La scienza delle serie tv
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La scienza delle serie tv

Informazioni su questo libro

Un professore di chimica potrebbe davvero fabbricare droga come Walter White in Breaking Bad? Tra quanto avremo il teletrasporto di Star Trek? E qual è il modo migliore di reagire a un'epidemia zombie come quella di The Walking Dead? Si può parlare di scienza anche stando comodamente in poltrona di fronte alla televisione. Le serie tv sono diventate prodotti di culto, e le più celebri sono proprio quelle fantascientifiche, mediche e d'investigazione, che al loro interno raccontano molta scienza. Cosa c'è di vero in ciò che mostrano? Dalla nascita del cosmo in The Big Bang Theory, passando per le fantadiagnosi del Dr. House, i complotti alieni di X-Files e la natura del tempo in True Detective, Andrea Gentile svela il lato nascosto dei nostri show preferiti, con un linguaggio semplice e spiegazioni alla portata di tutti.[BIO]Andrea Gentile, giornalista, si occupa di scienza, cultura e attualità per la rivista "Wired Italia". Dopo una laurea in neuroscienze computazionali e un master in comunicazione della scienza, ha fatto parte delle redazioni di "Galileo" e "RAI Radio3 Scienza". Nel 2014 per Codice Edizioni ha pubblicato La scienza sotto l'ombrellone (pubblicato in Germania e Grecia, e arrivato al tredicesimo posto nella classifica tedesca della saggistica).Marco "Goran" Romano, illustratore, lavora principalmente per l'editoria italiana e americana. Nel 2014 è stato inserito nella lista dei 20 under 30 New Visual Artists stilata dalla rivista "Print".

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Capitolo 1

The Walking Dead

Prima puntata: 2010 (Stati Uniti e Italia)
Stagioni: 6 (in corso)
Binge watching: 2 giorni, 4 ore e 30 minuti
Sinossi: Il vicesceriffo Rick Grimes (Andrew Lincoln), ferito in uno scontro con alcuni criminali, si risveglia in ospedale da un coma durato mesi. Il mondo che ricordava è cambiato radicalmente: la cittadina di King County, Georgia, è infestata da zombie. Riuscito a sfuggire ai primi non morti, va alla ricerca della moglie Lori (Sarah Wayne Callies) e del figlio Carl (Chandler Riggs). È solo l’inizio di un lungo viaggio per la sopravvivenza nella provincia americana, devastata da una misteriosa epidemia e dove spesso i superstiti sono più pericolosi dei “vaganti”.
Siamo circondati dagli zombie. Film, fumetti, videogiochi e serie tv dedicati ai morti viventi sono sempre più diffusi nella cultura pop e, recentemente, hanno raggiunto vette di popolarità mai viste per il genere. Tra gli altri, ad averne decretato il successo è stato senza dubbio The Walking Dead, una serie a fumetti pubblicata a partire dal 2003 da Image Comics (in Italia da SaldaPress) e nata dall’immaginazione di Robert Kirkman, Tony Moore e Charlie Adlard. La storia di un gruppo di fuggitivi, capeggiati da Rick Grimes e alle prese con un’epidemia zombie, presto ha conquistato anche la televisione e, nel 2010, The Walking Dead ha fatto il suo debutto sul canale statunitense AMC. Gli zombie, però, non nascono nelle serie tv, vengono da molto più lontano e precisamente dall’isola di Haiti, dove i corpi rianimati dai potenti stregoni bokor venivano usati come schiavi. Sono gli zonbie, in creolo haitiano, della tradizione vudù che, passando dal Frankenstein di Mary Shelley e da Io sono leggenda di Richard Matheson, nel 1968 approdano al cinema con La notte dei morti viventi di George A. Romero, il padre di tutti gli zombie. Si inaugura così l’horror legato all’apocalisse dei morti che tornano in vita, la stessa epidemia che minaccia di distruggere l’umanità in The Walking Dead.
Come affrontare un’epidemia zombie
Può sembrare strano, ma gli zombie hanno fatto breccia anche nel cuore di medici, fisici, chimici e biologi, che hanno deciso di approfondire lo studio del mondo dei morti viventi da un punto di vista scientifico. Per quale motivo? Semplicemente perché grazie a queste creature si possono studiare molti aspetti della vita reale, sui quali si riesce a generare un maggiore interesse del pubblico. Un esempio su tutti è quello dell’epidemiologia.
