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Stormi in volo sull'oceano
Informazioni su questo libro
In questo libro Italo Balbo racconta, in forma semplice e avvincente, la storia della straordinaria impresa aviatoria che egli stesso ideò, organizzò e diresse. Poco dopo la mezzanotte del 17 dicembre 1930, dodici idrovolanti Savoia-Marchetti «s.55.a» si levarono in volo dalla baia di Orbetello alla volta di Rio De Janeiro, dove arrivarono - non senza lutti e incidenti - il 15 gennaio 1931. Gli idrovolanti di Balbo compirono così la prima crociera aerea transatlantica di gruppo.
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Informazioni
Argomento
StoriaCategoria
Storia militare e marittimaCAPITOLO III. UOMINI E MACCHINE
La crociera avrà inizio ad Orbetello. Facciamo assieme ai lettori una visita al nido delle aquile prima che esse spicchino il volo. Ne avremo insieme un ricordo indelebile. Gli italiani credono forse ancora che i grandi raids siano frutto di una più o meno audace improvvisazione e che la dea Fortuna voli sull’unica ruota, con una benda bianca sugli occhi, come ai tempi del mito, davanti agli stormi vittoriosi. No. La benda è caduta da un pezzo dalla fronte della capricciosa giovinetta: e se per sua virtù resta ancora un certo margine di imprevisto alle imprese degli uomini, questo margine tende a restringersi di giorno in giorno. Già nelle crociere precedenti il calcolo delle probabilità era largamente a nostro favore. Per la crociera atlantica esso si è fatto anche più propizio. A rendercene convinti basterà dare uno sguardo breve ai particolari tecnici dell’impresa.
Tranquillizzo subito i miei lettori. Scorrendo questo capitolo non si annoieranno. La materia è di alto interesse anche per un profano. La nostra moderna sensibilità ci induce ormai a scoprire maggiori elementi di bellezza e di grazia in una macchina che in un modello di statua greca. Qui sono pienamente d’accordo con Marinetti. Basta un primo sguardo all’S. 55, sia che volteggi in aria come un candido airone, ad ali spiegate, con la sua leggerezza quasi diafana sotto il bacio del sole, sia che dondoli a fior di acqua, sugli scafi gemelli, come un uccello acquatico appena posato da un lungo viaggio e ancora librato a mezz’aria nel fremito del volo. Nulla è più bello nel significato classico della parola, del profilo che esso ci mostra nella linea dolcemente ascendente delle sue delicate nervature, dagli agili scafi alle ali affusolate, col possente motore issato in alto come una testa d’aquila in agguato.
Visitiamo dunque questi apparecchi. Noi già li conosciamo da lungo tempo. È forse il più popolare idrovolante del mondo. Ha una storia gloriosa. Che novità vi hanno portato oggi i costruttori? Soltanto qualche piccola trasformazione. Sullo scafo i costruttori si sono limitati a qualche ritocco, affinché l’apparecchio decolli più facilmente. A poppa lo scafo termina ora a punta, in uno sperone ricurvo, che è destinato ad affondarsi nell’acqua come il vomere d’un aratro, mentre prima finiva in una coda piatta a becco d’anitra. Altre modificazioni serviranno a sistemare meglio il carburante e a rendere il fondo più resistente nella corsa sull’acqua. Lo sperone terminale degli scafi avrà importanza soprattutto nell’ammaraggio; esso servirà sia come freno, sia come elemento di equilibrio.
