Capitolo primo
La cornice dello spazio e la trama del tempo
1. Un mare d’erba sotto il cielo
L’imponente e maestoso corso del Mississippi, che segue almeno approssimativamente una direzione da Nord a Sud, sembra costituire una sorta di limite naturale, di confine, che taglia perpendicolarmente la massa continentale dell’America settentrionale. Ancora solo due secoli fa, il territorio che si apre a Ovest del grande fiume era per gli anglo-americani una regione pressoché sconosciuta e inesplorata, un’immensa estensione le cui proporzioni stesse erano note solo in misura molto limitata e che gli abitanti dell’Est, sulla scorta dell’esploratore Stephen H. Long, che nel 1820 guidò una spedizione lungo i fiumi Platte e Canadian, chiamarono per lungo tempo il “Grande Deserto Americano” (DeVoto 1947: 1-2). Ma non si trattava di un deserto.
Un lento processo di sedimentazione durato milioni di anni ha ricoperto quello che anticamente era un fondale marino con un deposito alluvionale di detriti rocciosi e sabbiosi provenienti dalle pendici delle Montagne Rocciose, trascinati dai numerosi corsi d’acqua che, procedendo verso Est, raggiungono la valle del Mississippi. Tra questi, il più importante è certamente il Missouri, la grande via acquatica che unisce la parte settentrionale della catena montuosa con l’ampia vallata meridionale, ma vi si devono aggiungere anche il Platte, l’Arkansas, il Canadian, e innumerevoli altri fiumi più o meno grandi. Ai depositi alluvionali si aggiunse anche l’azione dei venti, determinando il formarsi di uno strato di sabbia, fango e argilla chiamato loess. La scarsezza di precipitazioni, determinata dalla catena delle Montagne Rocciose, che trattiene l’aria umida proveniente dal Pacifico, favorisce la crescita rigogliosa di uno spesso tappeto erboso, che si estende a perdita d’occhio: la sterminata marea verde delle Grandi Pianure, che Walt Whitman considerava “il paesaggio caratteristico del Nord America” (Blouet-Luebke 1979; Gilbert 1980; Chadwick 1993).
Tuttavia, la nozione di una barriera, di un brusco mutamento geografico ed ecologico, costituisce il retaggio di un modo di leggere il territorio fortemente legato al processo di colonizzazione e di espansione dei contadini dell’Est che si affacciavano con timore, ma anche con la bramosia del conquistatore e del dissodatore, su una vasta area sconosciuta. Costoro si lasciavano alle spalle i boschi e le vallate delle regioni orientali per affrontare la conquista di uno spazio aperto e dalle dimensioni smisurate:
“Davanti a loro”, secondo le parole dello storico delle Pianure Walter Prescott Webb, “si stende una vasta terra infestata da una fiera razza di Indiani equestri, feroci, invincibili, terribili nella loro spietatezza. Essi vi vedono una barriera naturale, resa ancor più formidabile da una barriera umana di indomita selvatichezza. I pionieri si lanciavano contro questa barriera delle Grandi Pianure, armati ed equipaggiati con le armi, gli utensili, le idee e le istituzioni che erano loro servite a lungo e bene nelle terre boscose che ora si lasciavano alle spalle” (Webb 1931 [1981: 141]).
