Otto mesi più tardi appare il primo dei due racconti dedicati alle “avventure” sulle coste adriatiche. Verso la fine, la ragazza amata dal protagonista - la quindicenne Andreina - muore annegata. Ma si tratta di realtà o sogno, di verità o trasfigurazione? Infatti, nella seconda delle narrazioni “estive” Andreina è ancora viva. Ammesso che fra i due testi vi sia un legame cronologico, è abbastanza improbabile che l’autore abbia fornito gli scritti per la pubblicazione in ordine inverso o che la redazione sia caduta in errore.
NUVOLE E MARE
(21 gennaio 1936)
La nostra villa dà sul mare.
Ritorniamo dal largo con la vela stormente sulla testa ed essa ci saluta ancor prima della mamma, tutta gioiosa di scarlatto.
È allegra e buona come una fanciulla campagnola.
Lo stile non conta.
Non importa se due file di scale candide ai lati le allargano i fianchi. Ride e ci accoglie.
Ci accoglie sotto l’arco del terrazzo che vede da Cervia alla Punta di Pesaro l’infaticabile vagabondaggio delle vele.
Queste non sono basi per un palazzo.
Ma per noi è come un palazzo.
Ed anche per la gente del luogo.
Il postino, un ometto nero nero in una divisa bianca, tanto nero che il suo viso aguzzo pare una pupilla, la chiama “palazz”. Io non so. Forse così nel dialetto locale si dice capanna.
Ma due pini davanti al cancello si ergono come due camerieri in frac.
Quando un estraneo entra, bisbigliano.
Li ode allora Lulù distesa sul terrazzo a sciogliersi di sole, balza iraconda sulle quattro gambette elettriche, e urla urla come se avesse in gola una serpe.
È il lattaio. O il fornaio. O il carbonaio.
Lulù non li conosce.
È padrona assoluta. Non sa di promiscuità.
Quando il lattaio, o il fornaio o il carbonaio si allontanano bestemmiando e sbattendo il cancello, i pini si inchinano mormorando aggiustandosi la zazzera; Lulù si acqueta, allunga la testa triangolare sopra le zampe, snoda il corpicino nervoso voluttuosamente, socchiude gli occhi.
Per lei le vele non hanno significato.
A ognuno il suo.
Quando era sera si andava in paese.
Mio padre compra il pesce. Lo chiamano il re del pesce.
Lo conoscono tutti.
«Sgnour Dotour» qua, «Sgnour Dutour» là. Venti trenta braccia di bronzo e rame si protendono verso la sottile taglia di mio padre in bianco offrendo lo stupore sanguinolento delle vittime marine.
Mio padre accontenta tutti e nessuno.
Lulù ringhia all’attonita e orribile bocca di un pescecane «fresco sette lire al chilo».
Le barche sono tutte in porto. Più scafi che acqua, più vele che cielo.
I pescatori scalzi siedono sulle tolde nere di catrame lavate di fresco. Uno vecchissimo di una barca chioggiotta prepara la cena per la famiglia.
Lo aiuta un bambinetto d’una decina d’anni.
Sono certo parenti. Mi guardano con gli stessi occhi grigi. Con curiosità. Come se io fossi un pesce di nuovo genere non mai capitato nelle reti ora stese tra albero e albero.
Poi quando la minestra è pronta i quattro uomini si siedono e mangiano lentamente girando attorno gravi occhi di bove.
Nessuna minestra certo è buona come quella.
La nostra villa dava sul mare.
Un viottolo tra le dune, una parata di capanni, una flotta di tende e poi il desiderio infinito dell’Adriatico.
Ghitàn il bagnino vara i suoi mosconi.
Egli è vecchio come uno scoglio. La sua pelle è nera e solcata. Ha una vocetta sottile sottile e cammina barcollando. È povero come Giobbe. A mezzogiorno si regala un ovo cotto sotto il sabbione.
Non parla con nessuno. Eccetto che con Andreina.
Un costumino celeste, due aperti occhi celesti.
Tra le dita l’aria fresca celeste del cielo. Io non saprei definire la grazia di Andreina se non tra un’onda e uno spicchio di cielo. Ha la mia età, quindici anni: sono necessariamente escluso dunque dalla lista dei suoi pretendenti.
Che sono molti.
Ma Andreina ama Maurizio. Egli ha venti anni.
È un “giovanotto”. Io sono un bambino.
Andreina ha un potere straordinario sui vecchi: Ghitàn non parla. Andreina lo guarda e Ghitàn è tutto miele.
- Ghitàn mi dai un moscone?
Ghitàn si precipita sulla riva e vara per lei l’imbarcazione.
È buffo vedere le sue vecchie gambe farsi svelte svelte.
Andreina rema e il suo torso ondeggiante sembra una manciata di grano nel sole.
La sera quando una infinità di stelle fa sembrare il mare capovolto, i “dancing” si riempiono di gente.
I “fox”, le “rumbe”, i “tango” rotolano sugli assi di legno martoriati dalla frenesia di piedi ammaestrati. Poi precipitano e si sommergono.
Non tornano più a galla.
Io non vado ai “dancing”. Non so ballare.
