
- 176 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Meravigliose
Informazioni su questo libro
Lo sappiamo: le nostre personalità sono sfaccettate, variopinte, caleidoscopiche. Ma ci siamo mai soffermate a valutare di quanta ricchezza siano portatrici le diverse voci che ci abitano? La creatività di Musa, l'indipendenza di Spavalda, l'accortezza di Cassandra... Dieci ragazze che vivono dentro di noi, in una sorta di condominio interiore caotico e vitale. Con delicatezza e ironia, questo libro ci mostrerà luci e ombre di ciascuna, per imparare a conoscerle e a gestirle. E per comprendere come ogni ragazza sia a suo modo meravigliosa. Proprio come noi.
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Informazioni
Argomento
PsicologiaCategoria
Personalità in psicologia
MUSA
Nella parte superiore della nostra carta/regina fuoriescono dalla testa di Musa germogli e scintille creative; nella parte inferiore, invece, il suo sguardo sembra perdere ogni capacità di focalizzazione e la mente è offuscata dalle nuvole della continua divagazione onirica. Il fiore che tiene in mano è un’eliconia, pianta simbolo di creatività e delle arti (il nome deriva dal monte Helicon dove dimoravano Apollo e le Muse).
— Giornata prima —
Musa
È capitato a tutte, ne sono certa: viaggi tranquilla lungo le strade dell’esistenza e all’improvviso sei folgorata da un’intuizione, un’idea comparsa dal nulla che getta nuova luce su quanto vedi intorno a te. Ti mostra una deviazione inattesa dalla via più scontata, ti spinge a rompere gli schemi e a imboccare un percorso sconosciuto, un sentiero poco battuto che sembra forse un po’ folle, ma proprio per questo è così allettante…
In quei momenti, lì con noi, c’è Musa. Lei vive nell’attico del nostro condominio interiore e da lassù – nel suo appartamento con soffitto a vetri che le consente di perdersi nell’oltre, senza confini spaziali né temporali – sovrasta la nostra quotidianità fatta di abitudini, schemi e routine. Musa è la nostra parte creativa. Idee, sogni, progetti, visioni… il suo campo d’azione spazia dal «Voglio ridipingere tutte le pareti della casa in tonalità pastello ispirate alle tecniche della cromoterapia» a un netto e sintetico «Salverò il mondo», passando attraverso l’impulso a iscriversi all’ennesimo corso di un qualunque argomento (l’interesse si estende dal corso di cake design a quello di pole dance arrivando a includere la meditazione trascendentale) che ovviamente non seguiremo mai.
Che meraviglia farsi spronare dalla sua voce, avvertire che tutto è possibile, sentire quant’è potente la nostra capacità di generare, sognare, immaginare persino l’inimmaginabile e trarne un qualcosa che sia solo nostro, unico. Lei è bravissima a mostrarci il quadro generale da prospettive diverse, a farci vedere la vie en rose anche quando di rose non c’è proprio nulla, a farci sentire ispirate e d’ispirazione. Ci ricorda di non limitarci ad accettare le cose così come sono, e ci spinge a coltivare il desiderio della scoperta e della creazione, per disegnare la nostra vita come piace a noi.
Inoltre, tra tutte le ragazze che ci abitano è quella che meglio interpreta la straordinaria rete di connessioni tipica del cervello femminile. Secondo lei, ogni cosa che accade dentro o intorno a noi è collegata a tutte le altre, all’universo intero. Basta un niente, un dettaglio a malapena percettibile in un pomeriggio piovoso, per accenderla e far rombare la nostra immaginazione. Perché Musa parte in quarta – ma anche in quinta, in sesta – e in un lampo collega lavoro, carriera, autorealizzazione, successo, soldi, shopping (servono altri soldi!), progetti, io, gli altri, l’ecosistema, il mondo. Cosa si aspetta il cosmo da me? E cosa mi aspetto io da lui? O da me stessa? Senza nemmeno rendercene conto, abbiamo imboccato un’autostrada a cinque corsie che sembra più che altro una pista per gli autoscontri: connessioni che fanno convergere in un unico pensiero colleghi, capi, clienti, famiglia, figli, cani, babysitter, dogsitter, fratelli, genitori, nonni, antenati, archetipi, karma, leggi universali. Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande e poi giù di nuovo, in picchiata, nel dettaglio da cui eravamo partite e che nel frattempo ha dato origine a centinaia di progetti, più o meno verosimili (più meno che più), in un mirabolante effetto matrioska che da un’idea ne tira subito fuori un’altra, e un’altra e un’altra ancora…
Intanto si sono fatte le cinque, e noi siamo ancora a letto. Di concreto abbiamo fatto… niente! Al massimo qualche cuoricino disegnato col dito sul vetro appannato dalla pioggia, o qualche scarabocchio (che sarebbe interessante sottoporre a Freud) su una vecchia to do list, conditi da domande buttate a casaccio nell’universo e alle quali nemmeno ci sforzeremo di cercare una risposta. In fondo, non è che possiamo fare sempre tutto noi.
