Il lavoro delle donne nelle città dell'Europa moderna
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Il lavoro delle donne nelle città dell'Europa moderna

Anna Bellavitis

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Il lavoro delle donne nelle città dell'Europa moderna

Anna Bellavitis

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Come viveva una lavoratrice in una città dell'Europa moderna? Che opportunità le si offrivano e quali barriere si opponevano alla sua carriera lavorativa? Quali attività poteva svolgere e a quali salari poteva aspirare?Artigiane, commercianti, balie e prostitute, ma anche mercantesse, artiste, giornaliste e capitane d'industria, le donne ebbero un ruolo fondamentale nell'evoluzione economica della società europea, nonostante i molti limiti che leggi e tradizioni imposero alla loro libertà di azione e movimento.Sulla base di un'ampia bibliografia internazionale e di inedite ricerche d'archivio, questo libro offre una ricca panoramica delle attività economiche delle donne nelle case e nelle botteghe, sulle strade e nei mercati, nei conventi e negli ospedali, inserendole nei grandi mutamenti che caratterizzarono l'età moderna, dalla globalizzazione all'industrializzazione, dalle riforme religiose alla rivoluzione dei consumi, nell'ambito di una vasta area geografica, che va dall'Italia alla Scandinavia, dalla Spagna alla Polonia.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788867289554
Argomento
History
1. Il problema storico del lavoro delle donne in età moderna
1. Di che genere è il lavoro?
Si sono cercati in archivi e biblioteche prove, documenti, dati sul lavoro delle donne nel passato, partendo dal presupposto che l’indipendenza economica fosse la condizione primaria, necessaria anche se non sufficiente, per il controllo della propria esistenza. Al tempo stesso, la ricerca storica si è interessata alle attività svolte in famiglia, in cui l’imprescindibile apporto delle donne e dei bambini risulta più difficile da documentare anche in mestieri che oggi ci appaiono tipicamente femminili: possiamo ad esempio citare le famiglie di lavandari, documentate a Bologna nel XVIII secolo, in cui il capofamiglia era il lavandaro padrone, che organizzava il lavoro di moglie, figli ed eventualmente anche di altri parenti o servitori.11 Ma fino a che punto, per le donne, in passato, il lavoro è stato una fonte di identità, indipendenza e orgoglio? Ecco una domanda che è al centro di molte ricerche degli ultimi anni, che si sono sforzate – spesso, come vedremo, riuscendoci – di superare l’immagine del lavoro femminile come esclusivamente dipendente e fonte di sfruttamento.12
Lavorare era raramente scelta, emancipazione, carriera, ma molto più spesso fatica, pena, costrizione, in un mondo in cui, per buona parte dell’epoca moderna, l’ideale sociale era il rentier, capo della sua famiglia e dei suoi servitori, che viveva di rendita e non esercitava «arti meccaniche».13 E tuttavia, quasi tutti lavoravano, uomini come donne, e per tutta la vita, cominciando da bambini, poiché non erano in molti ad andare a scuola, e smettevano solo alla morte, non essendo per nulla sviluppato il sistema pensionistico. I sistemi di carità di antico regime, del resto, non prevedevano che le persone ricoverate in ospizi o orfanatrofi restassero in ozio, ma dovevano contribuire lavorando al proprio mantenimento. I mestieri femminili più diffusi, come la filatura, non richiedevano molta forza fisica e potevano pertanto essere svolti sino a età molto avanzate, anche da uomini, che spesso, negli ospizi, si dedicavano a questo tipo di occupazioni per mantenersi, anche se, naturalmente, il calo delle capacità visive, effetto della vecchiaia, rendeva a un certo punto inevitabile l’abbandono anche di tali attività.14 Al di là della sopravvivenza, quale autonomia e quale potere contrattuale nei confronti di un padre, un marito, un padrone potevano dare i lavori che le donne potevano, e dovevano, svolgere nel passato?
Lavori da donne?
Alcune occupazioni erano considerate maggiormente adatte alle donne e vi sono alcune attività che possono essere esercitate solo da individui di sesso femminile. Eppure, persino l’attività di allattare i figli altrui, mestiere femminile per eccellenza, era a volte gestita da uomini e tra uomini: nella Firenze del Rinascimento, erano i “balii”, ovvero i mariti delle balie, a contrattare con i padri dei neonati il prezzo delle prestazioni della moglie.15 Tuttavia, la nozione stessa di mestieri “da donne” e mestieri “da uomini” non era né scontata né immutabile, come non lo è nel mondo d’oggi. Ad esempio, la diffusione della “protoindustria” rurale in età moderna coinvolse sia uomini che donne e, a inizio Cinquecento, l’umanista tedesco Sebastian Franck notava, con sorpresa mista a disappunto, nelle campagne intorno a Ulm e Augusta la presenza di uomini e ragazzi «vigorosi, attivi e forti», occupati a filare chiacchierando tra loro, «come fossero donne». Un bell’esempio di rovesciamento dei ruoli di genere e la prova che, se ve ne fosse stata la necessità e l’opportunità, quasi nessun lavoro aveva un’identità di genere definita una volta per tutte.16 In maniera analoga, come vedremo in dettaglio, la tessitura della seta, attività prevalentemente svolta da uomini nel medioevo e nella prima età moderna, divenne un’attività femminile nel Settecento, in una fase di contrazione del mercato in cui era necessario risparmiare sui costi di lavorazione.17