Anche al castello dei motori è stata apportata qualche minuscola innovazione. Del tutto nuova è la sistemazione della cabina di comando, che è diventata una vera e propria limousine. Essa è unica, comoda, spaziosa ed ermeticamente chiusa a vetri, per proteggere i piloti dalle intemperie. Gli strumenti di precisione sono stati disposti sul cruscotto in modo da renderli contemporaneamente tutti visibili; i due seggiolini dei piloti, più bassi e più lunghi, si prestano al riposo alterno. Il completo isolamento della cabina di comando permetterebbe ai piloti di fumare. Nell’apparecchio di Maddalena, divoratore di sigarette (io ho quasi smesso il viziaccio!), vi è un accendisigaro elettrico e un portacenere ad acqua. Il sistema di illuminazione elettrica è agevole e più che sufficiente per tutte le operazioni di bordo: comunque tutti i quadranti del cruscotto sono radionizzati e offrono in permanenza durante la notte una bella luce azzurrina. Le istallazioni del radiotelegrafista sono sulla prua dello scafo sinistro: a destra starà di solito il motorista.
Il carburante è disposto in quattordici serbatoi affiancati nella parte centrale di ciascuno scafo: sei di essi hanno la capacità di 630 litri e gli altri otto di 205 litri. L’apparecchio a pieno carico porta dunque cinquemilaquattrocentoventi litri di carburante. Questo, composto di benzina e benzolo, pesa chilogrammi 0,750 ogni litro: complessivamente quindi vi saranno a bordo quattromilasessanta chilogrammi di carburante. I serbatoi comunicano tra di loro attraverso il ponte che collega i due scafi. Qui vi è un serbatoio collettore, da cui la miscela viene aspirata con quattro pompe azionate dai motori (in numero di due per ogni motore). Con questo sistema si è perfettamente tranquilli sulla immissione del carburante nei motori e sul livello costante del carburante nei due scafi. Ad ogni modo, tra i vari serbatoi resta tanto spazio da permettere al motorista una continua vigilanza.
Sul castello, fra i due motori, è collocato il serbatoio per l’olio: un altro è disposto nell’interno dell’ala: quest’ultimo immette l’olio, per mezzo di una pompa a mano, nel primo, dal quale i motori lo aspirano meccanicamente.
Quantunque le modifiche apportate all’apparecchio atlantico non siano state poche, tuttavia le «caratteristiche d’ingombro» restano le stesse dell’apparecchio normale S. 55: apertura massima metri 24, lunghezza metri 16, altezza metri 5, profondità massima dell’ala m. 5,10, superficie portante metri quadrati 93. Invece è notevolmente aumentato il peso dell’apparecchio a pieno carico, che è di circa diecimila chilogrammi. Il peso lordo dell’apparecchio, senza il carburante, senza l’equipaggio e le scorte varie, è di circa cinquemila chilogrammi.
Qualche parola sul motore. Esso uscì, come ho detto, dalle officine «Fiat» verso la metà del 1927 e servì al raid Ferrarin-Del Prete e al record di Maddalena. Il Fiat A. 22 R. è di dodici cilindri raffreddati ad acqua e disposti su due file convergenti ad angolo di sessanta gradi. I cilindri hanno un diametro di centotrentacinque millimetri: la corsa è di centosessanta millimetri: la cilindrata di cm. 3 ventisettemilanovecentoventi: il rapporto di compressione di 5,5. La potenza è di 560 H. P. a 1950 giri al minuto e a 1260 dell’elica: esso può sviluppare però la potenza massima di 600 H. P. a 2100 giri del motore e 1360 dell’elica. Quest’ultima particolarità è dovuta all’introduzione del riduttore. Questo è ad ingranaggi cilindrici, a denti dritti, con ammortizzatore elastico e a frizione. Il riduttore permette, come è noto, di diminuire i giri dell’elica rispetto a quelli dell’albero motore, per cui il motore può viaggiare al massimo della sua potenza senza subire il tormento del moto troppo vorticoso dell’elica; e questa può sollevare e spingere l’apparecchio quando il motore è messo a tutto regime senza il pericolo di deformarsi. Il rapporto tra il motore e l’elica è circa da uno a due. L’importanza di un’elica a passo più forte con un numero minore di giri, permette di sfruttare il motore soprattutto alla partenza. Il riduttore era indispensabile per sollevare un carico così pesante sopra una superficie marina, la cui resistenza al decollo è ben nota. Non che il riduttore sia una novità . Esso esisteva già al tempo della guerra. Gli inglesi ne hanno fatto un’esperienza di anni e i francesi lo avevano collocato fin dal ’18 e ’19 sul Farman. La «Fraschini» lavorava da un decennio in riduttori. Ciò non toglie che l’applicazione di esso sul Fiat rappresenti una delle più pratiche risorse meccaniche e ci permetta di considerare la Crociera Atlantica da un punto di vista nuovo.
