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La donna delinquente e la prostituta
L’eredità di Lombroso nella cultura e nella società italiane
- 229 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
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La donna delinquente e la prostituta
L’eredità di Lombroso nella cultura e nella società italiane
Informazioni su questo libro
A partire dalla seconda metà dell'Ottocento, le discussioni intorno alla natura femminile, alla collocazione della donna in società e al rapporto fra i sessi si fecero sempre più frequenti.
All'interno della cultura scientifica positivista la caratterizzazione psichica e morale dell'individuo veniva fatta derivare dalla sua struttura anatomo-biologica: le nascenti scienze umane veicolarono dunque l'immagine di una femminilità legittima solo se commisurata alle funzioni naturali inscritte nel corpo della donna. In questo contesto, una formidabile eco ebbe l'opera di Cesare Lombroso.
Obiettivo del volume è allora quello di ripercorrere l'eredità lombrosiana circa la normalità e la devianza femminili tanto nella riflessione teorica, quanto nei dispositivi normativi dall'ultimo decennio dell'Ottocento fino all'Italia repubblicana.
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Informazioni
Argomento
HistoryCategoria
19th Century HistoryRiccardo Cavallo
«Sposa affettuosa, madre sublime e donna delinquente». Socialismo giuridico e criminalità femminile.
Le droit vivait en paix, quand Lombroso survint.
Et voilà la guerre allumée.
Agile Delassus, Les théories modernes de la criminalité, Paris, 1899
1. Classi pericolose e questione femminile
«Nella seconda metà dell’Ottocento […] forse nessun altro ambito delle scienze giuridiche, diverso dal ‘penale’ […] ha dovuto confrontarsi così precocemente con i grandi fenomeni del mutamento sociale» e la stessa figura del penalista si trova di fronte «ad uno specchio deformante che altro non è se non la società che si trasforma rapidamente».74 Tale specchio proietta figure inquietanti che popolano il composito e variegato atlante criminale che va dal delinquente alla prostituta, passando per l’alcolista e l’accattone «ed in generale, tutti coloro che rivelano una natura violenta, immorale, una tendenza al delitto, o una condotta singolare, e quindi sono una minaccia permanente all’ordine sociale».75 Queste figure, subito etichettate come «classi pericolose», vanno quasi a costituire una categoria a sé che va analizzata, catalogata e punita;76 vivono fianco a fianco con le «classi laboriose»,77 affiorando progressivamente dai bassifondi delle città sempre più simili a polveriere pronte a esplodere alla prima scintilla. Esse rimpiazzano la bonaria criminalità rurale fatta di furti di legna e abigeato e diventano sempre più temibili per le classi agiate che agitano come non mai lo spauracchio della pericolosità.78 Allora come Vautrin – uno dei più vividi protagonisti della Comédie humaine di Balzac «condannato due volte alle galere e due volte evaso […] l’eterno ribelle, che acquista una tragica grandezza nel suo duello con la società»79 – i delinquenti nelle loro diverse declinazioni fuoriescono dalle pieghe del romanzo ottocentesco e costituiscono una minaccia costante alla tranquillità dei borghesi oltre che una sorta di sfregio alle bellezze architettoniche e al decoro cittadino.