L’epidemiologia è la branca della medicina che si occupa di indagare la distribuzione e la frequenza delle malattie in una popolazione: dai tumori al diabete, passando per obesità, Ebola e infarti. Per esempio, tiene sotto controllo la diffusione dei diversi virus influenzali, non solo quelli dell’influenza stagionale, ma anche di quei ceppi particolari, come l’influenza suina e aviaria, che preoccupano medici e opinione pubblica. Questa “sorveglianza speciale” è dovuta appunto al timore che si scateni una nuova pandemia, la diffusione di una malattia infettiva a livello planetario, in un intervallo di tempo molto rapido e con numerosissimi casi. Pensate per esempio al virus dell’immunodeficienza umana (HIV), ormai presente in ogni luogo del pianeta, che nel 2014 ha ucciso – per complicazioni legate al virus – 1,2 milioni di persone.
Ora, immaginate un nuovo, pericoloso e sconosciuto patogeno con una mortalità ancora più alta, magari in grado di diffondersi con una stretta di mano, che all’improvviso spunta in una lontana regione del mondo. E se questo virus o batterio fosse in grado di trasformare rapidamente le persone in morti viventi?
In The Walking Dead non sappiamo di preciso che cosa sia accaduto e come sia nata l’epidemia zombie, ma durante l’ultimo episodio della prima stagione il dottor Edwin Jenner, nel cuore dell’epidemiologia statunitense, il Center for Disease Control and Prevention di Atlanta, avanza alcune ipotesi – prima di far saltare in aria il suo stesso laboratorio. Jenner parla di un agente che invade il cervello, come l’infiammazione delle membrane che proteggono il cervello chiamata meningite, ma neanche lo scienziato più competente di tutta la serie sa se la causa sia un batterio, un parassita o un virus (sebbene dalla forma tondeggiante contenente materiale genetico che si osserva sugli schermi, sembrerebbe proprio trattarsi di un virus). Neppure lo scrittore Kirkman sembra avere le idee chiare a riguardo e, in ogni caso, per ora non ha alcuna intenzione di fare rivelazioni: vuole semplicemente raccontare una storia e, secondo la sua opinione, la causa dell’epidemia è meno interessante delle sue conseguenze. Sappiamo solamente che questo patogeno ha già infettato tutti gli esseri umani, in attesa di prendere il sopravvento con la morte dell’ospite (magari causata dal morso di uno zombie). Probabilmente si tratta di un agente infettivo trasmesso per via aerea o, come alcuni ipotizzano online, diffusosi attraverso acqua o cibo.
Proprio sull’evoluzione e sulle conseguenze di un’infezione zombie si sono concentrati gli scienziati nel mondo reale. Era il 2009 e sulla rivista “Infectious Disease Modelling Research Progress” usciva un articolo che avrebbe fatto la storia della scienza degli zombie. Un gruppo di matematici canadesi (Philip Munz e Ioan Hudea della Carleton University insieme a Hoe Imad e Robert Smith dell’università di Ottawa) aveva creato per la prima volta una rappresentazione realistica, quello che viene chiamato un modello matematico, che spiegava con i numeri lo sviluppo di un’epidemia di morti viventi.
I ricercatori, sostanzialmente, hanno applicato i concetti dell’epidemiologia agli zombie. Per prima cosa hanno definito i termini generali della questione: una persona sana, morsa da uno zombie, può diventare un morto vivente capace di trasmettere a sua volta la malattia. E ancora che, nel caso in cui una persona sana muoia per cause naturali o meno, questa potrà risvegliarsi come zombie. La stessa cosa, almeno secondo la loro rappresentazione, può accadere a uno zombie. Abbiamo quindi di fronte tre grandi categorie: i suscettibili (S, le persone sane), gli zombie (Z, i morti viventi) e i rimossi (R, i resuscitabili). Non ci resta che stilare una serie di leggi matematiche che stabiliscano il passaggio da una categoria all’altra, decidendo per esempio che la probabilità che un individuo S si trasformi in uno Z dipenda dal numero di zombie e sani presenti in quel momento nella popolazione.
Costruite le categorie e le leggi che le governano, abbiamo il nostro modello, chiamato SZR. Si tratta di una cornice teorica che riprende un classico delle malattie infettive, il modello SIR, dove al posto degli zombie troviamo gli infetti. È una rappresentazione molto versatile che può essere ulteriormente ampliata, rendendo il modello più dettagliato e complesso. I ricercatori hanno deciso, infatti, di inserire una classe che rappresentasse le persone esposte all’infezione ma non ancora trasformate in zombie (I), con un periodo di latenza di 24 ore.
