Il monopolio dell'uomo
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Il monopolio dell'uomo

La questione della donna e gli altri problemi

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Il monopolio dell'uomo

La questione della donna e gli altri problemi

Informazioni su questo libro

«A Milano non c'è che un uomo, che viceversa è una donna, la Kulisciova.» ( Antonio Labriola nella lettera a Friedrich Engels del 1º luglio 1893 ) Anna Kulišëva, italianizzato in Anna Kuliscioff (Sinferopoli, 9 gennaio 1855 – Milano, 29 dicembre 1925), è stata una rivoluzionaria, medica e giornalista russa naturalizzata italiana, tra i fondatori e principali esponenti del Partito Socialista Italiano. In suo onore a Milano è stata costituita la Fondazione Anna Kuliscioff, che ha una biblioteca di 35.000 volumi e opuscoli donati da Giulio Polotti tutti dedicati alla storia del Socialismo; inoltre una via le è stata dedicata (sempre a Milano) in zona Bisceglie. Una targa che ricorda la sua permanenza milanese assieme a Turati è stata collocata in piazza Duomo, sotto i portici che danno ingresso alla Galleria Vittorio Emanuele II, dove i due leader socialisti abitavano. Nel 1962, in occasione del 70º anniversario della fondazione del Partito Socialista Italiano, il Movimento Femminile del PSI affisse un manifesto con l'effigie della Kuliscioff da giovane. Il PSI le ha inoltre dedicato la tessera del partito dell'anno 1983.

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Il monopolio dell'uomo

La questione della donna e gli altri problemi[ 1]

Signore e Signori,
Voglio anzitutto confessarvi che, pensando intorno alla inferiorità della condizione sociale della donna, una domanda mi si affacciò alla mente, che mi tenne per un momento perplessa e indecisa. Come mai – mi dissi – isolare la questione della donna da tanti altri problemi sociali, che hanno tutti origine dall’ingiustizia, che hanno tutti per base il privilegio d’un sesso o d’una classe?

Potrebbe, teoricamente, sembrare che, poiché al giorno d’oggi il privilegio di qualsiasi natura – cardine essenziale di tutti gli istituti sociali, dei diritti civili e politici, dei rapporti fra le varie classi e fra l’uomo e la donna – viene discusso, combattuto e perde terreno dovunque – potrebbe sembrare, dicevo, che da ciò venir dovesse anche un po’ di giustizia per la donna, la vittima più colpita nei rapporti sociali moderni.

Ma l’esperienza di altre e molte donne che si attentarono a deviare dal binario tradizionale della vita femminile in genere, e sopratutto l’esperienza mia propria, m’insegnarono che, se per la soluzione di molteplici e complessi problemi sociali si affaticano molti uomini generosi, pensatori e scienziati, anche delle classi privilegiate, non è così quanto al problema del privilegio dell’uomo di fronte alla donna.

Tutti gli uomini, salvo poche eccezioni, e di qualunque classe sociale, per una infinità di ragioni poco lusinghiere per un sesso che passa per forte, considerano come un fenomeno naturale il loro privilegio di sesso e lo difendono con una tenacia meravigliosa, chiamando in aiuto Dio, chiesa, scienza, etica e le leggi vigenti, che non sono altro che la sanzione legale della prepotenza di una classe e di un sesso dominante. Ed è per questo che, malgrado gli intimi rapporti che corrono fra i vari problemi, mi parve di poter isolare il problema della condizione sociale della donna, da tutti gli altri fenomeni morbosi dell’organismo sociale, generati in gran parte da quel dramma terribile della vita, ch’è la lotta per l’esistenza.

In questa lotta lunga, continua e faticosa, col progredire e coll’evolvere della società è germogliato un sentimento, che si fa sempre più coscienza – il sentimento della giustizia sociale – della civile eguaglianza degli esseri umani. Con questo sentimento che nel proletario, spesso, pur troppo, è ancora incosciente, l’operaio alza la testa e reclamai diritti che gli spettano dal suo lavoro; il contadino abbrutito dall’ignoranza e dallo stento, non sapendo e non potendo reclamare coscientemente quel che gli spetta, pur sentendo l’ingiustizia, si ribella violentemente per dar un’ultima scossa a tutti i residui feudali, che non si reggono più in piedi nei rapporti sociali moderni.

Tutti i diseredati, tutti i paria della società cominciano a muoversi, a chiedere anch’essi un po’ di luce, di aria ed una vita conforme alla dignità umana; ed è quindi naturalissimo che, giusto nel secolo nostro, si sia accentuato un movimento serio e vasto fra gli ultimi e più numerosi dei paria, che formano mezza umanità, cioè fra le donne.

