Le miserie del signor Travetti
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Le miserie del signor Travetti

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Le miserie del signor Travetti

Informazioni su questo libro

Il "Fantozzi" che è in ognuno di noi
Il signor Travetti, commedia originariamente scritta in dialetto torinese - prima che Torino smettesse di essere la capitale d'Italia -, è il prototipo del dipendente grigio e ossequioso che vive in ognuno di noi. E' la parte che non ci piace far vedere ma che è sempre presente ed emerge con forza appena possibile. L'esistenza triste di Travetti (che diventerà, in francese, l'emblema del dipendente statale - M. Travet) viene sconvolta da una serie di eventi che potrebbero minare la sua onorabilità. A quel punto i soprusi non vengono più accettati, le lamentele della seconda moglie vengono contrastate con forza. Travetti entra in una nuova fase della sua vita, prendendo decisioni che cambieranno per sempre la sua vita e quella della della sua famiglia. Il testo fu rappresentato con grandissimo successo, ottenendo moltissime repliche, dando molta visibilità al suo autore. Una commedia che è attuale ancora oggi, e che ancora oggi ci può aiutare a comprendere meglio le relazioni di lavoro e famigliari.

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ATTO PRIMO.

Camera in casa del signor Travetti. — Porte a destra, a sinistra, in fondo. — Addobbi modesti. — Non c’è alcuno in scena. — Si sente piangere un fanciullo.

SCENA PRIMA.

La signora Travetti e Travetti di dentro, poi Giacchetta, indi Mariuccia.
S. Tr. - (di dentro) Ma, Travetti, a star cheto una volta codesto bambino!
Trav. - (di dentro) Che ci posso io fare? Vedi bene che da un’ora l’ho qui sulle braccia; là, là, non piangiamo, sta buono (Il bambino grida ancor più forte) Oh! santa pazienza!
Giacc. - (dal fondo) È permesso?
S. Tr. - (di dentro) Chiamami la serva.
Trav. - (di dentro) È al mercato.
Giacc. - (facendo capolino dal fondo) È permesso?
Nessuno risponde. Eppure la porta era aperta; qualcuno ci deve pur essere. (Entra. — Il bambino piange)
S. Tr. - (di dentro) E Mariuccia? Chiamala su, la è capace d’essere ancora in letto quella pigra!
Trav. - Vado a vedere: to’, prendi un istante il bambino. — Carlo, vuoi star fermo? Non toccare costì; c’è il rasoio e ti puoi far male... Ma bene... adesso fammi cascar lo specchio. Di’, fa un po’attenzione a questo mariuolo. (Entra in maniche di camicia) Mariuccia, Mariuccia!
Giacc. - Buon dì, signor Travetti.
Trav. - (tra sé) Oh! diavolo, il fornaio! (Forte) To’, siete voi, signor Giacchetta?
Giacc. - Per l’appunto, signore, sono io e non altri.
Trav. - (tra sé) Sempre gentile come un’istrice.
Giacc. - Ho trovato la porta aperta.
Trav. - È quella sventata d’una serva che l’ha lasciata aperta; non ne fa una bene colei! Ma, scusate, cerco mia figlia.
Giacc. - Signor Travetti, debbo parlarvi.
Trav. - (fingendo non sentire) Mariuccia! (Va verso la stanza della figlia)
Giacc. - (fermandolo) Ohe! siete sordo?
Trav. - No, signore, ma...
Mar. - (di dentro) Vengo, babbo.
Giacc. - Se mi sono arrampicato sin quassù di sì buon mattino, non è che per potere trovar voi. Vostra moglie mi ha già mandato a spasso cinque o sei volte, e poi gli è a voi veramente che io voglio parlare.

SCENA II.

