
(In)Sicurezze. Sguardi sul mondo neoliberale. fra antropologia, sociologia e studi politici
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(In)Sicurezze. Sguardi sul mondo neoliberale. fra antropologia, sociologia e studi politici
Informazioni su questo libro
Questo volume intende esplorare la costruzione culturale, politica e sociale del binomio sicurezza/insicurezza nel mondo neo-liberale. I contributi affrontano il tema da una molteplicità di punti di vista – tematici, geografici, disciplinari – per evidenziare il carattere sfaccettato e complesso del fenomeno.Dalla musica dei corridos messicani all'organizzazione degli spazi urbani, dal ruolo degli esperti alla violenza delle bande giovanili, dalla privatizzazione alla stregoneria africana, dall'immigrazione alla demonizzazione del capitalismo, dalle chiese pentecostali ai narcotrafficanti, l'(in)sicurezza pervade la contemporaneità. La cornice in cui si collocano questi fenomeni è il capitalismo neoliberale nelle sue diverse manifestazioni. In esso la questione della sicurezza e la costruzione dell'insicurezza assumono rilievo, diventando funzionali al mantenimento di un ordine politico, sociale e culturale fondato sulla diseguaglianza e su un'asimmetrica distribuzione delle risorse.
Domande frequenti
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Informazioni
- 1. Quando ci si accosta ai concetti di “sicurezza” e “insicurezza” è inevitabile constatare l’eterogeneità di situazioni in cui queste parole vengono utilizzate. Si parla di sicurezza umana, di sicurezza alimentare, di sicurezza sportiva, di sicurezza sul lavoro, di sicurezza bancaria, stradale, informatica e altre ancora. Il concetto di sicurezza, e le normative che in esso trovano fondamento, hanno un’importanza decisiva nelle politiche internazionali, nel controllo dei confini nazionali, nella progettazione architettonica, nella gestione aziendale, nelle pratiche ospedaliere, nelle questioni di ordine pubblico e in numerosi altri campi. All’interno di questa eterogeneità sembra emergere, come filo conduttore, un’associazione fra sicurezza, controllo e autorità: vi è infatti una dimensione politica nell’uso della parola “sicurezza”, riscontrabile in modo trasversale e presente praticamente in ogni ambito della vita contemporanea. Si tratta quindi di una categoria estremamente pervasiva: per il politologo Michael Dillon la sicurezza «satura il linguaggio della politica moderna»2, per l’antropologo Daniel Goldstein essa ha «usurpato i discorsi sul presente, distogliendo l’attenzione da ogni altro fenomeno e allontanando questi dal dibattito pubblico e dall’interesse degli studiosi»3. Di fatto, la politica contemporanea sembra caratterizzata da un uso massiccio del concetto di sicurezza come dispositivo di potere e come leva ideologica che consente di legittimare l’adozione di misure straordinarie e di aprire le porte all’uso della controviolenza preventiva4. Se a livello internazionale numerosi interventi bellici nell’ultimo trentennio sono stati presentati all’opinione pubblica come necessari per garantire la “sicurezza della popolazione”, a livello nazionale la “sicurezza” viene sovente concepita in termini militaristici e usata come motivazione ragionevole per restringere le libertà individuali e civili o per indirizzare risorse economiche e umane verso l’area della difesa e dell’ordine pubblico.
Il campo di fenomeni che rientrano nella questione (in)sicurezza è vasto, complesso e multi sfaccettato. Esso può limitarsi alla sfera della sorveglianza e della repressione, oppure aprirsi ad una prospettiva più ampia, che ha a che fare con la valutazione, la prevenzione e la gestione del pericolo e che può essere alla base della progettazione di spazi urbani, di infrastrutture, di interventi economici e sociali.
Che cosa vuol dire, dunque, (in)sicurezza? Esiste un modo univoco, transculturale, di caricare di significato questa nozione? Oppure è una parola che deve essere sempre interpretata alla luce del particolare contesto in cui la si utilizza? Non esistono risposte facili per queste domande. Nel nostro volume i concetti di “sicurezza” e “insicurezza” sono visti criticamente, come costrutti sociali situati in senso storico, politico e culturale. La loro variabilità nel tempo e nello spazio rende necessario un approccio che permetta di esplorare la molteplicità di modi attraverso cui essi si configurano e sviluppano e la pluralità di contenuti che in essi trovano spazio nei diversi contesti locali5. Parallelamente, però, è necessario constatare che il tema della sicurezza è presente e rilevante in tutti i contesti da noi analizzati e che è possibile cogliere, da una parte, una preoccupazione per la gestione del rischio che opera in modo trasversale nelle diverse società umane e, dall’altra, delle dinamiche comuni, che trascendono il livello locale, nei meccanismi attraverso cui opera la categoria “sicurezza” sul piano politico.
Il nostro obiettivo nel presente lavoro non è quello di stabilire quali siano le fonti di sicurezza o insicurezza nei differenti contesti analizati, né tantomeno di valutare l’efficacia o inefficacia di specifiche agende di sicurezza. Ci interessa piuttosto soffermarci sul ruolo sociale dell’(in)sicurezza, osservando e analizzando i linguaggi, le rappresentazioni e i dispositivi di azione su di essa incentrati in ciascun caso specifico.