Questo passo, che risente in misura significativa dell’ideologia della frontiera, formulata da Frederick Jackson Turner (Blouet-Luebke 1979: XI), rivela come la nozione di barriera, di passaggio, di transizione, fosse soprattutto legata ai processi di espansione della società americana, più che a un oggettivo esame delle condizioni geografiche ed ecologiche. Certamente, vi sono numerose differenze tra la regione delle Pianure e quella delle Foreste o dei Grandi Laghi, ma le caratteristiche ambientali mutano in maniera graduale e non permettono di tracciare, se non con un gesto arbitrario, delle linee nette di demarcazione. Ad esempio, le terre ad Ovest del Mississippi sono convenzionalmente considerate zone di pascolo un tempo popolate da enormi mandrie di bisonti. Tuttavia i bisonti, anche se in numero minore e in gruppi più piccoli e dispersi, sono stati documentati nelle regioni ad Est del Mississippi fino agli inizi dell’Ottocento (Belue 1996). In queste regioni le popolazioni native praticavano anche un estensivo uso dell’incendio dei boschi, non solo per la coltivazione di appezzamenti di terreno, ma anche per preservare aree di territorio privo di vegetazione e per favorire le attività di caccia a diverse specie di animali selvatici (Id.: 12; Krech 1999: 103). Risulta pertanto assai difficile stabilire dei margini precisi entro cui racchiudere la regione, mentre vi sono evidenti indicazioni di una complessa interazione tra ambiente della prateria e ambiente forestale, che si manifesta non solo ai confini orientali, ma anche lungo i principali corsi d’acqua, un tempo caratterizzati da estese zone alberate (Kay 1998: 16), e sui rilievi disseminati nella regione. Le ricerche di Herman Bender (2004; 2008b), con il quale lo scrivente ha condiviso numerose giornate di discussioni appassionate e di sopralluoghi sul territorio, hanno dimostrato la presenza, in Wisconsin, di un’antica cultura del bisonte, che ha lasciato tracce materiali quali una “ruota della medicina” simile a quelle che si trovano nell’area delle Montagne Rocciose e formazioni con pietre, alcune delle quali ricordano la forma del bisonte. Ralph Redfox, uno Cheyenne di ascendenza Sutaio e uno dei pochi membri attuali della Loggia del Lupo (Kurtz 2005: 2-3), la società cerimoniale che aveva il compito di celebrare la cerimonia Massaum volta a promuovere la riproduzione degli animali, ha riconosciuto questi ritrovamenti come testimonianze culturalmente attendibili del passaggio di popolazioni algonchine, antenate degli attuali Cheyenne, Sutaio e Arapaho, che si sarebbero successivamente spostate a Ovest attraversando il Mississippi, portando con sé una serie di elaborazioni culturali, tra cui la cerimonia della Danza del Sole, la cui culla d’origine sarebbe da ricercare nel Midwest.
Le Pianure si estendono su un’area enorme, difficile da circoscrivere in modo dettagliato, che copre oltre un milione di chilometri quadrati, dalla valle del fiume Saskatchewan, a Nord, fino al Texas meridionale, a Sud, e da un’altezza di oltre duemila metri sul livello del mare alle soglie delle Montagne Rocciose, in Wyoming, degradando progressivamente fino a raggiungere le sponde del Mississippi e oltre. L’aspetto prevalentemente pianeggiante del paesaggio è interrotto spesso da alture e affioramenti montuosi, come le Black Hills nel South Dakota, i monti Pembina e Turtle nel North Dakota, le Sandhills del Nebraska o le Smoky Hills e Flint Hills nel Kansas. Nella parte nord-occidentale della regione, il territorio si fa più complesso e variegato: le pianure si confondono e intersecano con altopiani, monti e colline, tra il bacino del Green River (Colorado e Wyoming) e la valle dell’alto Missouri (Montana). Nella porzione più meridionale, le Pianure formano come un vasto altopiano, conosciuto con il nome di Staked Plains, una forma anglicizzata dello spagnolo Llano estacado, “pianure recintate”. Più a Nord, l’azione erosiva dell’acqua e del vento ha contribuito a modellare il territorio creando, a breve distanza dalle Black Hills, il fantastico ambiente delle Bad Lands, formato da pinnacoli, guglie e pareti di roccia dall’aspetto suggestivo e inquietante. Il principe Maximilian di Wied, che attraversò queste zone selvagge nel 1833, ne rimase profondamente impressionato. “Le montagne qui assumono un aspetto primitivo e selvaggio e ricordano, in parte, immagini di distruzione; grandi blocchi di arenaria giacciono sparsi intorno [...] Solo il gracchiare del corvo si ode, in questa distesa desolata, che perfino gli Indiani evitano” (Maximilian 1976: 82).
