Il personaggio di Fra' Diavolo, ai secoli Michele Pezza, affascina da sempre artisti, letterati e cineasti. In particolare la "settima arte" ha dedicato al leggendario brigante una vasta produzione cinematografica che ha visto attori e registi di fama internazionale cimentarsi in numerose produzioni di vario genere. Attraverso immagini d'epoca e resoconti scritti, Fra' Diavolo nella cinematografia rivisita le pellicole che, in forma diversa, hanno contribuito ad alimentare la leggenda di Fra' Diavolo.
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Alfredo Saccoccio
FRA’ DIAVOLO NELLA CINEMATOGRAFIA
AliRibelli
Edizioni
Sommario
Fra' Diavolo nella cinematografia
Duecentoquarantotto anni fa nasceva, ad Itri, uno straordinario personaggio che avrebbe fatto parlare di sé e fa parlare ancora, sotto tutti i profili. Si tratta di Michele Arcangelo Domenico Pasquale Pezza, meglio conosciuto come “Fra’ Diavolo”. I francesi delle armate di Napoleone Bonaparte che invasero il Regno di Napoli lo definirono “brigante” perché si oppose a loro con tutte le forze. In realtà, lui non era altro che un insorgente, un guerrigliero che lottava per la propria terra, il Sud d’Italia.
Spesso il nome di Michele Pezza è associato a quello di “celebre brigante”. Non ci sorprendiamo. È più difficile sradicare una leggenda che promuovere la verità e, quanto a quella che concerne Fra’ Diavolo, romanzieri e musicisti l’hanno ormai troppo diffusa da lunga pezza, senza parlare delle vecchie passioni antiborboniche, che hanno trovato gusto a deformare la realtà storica. I francesi – è noto – dettero quell’appellativo a tutti i realisti che lottarono, nel 1799 e nel 1806, contro la loro violenta conquista, come l’avevano regalato ai generosi figli della Vandea. E ciò allo scopo di screditarne l’azione di valore e di fedeltà, oltre che di coraggio immenso. Però, già dal 1829, un ufficiale del regno italico, sereno ed onesto storico, Cesare De Laugier, metteva in guardia contro l’infamia di quel titolo, così come, nel 1911, un autorevole storico francese, Jacques Rambaud, nella splendida monografia “Naples sous Joseph Bonaparte”, faceva notare che si era troppo abusato di quell’epiteto di brigante.
È significativo, per la verità e la giustizia, che altri storici transalpini abbiano oggi analizzato e valutato l’importanza di quel vasto movimento insurrezionale del reame di Napoli, che ebbe un carattere politico-religioso degno di attenzione.
È ora che “Fra’ Diavolo”, una delle più originali individualità del nostro passato politico-militare, dalla tumultuosa, vorticosa vicenda umana, segnata da un umiliante stigma “nigro lapillo”, sia riaccreditata pienamente e mondata di colpa. È ora che la storia trionfi sulla leggenda oscura, tragicamente tenebrosa, che adombra e avvolge ancora la fama di un soldato sfortunato, colpevole soltanto di aver mancato il successo finale. In quell’ora di follìa collettiva, cagionata dal grande rivolgimento sociale, la cronaca fu scritta, come sempre, dai vincitori e, quindi, servì poi a fabbricare la pseudostoria che ancora si insegna nelle nostre scuole per screditare l’antica sovranità borbonica.
Fenomeno, questo, costante, che si ripete ad ogni avvenimento storico che turbi gli abituali rapporti sociali, specie per quanto riguardano gli interessi e la religione. Senza la rivoluzione francese, scrisse Balzac nello studio su Caterina dÈ Medici, la critica applicata alla storia avrebbe certamente preparato gli elementi per una buona e vera storia di Francia. Così dicasi per l’Italia.
Il temuto e famoso legittimista, al quale furono troppo spesso attribuiti orrori ed iniquità commessi da altri capimassa, è pienamente rivalutato, tra gli altri, da Victor-Marie Hugo, nella cui casa, sotto il ritratto del padre, generale napoleonico, si definisce il Pezza nazionalista e legittimista, gettando uno squarcio di verità su questo personaggio mitico e leggendario, denso di suggestione e pregno di arcano sapore. Il grande poeta e romanziere, conquistato dal suo coraggio, dal suo valore e dalla sua abnegazione, deplorò che la storia esitasse sul colonnello borbonico, verso cui ebbe sempre una fervida ammirazione, usando eque e generose parole e rompendo le trame ordite da libri, da pamphlets e da giornali prezzolati, fatti stampare dal Paese dominante, a scapito della vera storia. Strumenti, questi, di cui usufruiva l’imperatore Napoleone Bonaparte per attuare i suoi disegni di conquista, grazie a mestatori che cercavano la maniera migliore per far fortuna, uomini voracissimi, soverchiatori e ladri, che rubavano a man bassa.
Il capo della scuola romantica, colui che ha esaltato sopra di ogni altra cosa l’anima umana, con quell’atto di imparzialità storica, volle riparare i gravi torti portati dalla leggenda interessata e partigiana alla fama di Michele Pezza, che fu un singolare guerrigliero, in lotta pro aris et focis, fedele al suo re, usque mortem, geloso custode del sacro suolo nazionale, violato e reso sterile dalle strapotenti forze francesi. Egli fu un vero precursore del Risorgimento, nella sua passione di indipendenza. Se anche non è cittadino plenus iuris del posteriore Risorgimento, pur vi ha qualche posto. Un uomo che seppe sempre battersi da leone, intelligentemente e con un disinteresse che lo portò a sacrificare tutto: la vita e ben tredicimila ducati, sborsati dalle sue tasche, per la paga alle masse, che non vennero, in seguito, mai risarciti ai suoi familiari. Pur avendo molte ragioni di risentimento, perché Ferdinando IV non volle riconoscere le obbligazioni assunte da lui per il finanziamento del blocco di Gaeta e della spedizione di Roma, Michele Pezza rimase disciplinato ed obbediente al suo sovrano, fino in fondo, pur sicuro della sua sconfitta, mettendo in pratica il celebre verso di Orazio: “È dolce e bello morir per la patria”, contro gli oppressori. Molliter ossa cubent! Questa tenace fedeltà ad un monarca pur ingrato e codardo, questo contegno coraggioso di fronte ad un vincitore potente, questo disprezzo della vita e di una brillante carriera non è del bandito e del criminale, ma ha, francamente, dello stoico e dell’eroico. In luogo dell’imminente supplizio, attendevano la giovane consorte e due tenere creature, Carlo e Clementina.
Ben lo compresero i francesi, i quali, con giudizio politico, lo impiccarono, perché egli, oltre ad essere un convinto paladino della causa borbonica ed un...