- 2. Più che un concetto unitario e chiaramente delineato, la parola “sicurezza” chiama in causa un framework di discorsi e di pratiche che hanno come perno la definizione, la gestione e il contenimento preventivo del rischio e della paura. Si tratta quindi di una cornice interpretativa e operativa all’interno della quale possono essere collocati dei fenomeni molto diversi fra loro.
Usando le categorie geertziane6, possiamo intendere la sicurezza sia come modello di, sia come modello per. Mentre i modelli di sono schemi concettuali che implicano una data visione del mondo e che chiamano in causa le modalità di rappresentazione e i processi di costruzione delle rappresentazioni, i modelli per sono concetti operativi, che indirizzano e orientano l’agire dell’individuo e della collettività.
In quanto modello di il concetto di “sicurezza” fornisce una chiave di lettura e di interpretazione dei fenomeni sociali, attraverso la quale è possibile categorizzare il rapporto con l’ambiente e le relazioni fra Stati, gruppi e individui. Simultaneamente, in quando modello per, la “sicurezza” è un concetto attivo, un dispositivo di potere, avrebbe detto Foucault7, che consente di “fare” delle scelte sul piano sociale e politico.
Il potere, nel pensiero di Foucault, è concepito come un fenomeno che non si fonda su se stesso e non si genera da se stesso, ma che richiede degli insiemi di meccanismi e procedure – dei dispositivi, appunto – che ne garantiscano la permanenza e ne assicurino la stabilità. La sicurezza, accanto alle legge e alle discipline, è uno di questi dispositivi. Per illustrare e introdurre i processi storici di trasformazione dei dispositivi di potere, Foucault usa come esempio diversi meccanismi di risposta al furto e, più in generale, alla devianza. «La prima modalità», scrive, «consiste nello stabilire una norma e nel fissare una punizione per chi la viola»8. Questo meccanismo prevede una correlazione binaria fra azione indebita e punizione ed è propria dei dispositivi legali o giuridici.
Il secondo meccanismo è quello disciplinare e ha come modalità primaria di risposta la carcerazione del colpevole. I meccanismi disciplinari, che stanno alla base della biopolitica, introducono una serie di tecniche di correzione, sorveglianza e controllo che hanno a che fare con la fabbricazione di “corpi” e di “soggettività” che garantiscano la massima efficacia produttiva e che si inseriscano in modo ottimale nella struttura sociale. È un potere che si afferma grazie al controllo dei corpi e al controllo attraverso i corpi.
Infine, è possibile agire attraverso un terzo meccanismo, che prevede l’attivazione di una serie di misure volte al contenimento preventivo del fenomeno in questione, intervenendo prima ancora che esso si presenti: si tratterebbe, in questo caso, di un dispositivo di sicurezza.
In quanto dispositivo di potere, il concetto di sicurezza opera sulla probabilità e ha a che fare con la gestione di serie aperte e infinite di eventi, sui quali si può attuare un controllo solo sulla base di un calcolo del rischio potenziale. Una caratteristica distintiva dei dispositivi di sicurezza è che essi operano sulla popolazione nel suo insieme, non sul soggetto. Si pensi ai controlli aeroportuali antiterroristici, alle intercettazioni, alla militarizzazione degli spazi urbani nelle aree a rischio, alla chiusura “selettiva” delle frontiere o, ancora, alla possibilità di ricorrere preventivamente a forme più o meno gravi di restrizione della libertà. Tutte queste misure vengono attuate a tappeto sull’insieme degli abitanti e, benché colpiscano soprattutt...
Indice dei contenuti
- CoverImage
- DIEZ,PRATESI,VARGAS (IN)SICUREZZE
- 1. Diez e Vargas - (In)sicurezze
- 2. Busso - Insicurezza, paura, modernità e dilemmi dell’expertise
- 3. Capello - Del feticismo dell’insicurezza
- 4. Ruzza - Bloody soil, fertile land
- 5. Filandri e Parisi - Insicurezza disuguale
- 5. Immagine 1 Filandri e Parisi - Insicurezza disuguale
- 5. immagine 2 Filandri e Parisi - Insicurezza disuguale
- 5. immagine 3 Filandri e Parisi - Insicurezza disuguale
- 5. immagine 4 Filandri e Parisi - Insicurezza disuguale
- 5. immagine 5 Filandri e Parisi - Insicurezza disuguale
- 5. immagine 6 Filandri e Parisi - Insicurezza disuguale
- 6. Russo - La città discreta
- 7. Giletti - Musica, corridos, narcotráfico
- 8. Vargas - La città “di sopra” e la città “di sotto”
- 9. Freddi - La (in)Seguridad di Todos Santos (Guatemala)
- 10. Ceriana - Insicurezza, paura, mimesi tra colonia e postcolonia
- 11. Diez - Zombicapitalismo
- 12. Gusman - La religione come strategia di riduzione dell’insicurezza
- 13. Pratesi - Conclusione
- 14. AUTORI