CAPITOLO LXXIX
Stormfield, Vigilia di Natale ore 11 del mattino, 1909
«Jean è morta!».
Si è mai provato qualcuno a mettere per iscritto tutti i piccoli eventi relativi a una persona cara, gli eventi delle ventiquattr'ore prima della morte subitanea e inaspettata di quella persona? Basterebbe un libro a contenerli? Basterebbero due? Io non lo credo. Irrompono come una fiumana nella memoria. Sono piccole cose di ogni giorno, fino a quel momento futili e facilmente dimenticate... ma ora invece! Ora, come sono diverse! Come sono preziose, care, indimenticabili, patetiche, sacre, solenni!
Ieri sera io e Jean, tutti e due splendenti di salute (io ero reduce dalle salutari vacanze alle Bermude), ci alzammo da cena e andammo, tenendoci per mano, a sederci nella biblioteca, dove restammo a chiacchierare, discutere e far progetti, in un'atmosfera di allegria e di felicità (nulla sospettando!), fino alle nove - che per noi è un'ora tarda -, quindi andammo di sopra; Jean era seguita dal suo fedele pastore tedesco. Sulla soglia della mia stanza Jean disse: «Non posso darti il bacio della buona notte, papà : ho il raffreddore e potresti prenderlo anche tu». Le presi la mano e gliela baciai. Si commosse - glielo lessi negli occhi - e impulsivamente anch'essa mi baciò la mano. Quindi, dopo il consueto reciproco augurio di buona notte, ci separammo. Alle sette e mezza, stamattina, mi sono svegliato e ho sentito delle voci fuori della mia porta. Ho pensato: «Jean parte per la sua solita cavalcata alla stazione per prendere la corrispondenza». Poi è entrata Katy, è rimasta qualche attimo, tutta tremante e col fiato mozzo, al fianco del mio letto, e infine ha ritrovato la parola:
«La signorina Jean è morta!»
Forse adesso so che cosa prova un soldato quando un proiettile gli spacca il cuore.
Giaceva nella stanza da bagno, la mia bella e giovane creatura, stesa sul pavimento e ricoperta da un lenzuolo.
Aveva un aspetto tranquillo e naturale, come di chi dorme. Capimmo ciò che era accaduto. Soffriva di epilessia ed era stata colta da una convulsione e le era mancato il cuore. Per venire, il dottore doveva percorrere parecchie miglia. I suoi tentativi, come quelli che avevamo fatti anche noi, non riuscirono a richiamarla in vita.
È mezzogiorno, adesso. Com'è bella, dolce, serena! Ha un volto nobile e serio; e il cuore che ora tace era così buono. In Inghilterra, tredici anni fa, io e mia moglie avemmo il cuore trafitto da un telegramma che diceva: «Susy si è spenta serenamente oggi». E questa mattina ho dovuto mandare una notizia come questa a Clara, a Berlino. Ho aggiunto perentoriamente: «Non venire». Clara e suo marito erano partiti l'undici di questo mese. Lo sopporterà Clara? Jean l'adorava dall'infanzia.
Sono quattro giorni che sono rientrato, dopo un mese di vacanze alle Bermude; in migliore salute, ma si è dato il caso che i giornalisti non se ne siano accorti. Avantieri cominciarono a giungermi da amici e da sconosciuti lettere e telegrammi dai quali pareva che mi ritenessero ammalato e in serio pericolo. Ieri Jean mi chiese di spiegare come sto realmente per mezzo dell'Associated Press. Risposi che non era cosa molto importante; ma lei si sentiva angustiata e disse che dovevo pensare a Clara. Clara avrebbe letto la notizia sui giornali tedeschi, e poiché essa curava da quattro mesi, notte e giorno, il marito ammalato, ed era debole e sfinita, poteva risultarne una disgrazia. Era un'osservazione sensata; comunicai per telefono all'Associated Press un paragrafo in tono umoristico in cui negavo che stessi morendo e dicevo che non avrei fatto «una cosa simile in questo momento».
Jean si sentiva turbata e non avrebbe voluto che trattassi la cosa in tono così leggero; io però dissi che era meglio parlarne così, visto che in essa non c'era nulla di serio. Questa mattina ho mandato la triste notizia all'Associated Press.
Appariranno tutt'e due sui giornali di stasera? Così diverse: una così lieta, l'altra così tragica!
Perdetti Susy tredici anni fa; persi sua madre - donna impareggiabile - cinque anni e mezzo fa; Clara è andata a vivere in Europa; e ora ho perduto anche Jean. Come son povero, io che ero una volta così ricco! Sette anni fa morì il signor Rogers: era uno degli amici migliori che io abbia avuti, il più perfetto, come uomo e come gentiluomo, che io abbia conosciuto di tutta la razza umana; in queste ultime sei settimane se ne sono andati Gilder e Laffan, miei grandi amici di lunga data. Jean giace in quell'altra stanza, io siedo qui; siamo estranei sotto lo stesso tetto; ci baciammo la mano salutandoci ieri sera su questa soglia... e fu un inconsapevole addio. Essa giace in quella stanza e io siedo qui, scrivo, faccio qualcosa per non spezzarmi il cuore. Com'è abbagliante il sole che inonda le colline circostanti! Sembra una beffa.
Avevo settantaquattro anni ventiquattro giorni fa. Ne avevo settantaquattro ancora ieri. Chi potrà dire che età ho adesso!