Ed è questo il punto chiave: la realizzazione pratica di ciò che Musa immagina e desidera viene immancabilmente delegata a qualcun altro. Al fato, alle energie cosmiche, alla fortuna… non importa. Basta che lei non debba alzare un dito. Lei si limita a immaginare, nel senso letterale del termine: crea immagini di ciò che sarebbe bello, per noi e per il mondo.
Quando è Musa a prendere le redini del pensiero, la velocità della nostra immaginazione è inversamente proporzionale a quella del nostro corpo, che diventa lento, lentissimo. Al massimo possiamo alzarci dal letto per mettere su una lavatrice, e stare lì a fissare l’oblò per due orette buone, mentre prepariamo il nostro discorso di insediamento alla Casa Bianca o riceviamo una laurea honoris causa in qualche prestigiosa facoltà ; fantastichiamo di sfondare il soffitto di cristallo con un triplo toe-loop e un doppio axel, come perfette pattinatrici, per poi magari affacciarci un attimo al balcone di San Pietro, che fa sempre curriculum. E, in fondo, perché no? Visto che sognare in piccolo o in grande costa uguale, Musa tende alla grandiosità assoluta! Avete presente l’espressione «farsi un film»? È esattamente quel che fa lei: proietta nella nostra mente ciò che ci piacerebbe essere, fare o realizzare. E lo fa senza risparmiarsi, con magnificenza hollywoodiana; entra nei minimi dettagli di regia, studia le intonazioni dei dialoghi, cura gli allestimenti, i costumi, le luci, e abbina al tutto una trascinante colonna sonora.
Approfittando di una domenica solitaria, di un giorno in cui possiamo stare a letto un po’ di più o di un viaggio in treno, metropolitana o auto – insomma, di tutti quei momenti in cui la vita non ci pressa con il fare, e ci lascia invece ampi spazi per sognare – Musa irrompe nelle nostre vite, pronta ad abbellirle con una tavolozza di colori tanto sgargianti che risulta davvero difficile dirle di no.
Voglio farvi un piccolo esempio personale. Durante la quarantena mi apprestavo a scrivere il libro; ebbene, ancor prima di digitare la prima parola, già immaginavo il risultato: un capolavoro! Un bestseller assoluto. Guidata da Musa, riuscivo a visualizzare tutto: le presentazioni, gli applausi, il pubblico commosso, le interviste su YouTube che diventavano virali… E che altro? Be’, ovviamente un film tratto dal libro, con me e Bradley Cooper nel ruolo di protagonisti; il successo, la fama, le facce livide di invidia di quanti non avevano mai creduto in me, e che ora avrei trattato con condiscendenza e glaciale distacco (eccola, la parte oscura di Musa: piccoli pareggi di conti su cui mi soffermo a lungo, e che mi danno sempre un sottile piacere). Poi, a coronare il tutto, l’Oscar. Sì, certo, l’Oscar come migliore attrice protagonista. Ah, che sensazione impagabile sfilare sul red carpet con lo splendido abito rosso che Valentino avrebbe insistito per regalarmi! Oltretutto alle bionde il rosso dona proprio, e in effetti – non per vantarmi – facevo davvero la mia figura. Intanto, mentre immaginavo di ritrovarmi novella guru e sbancare Hollywood (con tanto di numero personale di Bradley Cooper in rubrica, chiaro), il foglio davanti a me restava bianco. Anzi, bianchissimo. La cosa più bianca che avessi mai visto. Passavo le giornate così, tra il letto e la lavatrice, con il computer acceso e il file di testo aperto, ma senza scrivere niente. Ormai lo avrete capito: Musa non scrive. Ha cose ben più importanti da fare.
