PARTE III
IL RUOLO DELL’EUROPA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE
6. Covid-19: come cambiano le politiche di sicurezza dell’Europa?
Davide Fiammenghi, Andrea Locatelli*
In questo capitolo cercheremo di comprendere se, e fino a che punto, l’emergenza Covid-19 imporrà un mutamento della politica europea nei settori di sicurezza e difesa. In letteratura esistono tre principali posizioni a riguardo: la pandemia Covid-19 è vista come una giuntura di portata storica, una perturbazione momentanea, o un acceleratore di fenomeni già in atto. Ciascuna posizione porta, poi, a scenari alternativi, all’interno dei quali l’Unione Europea dovrà ritagliarsi un diverso ruolo.
Il primo scenario non prevede un mutamento significativo del sistema internazionale. Nonostante l’ingente perdita di vite umane e di ricchezza, secondo questa prospettiva, a meno che la pandemia non si configuri come uno shock asimmetrico, la distribuzione di potenza rimarrà invariata, così come il pattern degli allineamenti. Passata l’emergenza e riassorbita la crisi economica, l’UE si troverà circa nella stessa situazione in cui si trovava nei primi mesi del 2020 – con la conseguenza di non dover alterare significativamente la propria politica estera e di difesa.
Il secondo scenario presuppone un cambiamento radicale: il sistema internazionale post-Covid-19 presenterà una diversa configurazione di potenza, un’alterazione dei rapporti di amicizia/inimicizia e dei meccanismi di gestione dell’ordine. Gli autori che seguono quest’indirizzo possono essere divisi in ottimisti e pessimisti. I primi suppongono che i leader, traendo una lezione dall’esperienza del Covid-19, coglieranno l’occasione per rinsaldare la cooperazione e correggere le distorsioni dell’attuale sistema economico mondiale. I pessimisti, al contrario, notano come da più parti la pandemia abbia favorito il diffondersi di princìpi illiberali e la capacità d’attrazione delle potenze revisioniste (Cina e Russia in primis).
Il terzo scenario è una via media tra i due precedenti, poiché, diversamente dal primo, ammette un’alterazione di lungo termine nell’ordine internazionale; ma, contrariamente al secondo, non arriva a prefigurare un cambiamento radicale. Secondo questa visione, la pandemia costituisce un acceleratore di fenomeni già in atto. Ciò che emerge dalla pandemia è un’accresciuta tensione fra Stati Uniti e Cina e un indebolimento delle istituzioni multilaterali. Per l’UE, questo scenario imporrebbe l’accelerazione del processo di riforma della politica di sicurezza e difesa, e una più forte presa di posizione dinnanzi alla competizione sino-americana.
Nelle pagine che seguono, il capitolo analizza l’impatto del Covid-19 sulle iniziative militari comunitarie e sulla politica di difesa dell’Unione, sulle missioni europee in paesi terzi e infine sulle catene di approvvigionamento. Muovendo da queste analisi, nelle conclusioni cercheremo di verificare quale dei tre scenari qui citati sia il più plausibile.
Le iniziative della difesa e la politica militare degli Stati membri
Per quanto al momento sia difficile da prevedere, è verosimile supporre che l’emergenza Covid-19 porterà a una contrazione delle spese legate alla difesa. Le implicazioni sono rilevanti in ambito comunitario e a livello di singoli Stati. Quanto alla dimensione nazionale, la riluttanza degli Stati europei a investire più risorse nella politica di difesa costituisce un motivo di tensione di lungo periodo con l’alleato americano all’interno della Nato – una tensione resa solo più evidente dall’amministrazione Trump, ma presente dalla fondazione dell’alleanza. La contrazione economica probabilmente rafforzerà questa tendenza: c’è quindi da attendersi una riduzione delle spese per la difesa, sia in termini assoluti che in proporzione al Pil. Tale previsione, accreditata da diversi analisti, discende dall’esperienza della crisi finanziaria del 2008, in seguito alla quale si è registrata in pressoché tutti i paesi europei una riduzione dei bilanci della difesa per un quinquennio, e un ritorno ai livelli di spesa del 2009 solo nel 2019.