Il peso completo del motore col mozzo d’elica, il dispositivo d’avviamento e il comando degli organi accessori, raggiunge i 517 chilogrammi. È peso minimo rispetto alla sua potenza. Si è arrivati a questo risultato con una intelligente e laboriosa selezione del materiale. Il basamento del motore è in alluminio; i cilindri sono di acciaio con camicie d’acqua di lamiera saldate e sono collegati superiormente dalle scatole della distribuzione: questa è a valvole doppie, valvole in testa, con alberi distributori, uno di aspirazione e uno di scarico su ogni fila di cilindri. Gli stantuffi sono di alluminio con due anelli di tenuta, uno dei quali raschia olio in alto e l’altro in basso. L’albero motore è su sette supporti lisci, con cruscotto anteriore a rulli. La lubrificazione vien fatta con pompe ad ingranaggi, uno di andata e due di recupero. L’alimentazione è regolata da una pompa a stantuffi. L’accensione è doppia e indipendente: due candele per ogni cilindro, due magneti Marelli M. F. 12. L’influenza elettrica esterna, e soprattutto quella molto pericolosa della stazione radio di bordo, non possono disturbare l’accensione del motore perché sia i magneti, sia i cavi, sono completamente schermati.
Il raffreddamento ad acqua è regolato da una pompa centrifuga. L’avviamento avviene ad aria compressa carburata e per mezzo di un magnetino di avviamento ad accensione doppia e indipendente.
Ho detto che le macchine hanno una loro suggestiva bellezza. Il Fiat dell’apparecchio atlantico, issato sul castello motore, con le sue bocche di scarico da cui escono lingue di fuoco, le sue teste brunite alternativamente mosse in un palpito molteplice, col suo rombo regolare e potente, è veramente bellissimo. Solo chi sa che cosa vuol dire il motore nella vita avventurosa dei cavalieri del cielo, può comprendere lo sguardo d’amore e di orgoglio con cui i piloti atlantici accarezzavano, nelle settimane precedenti la crociera, il loro motore, argenteo-nero cuore della macchina armoniosamente pulsante nell’attimo del decollo sulle loro teste. Forse, così un tempo, gli audaci paladini esaltati dalla leggenda e cantati dai poeti, miravano il bel destriero dalla fulva criniera, compartecipe dei rischi e della gloria delle imprese imminenti.
Un oggetto di meraviglia per i profani sarebbe stato senza dubbio il cruscotto, sul quale erano allineati gli strumenti di precisione e i loro quadranti. Quanti strumenti delicati, sensibili capolavori di ingegnosità e di pazienza! Ogni apparecchio possiede: due contagiri, due manometri per l’olio, due manometri per la benzina, quattro aerotermometri, due per l’olio e due per l’acqua. Un orologio, oltre ai cronometri per i calcoli di navigazione: due sbandometri o indicatori di virata, per indicare l’inclinazione dell’apparecchio sull’asse trasversale: due inclinometri per l’inclinazione sull’asse longitudinale: un indicatore del livello di benzina: un comando a bowden delle persiane per aumentare o diminuire la superficie di raffreddamento dei radiatori. Tutti strumenti installati sul cruscotto. Ma non erano i soli né i più importanti.
