La via principale - volume primo
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La via principale - volume primo

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La via principale - volume primo

Informazioni su questo libro

Non troverete Gopher Prairie nelle carte geografiche. Né la sua Main Street. Neppure se provate a cercarla con il satellite con Google earth. Ma è come se ci fosse. Perché la sua Main street, la sua Via Principale "è la continuazione di qualunque Via Principale di qualunque città (…). La Via Principale è l'apice della civiltà. Perché questa Ford potesse sostare davanti al magazzino Bon Ton, Annibale invase Roma ed Erasmo scrisse nei chiostri di Oxford."
Quando apparve nelle librerie americane, La via principale suscitò grande scalpore; nessun romanzo prima di allora aveva osato mettere in discussione la bellezza della vita middle class provinciale americana, criticando l'ipocrisia che sta alle fondamenta della Cittadina.
Gopher Prairie - cittadina immaginaria - si sente un po' Vienna un po' Parigi, si sente l'ombelico del mondo e l'erede naturale dell'Inghilterra Vittoriana, seppure è uno sputo di villaggio attraversato da una comunissima Via Principale. Architettura terrificante in un paesaggio desolato, un po' come quei piatti agglomerati che scorgi dal finestrino del treno mentre passi per la nebbiosa pianura padana.
E proprio in queste piccole comunità rurali del midwest americano, dove gli immigrati erano scandinavi e tedeschi, Lewis snida l'insorgere di un temibile virus, il Virus del Villaggio, provincialismo mentale prima che geografico.
In questo villaggio prova a combattere la sua personale battaglia la giovane Carol, cittadina dal brillante futuro che si trova a sposare un onesto dottore di campagna.
Carol non si arrende al virus, non si accontenta di qualche gossip, o di entrare nel club delle pettegole giocatrici di bridge, non si accontenta del solito refrain da provinciali incalliti conservatori; vuole dibattere, vuole cambiare, vuole costruire.
E intorno a Carol sfilano perfide bacchettone come la vedova Bogart o zia Bessie, la 'rivoluzionaria superficiale' Juanita Haydock - effervescente, irriverente; ma alla fine crudele come le altre se non di più - e la 'rivoluzionaria parziale' Vida Sherwin, maestra del villaggio con istinti riformatori ma che non osa mai più di tanto.
Carol è decisamente sola contro Gopher Prairie, e scoprirà che nella vita ciò che conta non è vincere, ma continuare a combattere.
Romanzo che fa pensare, una lettura che sa appassionare.