In tutta Europa ed in America si costituiscono eserciti di donne, che combattono per la loro redenzione e per iscuotere il giogo secolare, imposto loro dal sesso maschile. E, sebbene questa lotta delle donne non sia tanto manifesta, perché – per una infinità di ragioni fisiologiche e psichiche – non può mai assumere quel carattere di asprezza e di odio, che distingue la lotta delle diverse classi sociali; essa non può tuttavia aver altro significato che la tendenza ad abbattere il privilegio dell’uomo, e a scrollarne il potere.

Ed è perciò che, volendo parlare della condizione sociale della donna, non ho trovato miglior modo per scendere al midollo della questione, che mettere in evidenza il monopolio dell’uomo nelle varie sue manifestazioni, nelle attività e nelle funzioni sociali.

So che, trattando la questione da questo punto di vista, debbo affrontare maggiori difficoltà, perché generalmente chi occupa un gradino inferiore nella scala della convivenza sociale, per rendersi accettabile, non deve mai assalire di fronte i nemici potenti, ma al più domandar loro modestamente, qualche piccola concessione, a guisa di favore e di buona grazia, difendersi dagli eventuali attacchi, e non far mai uso dell’arme spietata della critica; deve insomma modulare la voce in chiave d’umiltà, se pur gli preme di farsi ascoltare.

Non farò, tuttavia, una requisitoria. Non è una condanna ad ogni costo dell’altro sesso che le donne domandano; esse aspirano anzi ad ottenere la cooperazione cosciente ed attiva degli uomini migliori, di quanti essendosi emancipati, almeno in parte, dai sentimenti basati sulla consuetudine, sui pregiudizi e sopratutto sull’egoismo maschile, sono già disposti a riconoscere i giusti motivi che le donne hanno di occupare nella vita un posto degno per averne conquistato il diritto.

D’altronde, pur denunciando la tirannide maschile, non mi mancherà l’occasione di dire cose che parranno forse aspre anche per il sesso al quale appartengo. Ma, appunto, mi pare che mi vi autorizzi l’appartenervi io stessa ed il sentirmi con esso solidale in tutto e per tutto – anche nelle debolezze; le quali poi, al pari delle malattie del corpo, non si tolgono né si scemano senza averle prima coraggiosamente confessate e diagnosticate. – S’intende bene che le mie osservazioni non possono aver nulla di assoluto: esse cercano una media delle cose e delle persone, al di qua e al di là della quale abbondano le eccezioni, che, come è noto, non scuotono punto la regola.



Condizioni della donna a traverso la Storia

Chi osserva spassionatamente i fenomeni sociali moderni deve riconoscere che la condizione sociale della donna, questo elemento così importante della civiltà, è uno dei fenomeni più tristi in mezzo alle istituzioni moderne, è un residuo di un mondo intellettuale e morale che va scomparendo dovunque.

Non è con una breve chiacchierata che potrei indagare le cause di codesto fenomeno, cause molto complesse, che richiederebbero lunghi e profondi studi ed interi volumi. Non è neppure con una polemica più o meno brillante sulla inferiorità o superiorità della donna, o coll’attribuire al solo egoismo ed alla prepotenza maschile la sua soggezione secolare all’altro sesso, che si potrebbe spiegare un fatto che dura dacché mondo è mondo, e che poté avere le sue necessità biologiche e le sue utilità storiche come le ha forse avute anche la schiavitù del maschio[ 2].

Qualunque fosse quindi l’origine dell’inferiorità sociale della donna, origine fisiologica, economica, etica, o fosse puramente un prodotto del prevalere brutale della forza, il fatto sta che ora si tratta di una questione di dominio, si tratta del privilegio di tutto il sesso maschile, privilegio e dominio che sono un vero anacronismo in un’epoca, in cui la donna ha progredito sotto tutti i rapporti e morali e intellettuali.

Sebbene oggigiorno la evoluzione intellettuale e morale della specie umana abbia temperata l’antica schiavitù della donna e l’abbia convertita in una semplice sottomissione dell’uno all’altro sesso, non si può tuttavia non rimanere sorpresi del fatto che, mentre col progredire della civiltà e della cultura umana, fin dai tempi degli stoici e del primo cristianesimo, si alzarono voci in favore degli schiavi, la schiava non ha trovato patrocinio neppure nella migliore delle religioni, qual è la cristiana.

Anzi il cristianesimo, se da un lato, colla madre del Salvatore, volle consacrare la dignità della donna, dall’altro lato ha servito a consolidare vieppiù il concetto biblico della donna, cioè della sua creazione dall’uomo e per l’uomo. Direi persino che mai il disprezzo e l’oltraggio alla donna non sono stati così palesi e chiaramente confessati, come dai propugnatori del cristianesimo. I detti di San Paolo, di San Giovanni Grisostomo, di Sant’Agostino, di Sant’Ambrogio ed altri, tutti d’accordo a chiamare la donna la porta del demonio, lo provano a suffic...

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