Il volume delle precipitazioni diminuisce a mano a mano che ci si allontana dalla valle del Mississippi, passando da cento centimetri all’anno nel Kansas meridionale a trentacinque centimetri nella regione nord-occidentale. Le variazioni annuali sono molto consistenti, tuttavia secondo Webb (1931: [1981: 17-19) si può individuare una linea che divide la zona più umida orientale, dove la piovosità annuale supera in genere i venti pollici (cinquanta cm), dalla regione più arida e secca occidentale; tale linea viene fatta coincidere con una certa approssimazione con il 98° meridiano. A Ovest di questa linea cominciano le Grandi Pianure centrali, o High Plains. L’area compresa tra la valle del Mississippi e il 98° meridiano corrisponde alle cosiddette Praterie orientali, caratterizzate da maggior umidità e vegetazione composta da aree boscose e prati di erbe alte, quali la bluestem (Andropogon furcatus o Andropogon gerardii), il panico (Panicum virgatum) e il Sorghastrum nutans, che crescono fino a un’altezza di oltre trenta centimetri grazie alla straordinaria fertilità del terreno. La fascia più occidentale, che arriva fino alle pendici delle montagne, è la più secca: qui crescono soprattutto erbe basse e resistenti alla siccità, quali la blue grama (Bouteloua gracilis), che assume un colore bluastro, la black grama (Bouteloua eriopoda) e in particolare la cosiddetta “erba dei bisonti” (Buchloë dactyloides) che prolifera anche nelle aree più aride. La regione intermedia combina le specie vegetali delle due estremità con altre specie di medie dimensioni, la sideoats grama (Bouteloua curtipendula), la needlegrass (Stipa comata) e diverse varietà di erbe (wheatgrass) del genere Agropyron. La relativa predominanza delle diverse specie dipende soprattutto dall’umidità del terreno e dalla quantità di pioggia, ed è quindi variabile non solamente da zona a zona, ma anche da una stagione all’altra (Bamforth 1988: 31 sgg.). Le macchie boscose sono limitate alle alture e agli altopiani, dove si trovano diverse conifere, soprattutto pini (Pinus flexilis e Pinus ponderosa) e ginepri (Juniperus pinchotii e Juniperus virginiana). Presso le sponde dei corsi d’acqua compaiono varie specie di arbusti e, soprattutto, il leggero e svettante pioppo americano (cottonwood, Populus sargentii), il salice (Salix nigra) e sparsi esemplari di olmo (Ulmus americana), frassino (Fraxinus pennsylvanica) e quercia (genere Quercus). Nelle aree più secche cresce inoltre il cosiddetto “arbusto della salvia” (sagebrush, Artemisia frigida o Artemisia ludoviciana), una pianta le cui foglie emanano un aroma caratteristico, mentre, nascosta nel terreno, la “rapa indiana” (Psoralea esculenta), un tubero commestibile, costituiva per gli antichi abitatori della regione una risorsa alimentare non indifferente. Le macchie boscose presentano una quantità di frutti commestibili, dalle ciliege selvatiche (chokecherries, Padus melanocarpa o Padus nana), alle prugne (Prunus americana), a varie specie di bacche, come le “bacche dei bisonti” (buffalo berries, Lepargyrea argentea), la cui varietà e quantità fu rilevata già dai primi esploratori spagnoli nel XVI secolo (Bamforth 1988: 135; Wedel-Frison 2001).
Il clima dominante nelle Pianure è caratterizzato da forti contrasti: estati umide e calde, inverni secchi con temperature bassissime, che ricoprono il manto erboso con uno strato di neve e ghiaccio. La superficie prevalentemente pianeggiante e la scarsa presenza di alberi favorisce la rapida circolazione di grandi masse d’aria e ciò costituisce un secondo carattere climatico distintivo delle Grandi Pianure: il vento. Dall’infuocato chinook, che spira a ridosso delle Montagne Rocciose e assomiglia in qualche misura al foehn europeo, al blizzard, l’improvvisa raffica di vento e nevischio che può intrappolare in una morsa di gelo l’incauto viaggiatore, il vento è una nota continua e ineliminabile nello scenario delle Grandi Pianure. D’estate si scatenano violente tempeste e temporali, che a volte possono dare luogo a enormi vortici d’aria (tornado) che si scatenano con violenza inaudita. La maggior parte delle precipitazioni piovose ha luogo nel periodo estivo, tra Maggio e Luglio, sebbene la quantità vari considerevolmente da un anno all’altro, alternando periodi di pioggia relativamente abbondante a intervalli di preoccupante siccità, che possono mettere in pericolo la sopravvivenza di uomini e animali (Gilbert 1980: 10).