Così passavano i giorni. Io non buttavo giù una riga che fosse una, ma Musa continuava a farmi vincere premi di ogni tipo, mi recapitava montagne di fiori e centinaia di lettere di ringraziamento da parte di persone cui avevo cambiato la vita, mi faceva invitare a conferenze di caratura internazionale durante le quali facevo sfoggio di un inglese perfetto e mi mostrava campeggiante sulle copertine delle più importanti riviste patinate, intenta a esibire un fisico in perfetto stile Elle Macpherson. (La ricordate? La top model degli anni Ottanta, così bella da essere soprannominata «the Body»…). All’apice di questa sbornia immaginativa, Musa mi ha persino regalato la pruriginosa soddisfazione di vedermi ritratta mezza nuda e coperta di sabbia su un mega poster appeso nell’abitacolo di un camionista. Okay, forse su questo avrei potuto glissare, ma ormai…
E allora perché mai affannarsi a scrivere un libro, passando ore chine sulla tastiera di un computer, una tuta di dubbio gusto addosso, una pinzona per capelli in testa e gli occhi strizzati alla Mr. Magoo, se Musa ci dà la possibilità – senza neanche alzarci dal letto – di ottenere un corpo statuario, sfilare sul red carpet con abiti di haute couture, parlare inglese come una Shakespeare dei giorni nostri e consumare indimenticabili amplessi con Bradley Cooper, magari rintanandosi in un portone spinti dal raptus della passione? O qualunque altra cosa desideriate, ecco…
Intanto, però, cala la sera e ci ritroviamo lì dove eravamo partite: davanti alla lavatrice. Faites vos jeux Mesdames et Messieurs! Rien ne va plus. Pian piano, sempre con estrema lentezza, ci spingiamo fino al frigorifero. Ma mica per mangiare: anche la spesa è immaginaria, quindi in frigo c’è solo un mezzo limone avvizzito che soffre di depressione. No, così, giusto per cambiare aria. Forse dovrei vestirmi, pensiamo, e uscire di casa. Un po’ d’aria fresca – e non refrigerata – mi farebbe bene. Magari potrei incontrare qualcuno, scambiare due parole. Potrei provare a trasformare questi sogni, questi progetti in qualcosa di concreto... Il pensiero non si è nemmeno delineato del tutto, e noi ci siamo già spalmate sul divano.
Il percorso letto-frigo-divano è come il triangolo delle Bermude: poche, di quante incautamente vi si addentrano, tornano indietro… Così rimarremo là , buttate a pelle di orso quasi fossimo spossate da tutto quel lavorare d’immaginazione, a fissare un punto a caso della stanza, la bocca aperta, la testa ruotata leggermente di lato e gli occhi che si muovono verso l’alto in cerca di nuovi favolosi spunti per arricchire il film che ci stiamo facendo. Perse tra le nuvole. E in fondo le nuvole sono un gran bel posto in cui perdersi: il mondo, visto da lassù, è molto più eccitante di quello che viviamo in diretta, quaggiù, con i mille stupidi intoppi che la vita vera è solita opporre ai nostri piani magnificenti. È un po’ come vedere la città sorvolandola in un aeroplano; la lontananza nasconde ogni imperfezione, e possiamo riempire a nostro piacere le aree che non riusciamo a scorgere. E, soprattutto, finché siamo lassù siamo assolutamente autorizzate a non fare nulla. Perché mai scendere?
Nel regno dei sogni tutto è perfetto. La realtà invece… poveretta! Per belle e gratificanti che siano le nostre vite, quella fa sempre un po’ fatica a stare al passo con l’immaginazione. Quindi, è ufficiale: anche per oggi la realtà può aspettare. Magari domani… Ma sì, certo, domani tradurrò in realtà tutti i miei sogni.
In fondo, lo diceva anche Rossella O’Hara: domani è un altro giorno.
Claudia e la sua Musa
Ho sempre ritenuto la creatività uno dei miei tratti distintivi. Adoro sentir nascere un’idea, coccolarla, srotolarla, accarezzarla, pettinarla, e poi lasciarla lì a sedimentare, a depositare… finché non viene il momento giusto per provare a implementarla, a lanciarla. E se poi – come capita a me – non amate questa ultima fase e avete la sensazione di non dare in essa il meglio di voi, si può delegare, e imparare ad affidarsi alle persone giuste, quelle in grado di far atterrare i nostri sogni e trasformarli in realtà .
In ogni caso, ho coltivato la creatività come il Piccolo Principe la sua rosa. Le ho dedicato tempo ed energie. Ho dipinto per anni, e ripreso da poco; ho sempre inventato fiabe per le mie figlie, a puntate e capitoli che si legavano a formare stagioni e romanzi; ho preparato giochi a squadre per ogni gruppo nel quale mi sono ritrovata, anche nelle situazioni più assurde; ho organizzato feste per compleanni inesistenti; ho provato a cucire gonne poi trasformatesi, causa inesperienza, in sacchi a pelo; mi sono misurata con la maglia e l’uncinetto; ho un discreto talento per la cucina (chissà perché i fornelli piacciono quasi a tutti, uomini compresi, mentre il ferro da stiro riscuote molti meno apprezzamenti)… Ho provato a creare cose dal nulla, a far crescere un fiore da un buco.