Il concetto fondamentale della organizzazione tecnica era stato, fin dal principio, che ogni apparecchio si dovesse considerare come un piccolo bastimento destinato a navigare, con le regole marine, per aria, invece che sull’acqua, e con le ali invece che con l’elica. Tutto ciò, quindi, che aveva attinenza con l’attrezzatura marinaresca e nautica, fu curato in modo particolare. Al pilota della crociera atlantica non doveva far difetto qualsiasi mezzo fosse ritenuto idoneo, non soltanto durante una eventuale permanenza in mare dell’apparecchio (à ncora galleggiante per opporsi alla deriva, gaffe, ramponi, ormeggi ecc.). ma anche, e soprattutto, l’indispensabile per il comando dell’apparecchio in volo, secondo le norme della navigazione astronomica. Infatti l’attrezzatura nautica dell’S. 55 atlantico permette ai navigatori di compiere sopra un leggero tavolinetto, situato a prua dello scafo sinistro, tutti i calcoli e il carteggio necessario alla navigazione: portolani, rapportatori, squadre, compassi e parallele, quaderno delle effemeridi, regoli, cronometri, sestante e bussola.
Mai, forse, prima della crociera atlantica, era stata data tanta importanza alla navigazione astronomica. Questa volta, gli equipaggi la sapevano più lunga dei marinai: ogni apparecchio doveva regolare la rotta coi suoi strumenti, conoscere esattamente l’uso razionale della bussola e del sestante. Le due bussole installate su ogni apparecchio erano del tipo Smith. Oltre alle proprietà magnetiche, la bussola Smith possiede un sistema di sospensione che la rende indipendente da qualsiasi vibrazione dell’apparecchio. Quanto al sestante esso serve, come è noto, a misurare l’altezza dall’orizzonte dell’astro osservato, ossia determina l’angolo, sotto il quale si vedono dall’osservatore l’astro e l’orizzonte. La misurazione del triangolo sferico poteva esser fatta dai nostri piloti in pochi secondi, per mezzo di un sestante e di un regolo che agiva meccanicamente con estrema semplicità , grazie alle tabelle di Simeon. Ma quanta benzina sarebbe occorsa per ogni apparecchio? Ecco una domanda che ci eravamo posti parecchie volte.
Il consumo previsto per la crociera era di circa 190 chilogrammi per ogni ora di volo, con i motori a 1800 giri, alla velocità media di 165 chilometri all’ora. Ogni apparecchio avrebbe dovuto consumare quindi chilogrammi 1,160 di benzina al chilometro. Questi risultati, verso la fine di novembre, si potevano ritenere ormai definitivamente acquisiti da una esperienza perfetta.
Gli esperimenti erano stati compiuti in Italia dove la temperatura è quasi costante e la densità atmosferica è tale da consentire facilmente i decollaggi a pieno carico. L’apparecchio, come ho detto, fu provato però anche a Bolama, cosicché i nostri calcoli, alla vigilia della crociera ci davano la garanzia di una autonomia di 3.500 chilometri, superiore quindi di 500 chilometri al percorso della più lunga tappa: la transvolata atlantica. Per regolare la velocità e impedire le deviazioni di rotta, agli strumenti già descritti, fu aggiunto un derivometro, ossia uno strumento con cui è possibile calcolare approssimativamente la deriva, cioè gli spostamenti sulla rotta dovuta alle correnti aeree e ai turbamenti atmosferici. Ogni apparecchio poi ebbe due indicatori di velocità : uno per ogni pilota. Con la conoscenza della velocità propria e con la misura della deriva si sarebbe ottenuta la velocità effettiva dell’apparecchio rispetto alla superficie terrestre, ossia il calcolo dei chilometri percorsi, in base alle ore di volo effettuate.