Vado sul molo che sta sul mare come una lunga torpediniera ancorata.
Ghitàn mi presenta a dei suoi amici pescatori.
Scendo sulle tolde immobili, tra le vele immobili, fra l’odore del pesce.
- È bello navigare di notte?
- Ci si vede meglio di giorno - mi fa un vecchione.
- Potrei venire con voi una volta?
- Perché no? Se si contenta.
Usciamo nel garbino leggero. Il mare non respira.
La notte scivola uguale. Non si pesca. Le stelle mi commuovono al punto da farmi addormentare. Sono proprio sciocco. Perdo perfino l’alzata del sole. Lo schioccare delle vele mi desta. I tre della ciurma mi sbirciano ironici.
- Bella eh la giornata!
Non rispondo. La terra è lontana come un velo.
Passa la giornata tra la noia. Il puzzo del pesce mi stomaca, i disperati balzi dei cefali morenti mi fan pena.
Ritorno. Mille grazie. Sorrisi ironici.
Andreina: - Bella la gita?
- Bellissima - mastico. Sono decisamente uno sciocco!
Maurizio è un bel giovane. Tutte le ragazze della spiaggia se lo contendono. Ma lui bada alle signore.
- Con le signore c’è gusto...
E così non ci segue nelle nostre scorribande in barca e nella pineta.
Qualche volta solo, per tener buona Andreina.
Allora si appartano e si dicono le parole più dolci. Lei lo guarda negli occhi, gli accarezza con due dita le gote e le palpebre. E si baciano furtivamente.
Ma allora il sole mi sembra più scuro, il mare monotono, e mi viene il cattivo umore.
Andiamo sulla spiaggia in cerca di conchiglie.
Andreina batte i piedini sulla schiuma delle onde fini come seta e l’acqua ricopre le orme.
Piccole grida ci avvertono che ella ha scoperto qualche cosa. Una conchiglia rara, maculata come la fronte d’un leopardo.
- Guardate guardate!
Mi vien voglia di baciarle le mani.
Maurizio è sostenuto. Si annoia. Guarda il mare, il cielo, poi resta a occhi fissi a terra come se pensasse a chi sa cosa.
Andreina se ne accorge.
- Vedi tu non puoi divertirti con me.
- Perché sei una sciocca bambina.
Maurizio motteggia. Una piega di dispetto divide le ciglia di Andreina. Poi scoppia a piangere.
Maurizio la consola.
Se ci fosse una ragione prenderei a pugni quel bellimbusto!
Maurizio è un assiduo dei “dancing”.
Per Andreina, che non vi può andare, egli è come un nume.
Quando, vestito di bianco passa sul viale, fischietta.
Andreina gli corre vicino: - Dove vai?
- Al ballo.
- Come sei elegante!
- E tu come sei graziosa!
- Ma a me tocca restare a casa.
- Quest’altro anno verrai anche tu.
«Sei troppo piccola» canticchia.
- Stupido - Andreina si imbroncia e si allontana. Maurizio va al ballo.
- Stupido - dico io.
Ma Andreina non perde il ballo. È là a spiare tra le fessure della palizzata che protegge l’orchestra. Io le son vicino. Gli occhi le si sgranano vedendo Maurizio danzare pavoneggiandosi come un tacchino nel suo vestito candido.
Egli balla con una bella giovane signora inguainata in un lungo abito bianco. Fanno un bellissimo effetto. Sembrano nati l’uno per l’altra.
Andreina freme. La mattina dopo sono pianti e scene dietro i capanni. Io assisto non visto.
Poi torna la pace in un bacio. Non guardo Andreina. Mi par di vederle sulle labbra l’impronta di quel bacio.
Ma dov’è Maurizio?
Ghitàn è un filosofo. Per questo dà a nolo i mosconi a metà prezzo.
È molto saggio. Ma è sempre povero. Non so se ci sia una relazione fra queste due qualità. Forse sì.
Cammino senza scopo sulla riva. Mi si avvicina misterioso.
- La donna è la rovina dell’ umano. E insiste ammiccando sulla parola “umano”.
Poi torna ai suoi mosconi. Io alle mie nuvole.
Il mare si ingrossa sempre più.
Si copre il cielo, il vento sale dal largo come un drago di centomila gole.
I capanni e le ultime tende volano all’aria, e si sfasciano e si stracciano.
Andare sulla spiaggia mi sa d’avventura.
Andreina veniva anche lei sulla spiaggia avvolta in uno scialle di lana; era strana.
Altre volte, con una lucida febbre negli occhi, parlava parlava con me. Diceva di amarmi.
Poi un giorno le viene in mente di fare il bagno.
- Voglio fare il bagno.
- Ma, cara, è una pazzia.
- Se sei un poltrone rimani, io vado.
Non fiatai. Il mio amore si era afflitto di tutto dolore e di silenzio.
Rivedo il suo costumino azzurro ingoiato da un mare avido e verdastro.
Una grande calma si sovrapponeva alla mia ansia atroce. La mia ansia si flagellava di rassegnazione.
Una preparazione calma, passiva, mi legava le gambe, le braccia.
Vedevo tra me e Andreina due occhi chiari.
Attoniti.
Non mi moss...