Le evoluzioni della tecnologia hanno sempre avuto delle conseguenze sui ruoli di genere nel lavoro e, in epoca industriale, la meccanizzazione di alcuni processi produttivi ha favorito l’ingresso nelle manifatture di donne scarsamente specializzate e quindi meno pagate. Al contrario, nella prima età moderna, in alcune regioni europee, l’uso del telaio meccanico per la fabbricazione delle calze a maglia determinò l’espulsione delle donne da un tipo di produzione che, sino ad allora, era stata un monopolio femminile. Il paradosso è che, alla fine del Cinquecento, in alcune città tedesche, dopo esser riusciti a espellere le donne dalla fabbricazione meccanica delle calze, i magliai chiesero alle autorità urbane di escludere le donne anche dalla confezione a mano di calze, adducendo il pretesto che persino quel tipo di lavorazione fosse troppo specializzata. Eppure, in passato, era sempre stata svolta da donne.18
Le occupazioni che avevano uno spiccato ruolo pubblico non erano quasi mai aperte alle donne, e non è certo casuale che un “uomo pubblico” fosse, e sia ancora, un individuo di sesso maschile dotato di pubblica fama e riconoscimento sociale, mentre una “donna pubblica” indicasse nel passato, e fortunatamente non più (o quasi più) nel mondo d’oggi, una prostituta! Nelle processioni religiose che scandivano la ritualità urbana nelle città siciliane, in età moderna, gli uomini sfilavano secondo gerarchie ordinate che ne rispecchiavano l’appartenenza ai vari corpi sociali, mentre le donne erano una presenza casuale, disorganizzata e talvolta persino irriverente, secondo una sorta di rovesciamento rituale dei canoni tradizionali di comportamento.19 Anche nelle processioni delle corporazioni nelle città tedesche gli uomini avevano un ruolo pubblico, mentre le donne restavano in disparte. Tuttavia, le cerimonie organizzate da associazioni di mestiere tipicamente femminili, come le levatrici, erano vissute dalle partecipanti come occasioni importanti per la costruzione della coesione del gruppo e dell’identità professionale, secondo quanto affermarono nel 1584 le levatrici di Strasburgo.20
Le donne non furono assenti da molti settori che oggi, perlomeno in Europa, ci possono sembrare prettamente maschili. A Besançon, nel 1601, delle giovani donne lavoravano, insieme agli uomini, alla ricostruzione della piazza ed erano «addette a scavare tutta la terra del cimitero», estraevano da terra «le ossa e le trasporta[va]no nella zona del cimitero situata dietro la suddetta chiesa»; altre erano impiegate nella costruzione di una fortificazione per cui «portarono la terra per effettuare i necessari riempimenti» e, nel 1615, alcune ragazze furono pagate per il «trasporto di pietre davanti alle chiuse per rialzarle». Al di fuori dello spazio urbano, troviamo donne nelle miniere o nelle saline, con ruoli di manovalanza, ma anche in impieghi di coordinamento del lavoro altrui, definiti “uffici” e trasmissibili ad altre donne della famiglia.21 Infine, le donne che accompagnavano gli eserciti nelle campagne di guerra non erano solo prostitute o romantiche avventuriere travestite da uomo ma vivandiere, cantiniere, lavandaie, assunte dai comandi militari per i servizi quotidiani, ma anche mogli che seguivano il marito portando con sé i figli, perché restando a casa non avrebbero avuto di che vivere. L’esercito prussiano, nel XVIII secolo, ammetteva cinque donne, con i loro bambini, ogni cento soldati e se un soldato moriva la vedova era autorizzata a sposarne un altro, per assicurare a sé e ai propri figli protezione e mantenimento.22
I lavori delle donne
Le sole attività che compaiono al femminile nell’ambiziosa opera in cui Tommaso Garzoni descrisse, nel 1585, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, sono (secondo l’ordine del volume): «sibille, strie, donne di corte, metti massare, meretrici, ruffiane, filiere di lana, filiere, lavandiere, comari, balie o nutrici». In alcuni casi, le donne riappaiono nel capitolo dedicato a un singolo mestiere, per cui, ad esempio, a proposito dei ricamatori, Garzoni scrive: «questo mestiero è più di ornamento che di commodo, e più da femine che da uomini» e, nel capitolo sugli attori, si prodiga in lodi delle grandi attrici italiane della sua epoca, come la «graziosa Isabella», la «dotta Vicenza», o la «divina Vittoria». T...

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