Speciale cura fu data alla stazione radio. Essa fu oggetto di un intenso studio. La radio degli apparecchi atlantici era a onda corta e a onda lunga; permetteva la trasmissione e la ricezione della radiotelegrafia e della radiotelefonia oltre all’uso della radiogoniometria. Poteva far comunicare gli apparecchi tra di loro, mettere in relazione gli apparecchi con le navi da guerra; e infine collegare direttamente gli apparecchi con le basi costiere. Tutti questi esperimenti erano stati fatti fino dal dicembre del 1929 allorché il Capitano Cagna poté comunicare da Bolama con Roma. La stazione dell’idrovolante aveva tre sistemi di aereo: uno in alto fra l’ala e i timoni, uno in basso sotto lo scafo, e infine un altro disteso entro l’ala. Ogni pilota aveva dovuto fare un corso speciale di radiotelegrafia: i 14 radiotelegrafisti erano stati scelti in mezzo a 150 candidati, inviati per esperimenti ed esami ad Orbetello.
Oltre alla stazione radio, a bordo di ogni apparecchio era stata installata una lampada Donath con la quale si potevano fare segnalazioni luminose con l’alfabeto Morse tra apparecchio e apparecchio durante la notte, per diminuire il numero delle segnalazioni radiotelegrafiche e radiotelefoniche. Per mezzo della radio ogni apparecchio avrebbe ricevuto gli ordini dal proprio comandante di squadriglia e, dalle navi, le informazioni sulle condizioni atmosferiche che si sarebbero verificate lungo la rotta.
Per gli eventuali ammaraggi durante le ore della notte era stato adottato uno speciale razzo a paracadute che poteva essere lanciato dall’apparecchio con una manetta posta a fianco del pilota. Il razzo fa una larga luce in basso e poiché mentre cade si consuma e diminuisce di peso, può restare in aria fino a tre minuti e mezzo, trattenuto dall’apposito paracadute. Ciò permette all’apparecchio di discendere a luce quasi solare in qualsiasi momento della traversata.
L’uso dei razzi a paracadute era previsto soltanto nei casi di ammaraggio forzato, perché il decollo notturno da Bolama sarebbe stato compiuto alla luce lunare. A Orbetello era stato sperimentato durante il periodo della preparazione un altro sistema di illuminazione: cioè il sentiero luminoso. Sia per il decollaggio sia per l’ammaraggio durante la notte, erano stati disposti sul lago, in lunga fila, molti gavitelli galleggianti, dipinti di bianco. Un riflettore illuminava a fior d’acqua la linea dei gavitelli, precisamente come i fari di una automobile illuminano i paletti bianchi messi ai margini di una strada. L’apparecchio, decollando e ammarando, aveva davanti a sé, nitidamente segnata, la strada da percorrere.
Ed ora ecco i nomi degli equipaggi definitivamente prescelti per la crociera:
SQUADRIGLIA NERA
APPARECCHIO «IBALB»
S. E. Gen. BALBO Italo
Cap. Pil. CAGNA Stefano
Ten. R. T. VENTURINI Gastone
S. Ten. Mot. CAPPANNINI Gino