Domande frequenti

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Informazioni

Categoria
Classiques

CAPITOLO DICIASETTESIMO

Quella notte di gennaio, splendida di luna, una ventina di loro volavano in bob lungo le sponde del lago, diretti ai villini. Cantavano Terra mia e Riaccompagnando Nelly alla sua casa; saltavano giù per correre a gara nella scia del veicolo, e quando erano stanchi si arrampicavano sui pattini della slitta per farsi trasportare. Fiocchi di neve scintillanti alla luna saltavano sotto gli zoccoli dei cavalli e ricadevano sugli allegri viaggiatori che se li sentivano gocciolare nel collo, ridevano, gridavano, si battevano il petto coi guantoni di pelle. I finimenti scricchiolavano, le campanelle sembravano frenetiche, il setter di Jack Elder saltava intorno ai cavalli abbaiando.
Per un po’ di tempo Carol corse con gli altri. L’aria gelida le dava un fittizio vigore. Le sembrava di poter correre così tutta la notte, a balzi di cinque metri ogni passo, ma l’eccesso stesso dell’energia la stancò e fu lieta di raggomitolarsi fra gli scialli e le coperte stese sulla paglia in fondo alla slitta.
In mezzo alla babele trovò una pace incantata.
Lungo la strada, le ombre dei rami delle querce si disegnavano nere sulla neve come una partitura musicale; poi la slitta si slanciò sulla superficie del lago MInniemashie. Sul ghiaccio spesso era stata praticata una strada vera e propria, una scorciatoia per gli agricoltori. Sull’abbagliante distesa del lago - zone di crosta dura, balenìi di ghiaccio verde tagliato netto, ondulazioni di creste irrigidite come le rigate spiagge del mare - il plenilunio era insostenibile. Tempestava di diamanti la neve, trasformava il boschi sulla riva in cristalli di fuoco. La notte era tropicale e voluttuosa: nell’incanto che intorpidiva i sensi sembrava che non ci fosse differenza fra il caldo estivo e il freddo agghiacciante.
Carol era rapita in un sogno. Nulla più esisteva per lei: né le voci turbolente né Guy Pollock che le taceva accanto in un silenzio pieno di significato. Si ripeteva fra sé:
Alte sui tetti del convento splendono Le nevi ai raggi della luna... .
Le parole e la luce si confondevano in un’immensa, infinita felicità, ed ella sentiva che qualche grande cosa si preparava per lei. Si ritirava dal fracasso in un’adorazione d’incomprensibili divinità. La notte si espandeva, ella era conscia dell’universo e tutti i misteri s’inchinavano davanti a lei.
Fu strappata a quell’estasi dallo scossone della slitta che attaccava la salita del promontorio su cui sorgevano le villette.
Smontarono al casotto di Jack Elder. Con quel freddo, l’interno di tavole di legno greggio, così piacevole in agosto, sembrava ostile. Con le loro pellicce e le sciarpe legate sui berretti essi formavano una strana compagnia di orsi e di trichechi parlanti. Jack Elder accese le schegge di legno già pronte nel ventre della stufetta di ferro che sembrava una pentola ingrandita; tutti ammucchiarono le sciarpe su una poltrona a dondolo e applaudirono quando la poltrona si rovesciò solennemente all’indietro.
La signora Elder e la signora Clark fecero il caffè in un’enorme cuccuma di stagno annerita; Vida Sherwin e la signora McGanum scartarono frittelle e panpepati; la signora Dyer scaldò i panini imbottiti col salame; il dottor Terr, dopo aver annunciato: — Signore e signori, preparatevi a scandalizzarvi: avanti, march! — cavò fuori una bottiglia di whisky bourbon.
Gli altri ballavano gridando tutte le volte che i piedi gelati urtavano l’impiantito d’abete. Carol era del tutto emersa dal sogno. Rise, quando Harry Haydock la sollevò per la vita e la fece roteare; la gravità di coloro che si erano appartati per discorrere la rendeva più avida di ridere e di scherzare.
Kennicott, Sam Clark, Jackson Elider, il giovane dottor McGanum e James Madison Howland, dondolandosi sulla punta dei piedi dinanzi alla stufa, conversavano con la sedata pomposità degli uomini d’affari. Essi erano diversi gli uni dagli altri, eppure dicevano le stesse cose con la stessa voce cordiale e monotona. Bisognava guardarli per sapere chi era che parlava.
— Ebbene, siamo arrivati presto, non c’è che dire, — diceva uno... uno qualunque.
— Già, è stato un momento dopo che abbiamo trovato la pista giusta sul lago.
— Però, quando si è avvezzi alla macchina!
— Già, proprio così. Di un po’, come ti trovi con quei pneumatici Sfìnge che hai preso?
— Bene, pare. Però, dopotutto, non so se preferisco quelli della Roadeater.
— Eh, già, niente di meglio d’una Roadeater. Specialmente i pneumatici.
— I pneumatici sono molto migliori della carrozzeria.
— Già, dici bene. I Roadeater sono dei gran buoni pneumatici.
— Di un po’, a che punto sei con Pete Garsheim, a proposito di quel pagamento?
— Paga, paga. Si...

Indice dei contenuti

  1. Titolo pagina
  2. CAPITOLO PRIMO
  3. CAPITOLO SECONDO
  4. CAPITOLO TERZO
  5. CAPITOLO QUARTO
  6. CAPITOLO QUINTO
  7. CAPITOLO SESTO
  8. CAPITOLO SETTIMO
  9. CAPITOLO OTTAVO
  10. CAPITOLO NONO
  11. CAPITOLO DECIMO
  12. CAPITOLO UNDICESIMO
  13. CAPITOLO DODICESIMO
  14. CAPITOLO TREDICESIMO
  15. CAPITOLO QUATTORDICESIMO
  16. CAPITOLO QUINDICESIMO
  17. CAPITOLO SEDICESIMO
  18. CAPITOLO DICIASETTESIMO