Considerata nel suo complesso, questa enorme regione erbosa costituisce una delle più ampie zone di pascolo del mondo, l’ambiente ideale per lo sviluppo di una fauna rigogliosa. Duecento anni fa le Grandi Pianure ospitavano infatti un’immensa popolazione di erbivori: innanzitutto il bisonte (Bison bison), il principale abitatore delle praterie, la cui popolazione viene stimata, agli inizi dell’Ottocento, intorno ai quaranta milioni di capi (Roe 1970, vol.1: 489-520); poi l’antilope pronghorn (Antilocapra americana), di cui esistevano diversi milioni di capi, il cervo wapiti (elk, Cervus canadensis) e altri numerosi cervi delle più diverse varietà, che condividevano il territorio con una gran quantità di altri animali, molti dei quali ritorneranno a varie riprese nelle pagine che seguono.
Se i colonizzatori vedevano nelle Pianure un ostacolo, un deserto da superare, o al più un insieme di risorse naturali, ben diversa era la concezione che del territorio avevano le popolazioni native che lo abitavano da oltre diecimila anni (Howard 1972). Per questi popoli la terra era un essere vivente, il paesaggio era un vasto insieme di ricordi, di relazioni, di connessioni che univano gli esseri umani all’intero universo. Una donna lakota, Mary Brave Bird, che fu per un certo periodo moglie del leader spirituale Leonard Crow Dog, esprime bene questo speciale rapporto con il territorio:
“La nostra stessa terra è una leggenda, specialmente l’area intorno a Grass Mountain dove vivo attualmente. La lotta per la nostra terra sta al centro della nostra esistenza, come è stato per gli ultimi duecento anni. Una volta che la terra se ne è andata, anche noi siamo finiti. I Sioux usavano tenere dei conti degli inverni [winter counts], pittogrammi su pelli di bisonte che raccontavano la storia del nostro popolo di anno in anno. Bene, l’intero paese è un’immensa conta degli inverni. Non puoi camminare per un miglio senza incontrare la collina sacra per la ricerca della visione di qualche famiglia, l’antico cerchio di una Danza del Sole, un vecchio campo di battaglia, un posto dove è accaduto qualcosa che merita di essere ricordato” (Brave Bird 1990 [1991:10-11].
Le colline, i fiumi, le rocce erano spesso interpretate come le testimonianze viventi di episodi accaduti nei tempi primordiali, quando le figure mitiche dei progenitori dell’umanità attuale emersero alla superficie della terra e cominciarono a percorrere il territorio. “Con storie e canti essi commemoravano il paesaggio che eroi soprannaturali o spiriti trickster avevano trasformato nella sua forma attuale, o luoghi speciali dove essi avevano lasciato tracce dietro di sé” (Nabokov 2006: XI). Questi luoghi erano legati alla trasmissione di un complesso sistema di tradizioni orali che narravano delle origini dell’universo, dell’umanità, delle relazioni che uniscono gli uomini con gli animali, le piante e gli abitanti invisibili del cosmo. “Le religioni indiane – non tanto religioni nel senso di regole e dogmi bensì modalità fortemente individualistiche di celebrare il Creatore – sono connesse in maniera complessa a una fitta rete spaziale e a un’intima, sottile e perfino segreta conoscenza del paesaggio” (Gulliford 2000: 69). Varie località erano identificate come il luogo d’origine, il punto in cui gli antenati primordiali emersero alla superficie della terra, o le cavità dalle quali i primi bisonti scaturirono per popolare il territorio. “Le tradizioni orali sull’origine e l’emersione non devono necessariamente essere in conflitto con i dati dell’archeologia e del sapere scientifico riguardanti l’antica America. Possono essere delle metafore” (Calloway 2003: 32). Queste storie, alcune delle quali ci occuperanno nei capitoli che seguono, raccontano q...