In base a questo nuovo modello SIZR, i matematici hanno dato le equazioni in pasto a un computer, simulando un’epidemia zombie, ma i loro risultati non sono stati molto confortanti per l’umanità. Senza alcun tipo di intervento, infatti, i numeri parlano chiaro: nel caso di una pandemia, gli zombie conquisterebbero facilmente il pianeta. A questo punto, i ricercatori hanno pensato di studiare anche delle alternative, come la quarantena. Isolando prontamente gli infetti e gli zombie catturati, riusciremmo a salvarci? La risposta è ancora una volta poco incoraggiante, perché mettendo in quarantena una larga percentuale di persone infette all’inizio dell’epidemia riusciremmo a resistere, ma ritardando solo di poco la sconfitta totale. Un’eventualità poco probabile nel caos di un’infezione repentina.
Ci sarebbe solo un modo per far sopravvivere l’umanità: attaccare ripetutamente gli zombie, eliminandone quantità sempre maggiori non appena le risorse lo consentissero. In questo caso, in una decina di giorni, secondo la simulazione dei matematici canadesi, riusciremmo a spazzare via il 100 per cento dei morti viventi. Un risultato che neanche una cura potrebbe garantire: se si potessero trattare gli zombie e riportarli a una condizione umana, senza però ottenere un’immunità (gli individui curati tornerebbero morti viventi a contatto con l’infezione), eviteremmo l’estinzione, ma riusciremmo a sopravvivere solamente in gruppi di piccole dimensioni.
Partendo dal lavoro dei matematici canadesi, molti ricercatori si sono industriati per costruire modelli di epidemie zombie sempre più complesse e interessanti. C’è chi ha provato a ricreare le apocalissi de La notte dei morti viventi di Romero e L’alba dei morti dementi di Edgar Wright, mentre altri hanno preferito concentrarsi su rappresentazioni più realistiche. Un gruppo di scienziati della Cornell University, per esempio, ha deciso di simulare un’epidemia zombie in tutti gli Stati Uniti, attribuendo ai morti viventi virtuali una caratteristica fondamentale: il movimento. Nel loro recente lavoro, Alexander Alemi e colleghi hanno usato un modello SIZR simile a quello di Munz, inserendo gli zombie all’interno di una mappa degli Stati Uniti comprendente 11 milioni di isolati diversi come sono stati indicati dal censimento del 2010, per un totale di oltre 300 milioni di persone situate in una griglia di 1500 colonne e 900 righe. L’aggiunta del fattore spaziale ha reso la simulazione più precisa, perché così suscettibili e zombie potevano interagire solo qualora si fossero trovati nella stessa casella. I ricercatori hanno calcolato la velocità dei morti viventi basandosi sulle riprese dei più celebri film del genere e hanno stimato che fosse circa pari a 30 centimetri al secondo.
Che cosa succederebbe, quindi, se negli Stati Uniti trecento persone fossero esposte tutte contemporaneamente e in modo casuale a un virus zombie? La maggior parte della popolazione nella realtà simulata dai ricercatori si tramuterebbe in morta vivente nell’arco della prima settimana. Durante la simulazione si è visto infatti che in una prima fase l’epidemia si sviluppa in cerchi uniformi, mentre in una fase successiva si registra una certa disomogeneità dovuta alla diversa densità abitativa. Le coste, densamente popolate, sarebbero le prime a cadere, mentre le zone centrali resisterebbero. Dopo un mese, dicono Alemi e colleghi, gli Stati Uniti sarebbero in ginocchio, ma ci vorrebbe molto tempo prima che la popolazione si estinguesse del tutto. Dopo quattro mesi, infatti, in zone remote del Montana e del Nevada non ci sarebbero ancora morti viventi. E cosa succederebbe invece allo stato della Georgia, teatro delle vicende di The Walking Dead? Secondo la mappa dei fisici statunitensi, lo stato in questione si situa in una zona con una probabilità di sopravvivenza media, un dato coerente con la storia di Rick Grimes e compagni.
Nel cervello di uno zombie
Facciamo un esperimento: mettiamo una persona normale di fronte al meno decomposto degli zombie e la differenza principale che noteremo è che il morto vivente cercherà di avventarsi sul malcapitato per strappargli la carne dalle ossa. Un comportamento decisamente poco civile, senza neanche un “Buongiorno!”. Da dove arriva questo irrefrenabile stimolo a mangiare i vivi? E che dire di tutte le altre caratteristiche che notiamo nei walker della serie tv ideata da Robert Kirkman?