L'ho guardata di nuovo. Chi sa se riuscirò a sopportare. Assomiglia a sua madre quando giaceva morta, in quella villa fiorentina, tanti anni fa. La placida serenità della morte! È più bella del sonno.
Vidi seppellire sua madre. Dissi che non avrei sopportato un'altra vista simile; che non avrei mai più guardato nella tomba di qualcuno dei miei cari. Ho tenuto fede alla mia parola. Domani prenderanno Jean e la porteranno a Elmira, dove riposano quelli di noi che non sono più; ma io non la seguirò.
Jean era sul molo quando entrò in porto la nave, appena quattro giorni fa. Era sulla soglia, lieta e raggiante, quando rincasai la sera seguente. Giocammo a carte e cercò d'insegnarmi un nuovo gioco chiamato «Mark Twain». Stemmo a chiacchierare lietamente ieri sera nella biblioteca e lei non volle che guardassi nella veranda, dove erano in corso i suoi preparativi natalizi. Disse che li avrebbe ultimati l'indomani e che poi sarebbe giunta da New York una sua giovane amica francese e a tale arrivo sarebbe seguita la sorpresa: la sorpresa che stava preparando da più giorni. Si allontanò per qualche attimo e io slealmente diedi un'occhiata furtiva. Il pavimento della veranda era coperto di tappeti e aveva sedie e divani; e lì dentro c'era la sorpresa incompiuta: un albero di Natale, rivestito di una nube argentea, che era una meraviglia; e su di un tavolo una profusione di lucidi ammennicoli che Jean avrebbe appeso oggi all'albero. Quale mano profanatrice toglierà mai da quel luogo l'eloquente e incompiuta sorpresa? Non la mia, no! Tutte queste piccole cose sono accadute negli ultimi quattro giorni. «Piccole»? Sì... allora. Ma ora non più. Nulla di ciò che essa disse o pensò o fece è ora «piccolo». E tutto il suo gaio umore! Che ne è stato? Fa commuovere, ora. Fa commuovere e suscita il pianto.
Queste piccole cose accaddero solo poche ore fa... e ora essa giace di là . Giace e non ha più preoccupazioni. È strano, meraviglioso, incredibile! Ho fatto già prima questa esperienza; ma sarebbe sempre incredibile se mi fosse accaduta mille altre volte.
«La signorina Jean è morta!»
Così disse Katy. Quando sentii la porta aprirsi in capo al mio letto senza che nessuno bussasse, credetti che fosse Jean che veniva a darmi il bacio del buon giorno, perché essa era la sola persona che usava entrare senza formalità .
E così...
Sono stato nel salotto di Jean. Che confusione di doni natalizi per amici e domestici! Sono dovunque: sui tavoli, sulle sedie, sui divani, sul pavimento: ogni angolo ne abbonda. Sono anni e anni che non vedo l'uguale. In altri tempi io e mia moglie usavamo infilarci di nascosto nella stanza delle bambine alla mezzanotte di Natale e osservare il gran numero di regali. Allora le bambine erano piccole. E ora questo salotto di Jean sembra come quella stanza. I regali hanno tutti un cartellino, ma le mani che oggi avrebbero dovuto scriverli sono immote per sempre. La madre di Jean si esauriva nei preparativi natalizi. Lo stesso fece Jean ieri e nei giorni precedenti e la fatica le è costata la vita. La fatica causò la convulsione che l'ha assalita stamattina. Erano mesi che non aveva un accesso.
Jean era così piena di vita e di energia da essere in continuo pericolo di esaurire le proprie forze. Ogni mattina alle sette e mezza era in sella e correva alla stazione per prendere la corrispondenza. Lei esaminava le lettere e io le distribuivo: alcune erano per lei, altre per il signor Paine, le altre per la stenografa e per me. Si occupava delle sue lettere, quindi risaliva a cavallo e andava in giro a sorvegliare il lavoro della sua fattoria e del suo allevamento di polli per il resto del giorno.
Qualche volta giocava con me a biliardo dopo cena, ma di solito era troppo stanca per giocare e andava a letto presto.
Ieri pomeriggio le parlai dei progetti che avevo ideati mentre ero alle Bermude per alleggerirla di tutto quel peso.
Avremmo preso una governante; avremmo poi affidato la sua parte di lavoro di segretaria alle cure del signor Paine.
No, non voleva. Aveva anche lei i suoi progetti. Venimmo a un compromesso e cedetti. Cedevo sempre. Non volle limitarsi a verificare i conti lasciando a Paine il compito di riempire gli assegni; avrebbe continuato a pensare da sé a tutto. Avrebbe anche continuato ad occuparsi della casa con l'aiuto di Katy. Avrebbe inoltre continuato a rispondere per conto mio alle lettere degli amici personali. In questo consisteva il compromesso. Lo chiamavamo così tutti e due, benché io non fossi in grado di notare nessun grosso mutamento. Comunque a Jean faceva piacere e ciò mi bastava. Era orgogliosa di farmi da segretaria e non riuscii mai a persuaderla a rinunciare a una parte qualsiasi del noioso lavoro.
Nella chiacchierata di ieri sera dissi che vedevo ogni cosa procedere così bene che, se essa voleva, a febbraio sarei tornato nelle Bermude restando felicemente lontano dal turbine e dal frastuono per un altro mese. Mi incoraggiò e disse anzi che se avessi rimandato a marzo il viaggio avrebbe preso Katy e sarebbe partita con me. Stringendoci la mano confermammo il nostro accordo. Intendevo scrivere alle Bermude con la nave di dom...