Mariuccia, Travetti e Giacchetta.
Mar. - Che vuoi, babbo?
Trav. - Che voglio, che voglio! È già tardi e non c’è nulla di fatto, nemmeno la cuccuma al fuoco.
Mar. - Ma babbo!...
Trav. - Non ammetto scuse; che facevi?
Mar. - Ho finito adesso di rassettare la mia stanza; e poi ho avuto a rattoppare il giubboncino di Carlo, che s’era rotto.
Trav. - Sciupa sempre tutto, quel demonietto! Andiamo, fa qualche cosa. È una vergogna che una fanciulla grande come tu sei...
Giacc. - Eh, non sgridatela a quel modo, poveretta! Vi dico io che la vostra è un fior di ragazza.
Trav. - Non dico di no, io! Là là; Mariuccia, va a farmi il caffè. (Il bambino piange)
S. Tr. - (di dentro) Vieni una volta a pigliarti questo bambino, Travetti, me lo lasci sempre a carico.
Trav. - Pazienza santa! Tutta notte l’ho fatto io ballonzolare! Vengo, Rosina, vengo.
Giacc. - Ebbene, mi piantate qui a questo modo? Ho fretta d’andare in bottega, io, e non posso restare qui a guardare il soffitto.
Trav. - È vero! Mariuccia, va tu da quel marmocchio. (Mariuccia esce) Accomodatevi, signor Giacchetta.
Giacc. - Sto bene cosi.
Trav. - (impacciato) Siete forse venuto pel vostro credito?
Giacc. - Precisamente.
Trav. - Sono veramente addoloratissimo ...
Giacc. - Ci avrei scommesso! non potete ancora pagarmi?
Trav. - No!
Giacc. - Sono molti mesi che mi cantate questa antifona.
Trav. - Abbiate pazienza! Fra qualche giorno spero di ricevere una gratificazione.
Giacc. - Oh! si, bravo! È tanto tempo che colla vostra gratificazione mi menate pel naso. Volete che vi parli chiaro? Se vostra moglie non spendesse tanto per la sua toeletta....
Trav. - Signor Giacchetta, bussate male da questa parte; mia moglie deve tenere il suo grado.
Giacc. - Che grado?
Trav. - Io sono funzionario pubblico, signore.
Giacc. - Cospetto!... Ah! signor Travetti, avete pur fatta la gran corbelleria ad ammogliarvi una seconda volta, quando avevate già una figliuola grande.
Trav. - Lasciamo questi discorsi, ve ne prego. Mia moglie avrà i suoi difetti, ma è una brava donna ed io non tollero che mi si parli male di lei.
Giacc. - Lasciatemi parlare. Io, lo sapete, son S. Giovanni Boccadoro! E poi con voi, che diavolo! Ci conosciamo da tant’alti così?.... Quanto avete di stipendio?
Trav. - Duemila quattrocento franchi!
Giacc. - Come? dopo tant’anni di servizio?...
Trav. - Trentadue anni!
Giacc. - Capisco che non possiate allungar molto la zampa a questi lumi di luna, in cui ogni cosa costa il triplo d’una volta. Ma raggiratevi, cercate in qualche modo.... Non potreste trovare una occupazione fuori d’uffìzio?
Trav. - Non ne ho il tempo! Figuratevi che ogni giorno mi porto ancora a casa del lavoro per la sera. Stanotte sono stato su fino ad un’ora per finire una gran tabella.
Giacc. - Vostra moglie e vostra figlia potrebbero bene guadagnare alcun poco lavorando!
Trav. - Che dite mai? Far le sarte forse, o le modiste, mia moglie e mia figlia!...
Giacc. - Perché no?
Trav. - E il decoro?
Giacc. - Bravo! il decoro si conserva certo meglio non pagando i debiti?
Trav. - Fatemi il piacere...
GIACC. – È che voi siete sempre stato così. Vi ricordate una trentina circa d’anni fa, quando si trattava tuttedue di scegliere una carriera? Tanto io che voi eravamo due poveri diavolacci, ma eravamo onesti; una buona voglia di lavorare l’avevamo, e non si mancava d’un po’di codesto. (Indica il fronte) Vi si offrì un posto nel commercio! Ma sì, voi eravate figlio d’un magro impiegato che a vostra madre non aveva lasciato altro che una sottile pensione, e vi pareva di degradarvi! Bene! dopo esser corso a raccomandarvi dal terzo e dal quarto, siete entrato volontario in un uffizio; finalmente, dopo un bel po’d’anni e lambicchi, vi fu fatta grazia di passar a stipendio. In trentadue anni di servizio, guardate ora a qual punto ne siete!
Trav. - Ma....
Giacc. - Io non isdegnai di entrare presso un fornaio per tenergli i conti e scrivergli le lettere. Mi vi sono applicato con tutto lo zelo. Il mio padrone capì che io era buono da qualcosa. M...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. ATTO PRIMO.
  3. ATTO SECONDO
  4. ATTO TERZO
  5. ATTO QUARTO
  6. ATTO QUINTO