APPARECCHIO «IVALL»
S. E. Gen. VALLE Giuseppe
Cap. Pil. BISEO Attilio
Serg. Mot. GADDA Erminio
M.llo R. T. CARRASCON Antonio
APPARECCHIO «IMADD»
Ten. Col. MADDALENA Umberto
Ten. Pil. CECCONI Fausto
S. Ten. Mot. DAMONTE Giuseppe
Serg. R. T. BERNAZZANI Cesare
SQUADRIGLIA BIANCA
APPARECCHIO «IAGNE»
Cap. Pil.: AGNESI Alfredo
Ten. Pil.: NAPOLI Silvio
Serg. Mot.: GASPARRI Ostilio
I° Av. R. T.: VIRGILIO Giuseppe
APPARECCHIO «IDRAG»
Cap. Pil.: DRAGHELLI Emilio
Ten. Pil.: LEONE Leonello
Serg. Magg. Mot.: BIANCHI Bruno
I° Av. R. T.: GIORGELLI Carlo
APPARECCHIO «IBOER»
Cap. Pil.: BOER Luigi
Ten. Pil.: BARBICINTI Danilo
Serg. Mot.: NENSI Felice
Serg. Magg.: R. T. IMBASTARI Ercole
APPARECCHIO «ITEUC»
Ten. Pil.: TEUCCI Giuseppe
Ten. Pil.: QUESTA Luigi
Serg. Magg.: Mot. ZANA Armando
I° Av. R. T.: BERTI Giuseppe
SQUADRIGLIA ROSSA
APPARECCHIO «IMARI»
Cap. Pil.: MARINI Giuseppe
Cap. Pil.: MIGLIA Alessandro
M.IIo Mot.: BERALDI Salvatore
Serg. R. T.: GIULINI Davide
APPARECCHIO «IDONA»
Cap. Pil.: DONADELLI Renato
Ten. Pil.: RATTI Pietro
Serg. Mot.: PERINI Raffaele
Serg. R. T.: GREGORI Ubaldo
APPARECCHIO «IRECA»
Cap. Pil.: RECAGNO Enea
Ten. Pil.: ABBRIATA Renato
Serg. Mot.: FOIS Luigi
Serg. R. T.: MANCINI Francesco
APPARECCHIO «IBAIS»
Cap. Pil.: BAISTROCCHI Ugo
Ten. Pil.: GALLO Luigi
I° Av. Mot.: GIROTTO Amedeo
Serg. R. T.: FRANCIOLI Francesco
SQUADRIGLIA VERDE
APPARECCHIO «ILONG»
Magg. Pil.: LONGO Ulisse
Cap. Pil.: BONINI Guido
Ten. Mot.: CAMPANELLI Ernesto
M.llo R. T.: PIFFERI Mario
APPARECCHIO «ICALO»
Ten. Pil.: CALÃ’ CARDUCCI Jacopo
Serg. Pil.: MORETTI Ireneo
Serg. Mot.: ROMIN Augusto
I° Av. R. T.: MASCIOLI Tito
APPARRCCHIO «IDINI»
Ten. Pil.: CANNISTRACCI Letterio
Ten. Pil.: VERCELLONI Alessandro
Serg. Magg. Mot.: MAUGERI Vittorio
Av. Sc. R. T.: SIMONETTI Augusto.
Le quattro squadriglie erano distinte dal colore nero, che è quello dei gagliardetti fascisti, e dal bianco, rosso, e verde, che formano la bandiera italiana. Ogni apparecchio portava nella parte superiore dell’ala una striscia col colore della propria squadriglia.
Nella formazione degli equipaggi fu lasciata al primo pilota una certa libertà nella scelta del compagno. Prevalse il criterio dell’affiatamento assoluto tra le persone destinate ad affrontare ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- STORMI IN VOLO SULL’OCEANO
- Indice
- Intro
- STORMI IN VOLO SULL’OCEANO
- CAPITOLO I. FANTASIE ATLANTICHE
- CAPITOLO II. IL NIDO DEGLI AQUILOTTI
- CAPITOLO III. UOMINI E MACCHINE
- CAPITOLO IV. VIGILIA EROICA
- CAPITOLO V. LA NOTTE DI ORBETELLO
- CAPITOLO VI. LA PRIMA TAPPA
- CAPITOLO VII. DA CARTAGENA A KENITRA
- CAPITOLO VIII. LA COSTA DELLA DESOLAZIONE
- CAPITOLO IX. NATALE AI TROPICI
- CAPITOLO X. BOLAMA
- CAPITOLO XI. PER L’ALTO MARE APERTO
- CAPITOLO XII. NATAL
- CAPITOLO XIII. BAHIA
- CAPITOLO XIV. RIO DE JANEIRO
- MESSAGGIO DI MUSSOLINI
- Ringraziamenti