Una nuova austerità nelle spese nazionali per la difesa comporterà probabilmente una diminuzione delle capacità militari degli Stati membri. Per quanto sia lecito aspettarsi che alcuni Stati (per esempio. la Francia) ne siano colpiti in misura minore, la prospettiva è di un aumento del gap di capacità rispetto agli Stati Uniti e, a sua volta, di una maggiore dipendenza dalla Nato. Il tutto a discapito del processo, faticosamente avviato una ventina d’anni fa, d’integrazione europea della difesa.
Per quanto concerne le iniziative europee per la difesa, gli anni precedenti alla diffusione del virus videro un sostanziale impegno politico volto a raggiungere l’autonomia strategica dell’UE. Questa linea politica, di cui la Commissione von der Leyen si è fatta sostenitrice, deve affrontare due principali ostacoli, il primo dei quali è la minore disponibilità finanziaria per il Fondo Europeo di Difesa (Fed): il 14 di dicembre, il Consiglio dell’UE ha proposto un finanziamento per il Fed all’interno del quadro finanziario pluriennale 2021-27 pari a 7.953.000.000 di euro e 1.500.00.000 per il piano di mobilità militare. Si tratta di valori in linea con la richiesta della Commissione prima dell’emergenza Covid-19, ma nettamente inferiori rispetto a quanto pianificato inizialmente per i due progetti (13 miliardi per il Fed e 6,5 per la mobilità militare).
Il secondo ostacolo ha natura politica e consiste nella priorità che verrà assegnata a temi diversi dalla difesa, come lo stimolo alla ripresa e la digitalizzazione. Le ambizioni “geopolitiche” della Commissione non derivano dal Covid-19, ma da fattori quali la politica estera dell’amministrazione Trump e dagli effetti di Brexit sul processo d’integrazione europea. L’impatto della pandemia, quindi, si sommerà all’auspicabile normalizzazione delle relazioni con la Gran Bretagna e al probabile riallineamento della politica estera americana con l’amministrazione Biden. È quindi verosimile un venir meno della spinta alla cooperazione militare che aveva contraddistinto l’ultimo quinquennio: nonostante qualche segnale incoraggiante – ad esempio la lettera d’intenti dei ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia e Spagna circolata a maggio e il policy paper franco-tedesco del mese successivo – iniziative comunitarie di rilievo come la Cooperazione Strutturata Permanente (Pesco, nell’acronimo inglese) e il Piano di Sviluppo delle Capacità (Cdp) potrebbero subire significative battute d’arresto.
Il processo d’integrazione della difesa potrebbe esser colpito duramente dalla pandemia. Pur offrendo due vantaggi per gli Stati membri – la prospettiva di un’autonomia strategica rispetto agli Stati Uniti e il beneficio economico legato alle economie di scala – la cooperazione militare al momento risulta minacciata dalla minore disponibilità finanziaria del Fed (e, quindi, dal prevedibile ridimensionamento del ruolo della Commissione) e dalla tentazione dei principali Stati membri di tutelare le proprie industrie della difesa a scapito delle imprese rivali.
Le missioni europee e la politica degli aiuti ai paesi terzi
L’emergenza Covid-19 ha posto sotto stress le missioni europee in paesi terzi e indotto un parziale riorientamento verso attività di assistenza sanitaria. Durante le prime fasi dell’emergenza, parte del personale europeo è stata temporaneamente ritirata dalle aree operative come misura precauzionale. Come nota il Parlamento Europeo, la pandemia ha avuto un impatto negativo sulle missioni di addestramento in paesi come il Mali, la Somalia e la Repubblica Centroafricana. È anche possibile che la pandemia acutizzi i conflitti in paesi dai fragili assetti domestici: di qui, la necessità di rafforzare le iniziative di peacebuilding. Nella tarda primavera del 2020, il Consiglio dell’UE ha dato indicazione che il personale fosse fatto rientrare urgentemente e che le missioni venissero rafforzate.
Nel nov...