Se in una siffatta temperie «il crimine risulta in pratica indistinguibile dalla sua rappresentazione, sorta di fantastico schermo su cui si proiettano le ansie sociali e le inquietudini culturali di una società»,80 allo stesso modo questione sociale e questione criminale si mescolano fino a confondersi, ma gli studiosi (ivi compresi i giuristi) privilegiano, pur sempre, un’ottica che tende a espungere o tutt’al più a rendere marginale dal discorso penale la questione femminile,81 anche se, in realtà, non sono mancati tentativi nella cultura otto-novecentesca non solo di far emergere tale questione ma anche di farla diventare parte integrante della questione sociale.82 Basti pensare alla riflessione della liberale Anna Maria Mozzoni che nella breve ma simpatetica prefazione83 alla traduzione italiana del volume di John Stuart Mill, The Subjection of Women, intitolata lapidariamente Al lettore!, esorta non solo le donne, ma anche gli uomini, i ministri di ogni confessione, i fisiologi, la costituenda associazione degli avvocati e gli esponenti della Camera rappresentativa a demolire «questa corrosa reliquia delle antiche oppressioni».84 Ad affilare ulteriormente le armi dialettiche radicalizzando tali posizioni sovviene la socialista Anna Kuliscioff, che nella celebre conferenza tenuta al Circolo filologico milanese il 27 aprile del 1890 ritiene – con un’espressione passata alla storia – che il nemico da abbattere sia il «monopolio dell’uomo» e l’ingiustizia di cui è vittima la donna sia solo una delle molte facce di un’ancora irrisolta questione sociale, tesa a dimostrare come «le leggi giuridiche sono la conseguenza di abitudini e costumi sociali, e non altro che la sanzione dei rapporti sociali già esistenti, allo stesso modo che le leggi cosmiche e biologiche non sono che la sintesi dei fenomeni osservati».85 Gli strali della Mozzoni o della Kuliscioff – al di là della diversità di vedute – si appuntano, inoltre, anche nei confronti degli stessi socialisti,86 e in particolare contro le fumose proposte condensate, in molti casi, nelle pagine di prestigiosi periodici come «Critica sociale».87 Queste voci alquanto isolate che hanno dato un importante contributo alla nascita del movimento femminista in Italia riescono comunque ad aprire un varco nel compatto fronte culturale risorgimentale88 e a sovvertire la tradizionale figura della donna come angelo del focolare, relegata nelle anguste pareti domestiche con una nuova e innovativa immagine che la vede indossare abiti diversi emancipandosi del tutto dal dominio maschile e diventare protagonista indiscussa nella società ancora in fieri, andando ben al di là del formale riconoscimento dell’astratta capacità giuridica, oppure di altrettante generiche affermazioni di uguaglianza attraverso il riconoscimento di una concreta funzione sociale che, tra l’altro, deve comportare l’ingresso a tutti gli effetti nel mondo del lavoro, l’ammissione ai pubblici uffici, il riconoscimento dei diritti politici.89
Anche la tradizione marxista non produce contributi significativi in tal senso, ad eccezione del pionieristico scritto di August Bebel, Die Frau und der Sozialismus,90 che riprende e sviluppa le intuizioni di Marx e soprattutto di Engels91 sul ruolo della donna all’interno della famiglia, distinguendo tra il borghese (l’uomo) e il proletario (la donna) e la conseguente analogia tra quest’ultima e lo schiavo. Tale scritto interrogandosi, tra le altre cose, sulle profonde trasformazioni della famiglia e, in particolare, sul ruolo che la donna avrebbe dovuto occupare nella società, trae spunto dalla critica ai precedenti studi che avevano trascurato oppure del tutto svilito l’esistenza di una specifica questione femminile, e lascia una traccia indelebile non solo nel pensiero marxista92 ma nell’intera cultura dell’epoca. La sua traduzione ne...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Occhiello
- Frontespizio
- Colophon
- Indice
- Introduzione. La donna delinquente: teorie lombrosiane e pratiche politico-istituzionali in Italia tra Otto e Novecento
- Un parricidio mancato. La ricezione della Donna delinquente, la prostituta e la donna normale in Italia tra Otto e Novecento
- «Sposa affettuosa, madre sublime e donna delinquente». Socialismo giuridico e criminalità femminile.
- La donna delinquente tra isteria e infirmitas sexus nell’immaginario giuridico e scientifico ottocentesco
- Dalla donna normale alla criminale-nata. La natura femminile nel dialogo tra Paolo Mantegazza e Cesare Lombroso
- Il paradigma lombrosiano della donna delinquente nel regime fascista. Considerazioni storiografiche
- Cesare Lombroso and the Gendered Prison
- Prostitute migranti, società e misure di polizia in età liberale
- Femminilità pericolose. Le internate nel regime fascista
- «Avide dello scandalo». La devianza femminile in manicomio
- La prostituta tra innatismo e acquisizione. Una questione insoluta nell’Italia repubblicana
- Gli autori