero impedito alla slitta di ribaltare. Un enorme mantice proteggeva i viaggiatori dalle bufere di neve e dal vento; dall’orlo di questo mantice si poteva anche abbassare una tenda, a riparo del freddo. A cassetta - ed era ben spaziosa sedeva il jamscik. Tre cavallini siberiani, instancabili e di modeste pretese, costituivano il tiro.
L’equipaggiamcnto per il viaggio era assai complicato. Sugli indumenti ordinari si indossava una sorta dì tuta da aviatore, foderata dì pelliccia, sopra alla quale sì portava un caldo mantello, ugualmente foderato dì pelliccia, o il classico mantello di pelle di cane dei contadini. Nelle giornate particolarmente fredde, c’era ancora il rinforzo della burka, una mantellina pesante, munita dì cappuccio, che arrivava sino alle caviglie, foderata anch’essa dì pelliccia al pari del cappuccio. La calzatura consisteva in tre paia dì calzini di lana, piccole soprascarpe dì pelliccia, e, sopra a queste, pesanti stivaloni dì felpa, che arrivavano fin sopra al ginocchio. E malgrado tutto questo po’ po’ di roba, spesso dopo due o tre ore si era gelati, E allora, non restava che l’alcool. Per le vivande e le bevande calde avevo dei grandi recipienti termici, fatti venire appositamente da Pietroburgo.
I preparativi erano terminati. Da tempo, campioni di pelli erano stati mandati a diverse grandi case dì Pietroburgo e di Mosca; e si erano stabilite le condizioni di pagamento.
Sarei rimasto fuori una settimana. Per organizzar più rapidamente e razionalmente gli acquisti nei diversi villaggi, avevo spedito in avanguardia alcuni contadini, ì quali a mezzo d’un tamburo, a tempo e luogo avrebbero chiamato a raccolta gli abitanti provvisti dì merci.
La grande slitta da viaggio era ferma davanti alla porta; e dietro ve n’ora una più piccola coi due soldati, Lopatin e Kusmiceff; e una terza, per la merce acquistata.
Ho sistemato Fayme nella slitta, ben calda, e comoda, con cuscini dietro le spalle. I jamsàk sono già a cassetta, ì cavallini pelosi aspettano pazienti. Salgo anch’io sul morbido sedile a fianco di Fayme, il cocchiere sì sistema per bene, dopo essersi voltato a guardarci, una tirata dì redini, e ì tre cavallini si muovono. I c...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. Prefazione
  3. Parte prima
  4. Parte seconda
  5. Parte terza
  6. L’ANGELO CUSTODE