Certo, il mio lavoro non è considerato tra i più creativi al mondo – non sono io l’attrice tra le due autrici di questo libro – ma mi impegno comunque a metterci tutta la creatività che posso. O meglio: nel fare l’avvocato metto tutta me stessa, tutto ciò che mi contraddistingue, e quindi anche la creatività . Sulla mia scrivania non mancano mai pennarelli colorati e fogli giganti su cui scarabocchiare a mente libera, aperta. Per anni li ho tenuti un po’ nascosti, perché suscitavano una curiosità spesso poco rispettosa; poi, però, qualcosa è cambiato e ho lasciato che i colori prendessero possesso della mia vita professionale, occupando gli spazi che la contengono. Oggi il mio ufficio ha una parete magenta e una arancio abbellite da grossi quadri colorati, ed è dominato da una poltrona di design di un rosa acceso. Vi chiedete cosa sia cambiato, per spingermi a liberare così la mia parte creativa? Semplice: ho elaborato quella che chiamo teoria dell’angolino.
L’angolino
Il posto in cui un giorno, qualcuno, cercando, troverà proprio te
Studiamo cose simili, frequentiamo licei e università affollate, siamo impregnati della stessa cultura, viviamo la stessa epoca, siamo figli di generazioni accumunate da idee, valori, credo e modi. Ci vestiamo seguendo le stesse mode, o ci opponiamo a esse allo stesso modo. Assorbiamo senza volerlo, senza attenzione, senza contezza.
Per spiegarmi meglio, vorrei farvi un piccolo esempio legato alla mia vita professionale. Tempo fa mi capitò un periodo in cui feci diversi colloqui a giovani laureati (in realtà poco più giovani di me); il momento era frenetico, e avevo diritto a una piccola squadra anche io. Ricordo in particolare una mattina d’autunno, in una Milano accarezzata dal vento e inaspettatamente fredda. Quando possibile, per questioni di efficienza e per agevolare il confronto tra i candidati, i colloqui si concentrano in una singola giornata; ebbene, in quelle poche ore avevo incontrato quattro neolaureati, tutti con la loro camicia azzurra ben stirata e cravatte che probabilmente erano un regalo della nonna (un pensiero che mi faceva sorridere di tenerezza). Stessa università , stesso modo di parlare, stessi sogni, forse persino gli stessi amici. Erano pieni di voglia di iniziare, volevano trovare il proprio posto nel mondo; tutti a loro modo perfetti, ma nessuno che spiccasse. Quando alla fine rimasi sola nella piccola sala riunioni, immersa nel profumo della carta e affondata in una poltrona in pelle decisamente troppo grande, mi chiesi più volte: come si sceglie? Ma, soprattutto: come ci si fa scegliere in un mondo fortemente sbilanciato sull’offerta?
«Attenta quando fai i colloqui, perché spesso finiamo per scegliere chi ci assomiglia» mi avevano avvertita. Era l’unico monito che avessi ricevuto, ma imparai presto quanto fosse importante.
D’istinto scegliamo chi ci assomiglia, ma una buona squadra si costruisce cercando quel che ci manca.
È un po’ come per il minestrone: se si prepara con molte verdure diverse viene più buono. Insomma, anche questa è una questione di creatività . Un notaio con cui lavorai parecchio tempo fa mi diede un consiglio importante a tal proposito. Seduto nel suo bell’ufficio, spalle a un giardino favoloso nascosto nel cuore di Milano, sussurrando – così da creare il silenzio attorno a sé – con un lieve sorriso sulle labbra, mi disse: «Se non sei brava a fare qualcosa, compra quello che ti manca. Così nessuno noterà mai la lacuna». A livello istintivo avevo già fatto mia quella lezione, almeno in parte: in effetti ho sempre scelto di circondarmi di persone più brave di me. Ma non l’ho mai fatto per calcolo o strategia: credo sia stato merito del mio forte desiderio di delegare, per liberare tempo da dedicare ad attività diverse. In realtà non avevo mai cercato consciamente qualcuno che colmasse le mie lacune. Anzi, con il senno di poi ho capito che a lungo mi ero affidata a persone molto – forse troppo – simili a me. Da questo punto di vista, le parole del notaio furono illuminanti. Perché quando si costruisce una squadra bisogna sì puntare al meglio, senza cedere alla tentazione di scartare chi un giorno potrebbe superarci o sostituirci, ma dobbiamo anche guardare all’insieme e garantirci il maggior numero possibile di talenti diversi. Compresi quelli che, al momento, non sappiamo nemmeno come potrebbero servire.
Anche in questo serve grande creatività . Occhi nuovi per un...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Copyright
- Indice
- Introduzione
- Musa Giornata prima
- Franziska Giornata seconda
- Libera Giornata terza
- Madre Coraggio Giornata quarta
- La Ragazza da favola Giornata quinta
- Spavalda Giornata sesta
- Cassandra Giornata settima
- Serena Giornata ottava
- Espansa Giornata nona
- La Divina Giornata decima
- Conclusioni