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Il perché del comportamento degli zombie sta nel loro cervello. È lo stesso dottor Jenner a spiegarlo nella già citata puntata, mostrando gli impulsi elettrici che viaggiano da neurone a neurone nel cervello di una persona infetta, sotto forma di lampi di luce, grazie a futuristiche apparecchiature che in realtà ancora non esistono: «Da qualche parte in quei collegamenti organici c’è la vita di una persona, le sue esperienze, i suoi ricordi. Lì ci siamo noi, ciò che ci rende unici e umani». Con la morte, continua Jenner, tutte le luci si spengono e il nostro io scompare per sempre, ma l’infezione è in grado di riportare in qualche modo in vita una persona, facendo risplendere sparuti bagliori. Non riaccende l’intero organo, continua Jenner mostrando i neuroni riattivarsi, ma solamente il tronco encefalico, quella parte che si trova nel cuore del cervello, da cui nascono i “rami” che formano la struttura esterna e più recente chiamata corteccia. Il tronco encefalico è un’area cerebrale antica da un punto di vista evolutivo, con funzioni molto basilari, come per esempio il controllo dei riflessi e la regolazione del respiro e della temperatura corporea. Riuscite a immaginare uno zombie in grado di camminare e divorare umani guidato solo dal tronco encefalico? Be’, probabilmente no, e ciò dimostra che c’è qualcosa di sbagliato nella teoria di Jenner.
In realtà il morbo che porta i morti a risvegliarsi non può spegnere quasi tutto il cervello, perché alzarsi in piedi, fare un passo dopo l’altro e inseguire una preda sono compiti troppo complessi da svolgere senza l’azione coordinata delle aree cerebrali superiori. Per risolvere l’arcano, ci vengono in soccorso due neuroscienziati dell’università della California, Timothy Verstynen e Bradley Voytek, con il loro Do Zombies Dream of Undead Sheep? A Neuroscientific View of the Zombie Brain (Princeton University Press, 2014). In generale, Verstynen e Voytek parlano di un’atrofia selettiva del cervello, una patologia in grado di togliere di mezzo solamente alcune specifiche aree cerebrali, e teorizzano l’esistenza di una malattia degli zombie che chiamano Consciousness Deficit Hypoactivity Disorder (CDHD, sindrome da deficit di coscienza e iperattività), strizzando l’occhio all’ormai celeberrimo disturbo da deficit di attenzione e iperattività infantile (ADHD). In questo caso, l’insieme dei sintomi comprende la perdita di un comportamento cosciente, razionale e volontario, sostituito da aggressività, attenzione guidata da stimoli, incapacità di coordinamento moto-linguistico e insaziabile appetito per la carne umana. Tutte reazioni che possono essere spiegate con un danno cerebrale – a parte, ovviamente, il cannibalismo.
I movimenti sconclusionati che vediamo fare agli zombie, per esempio, possono essere causati da un cervelletto che funziona male. Quest’area che si trova dietro la nostra nuca, infatti, si occupa principalmente di coordinare tutti i nostri movimenti e ricevendo informazioni dai nostri sensi, è in grado di integrare insieme questi dati per aiutare il resto del cervello a muovere i muscoli in modo preciso. Un danno al cervelletto, quindi, provoca movimenti scoordinati e rigidi, oltre a un equilibrio precario, proprio come nel caso degli zombie.
Che dire invece delle semplici parole? È inutile cercare di convincere uno zombie ad allontanarsi con uno sfoggio di retorica, cercherà sempre di addentarvi i polpacci. In questo caso, dobbiamo volgere l’attenzione alla parte sinistra del nostro cervello, dove generalmente si trovano le zone deputate al linguaggio. Nel lobo temporale sinistro, che parte dall’attaccatura dei capelli all’altezza della tempia e prosegue verso la parte posteriore della testa passando sopra l’orecchio, troviamo infatti due piccole aree che possono spiegare perché i morti viventi non riescano a parlare. L’una si chiama area di Wernicke e il suo danneggiamento provoca un’afasia che non peggiora l’eloquio, ma rende le parole che si susseguono prive di senso e causa un grave problema di comprensione. L’altra invece è l’area di Broca che, una volta danneggiata, porta a un discorso frammentato, che si ha difficoltà a iniziare e risulta sgrammaticato. Ora, provate a immaginare un’atrofia in entrambe queste aree e forse riuscirete a comprendere perché gli zombie si esprimano solo con versi ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione
  3. Capitolo 1. The Walking Dead
  4. Capitolo 2. Breaking Bad
  5. Capitolo 3. Doctor Who
  6. Capitolo 4. Il Trono di Spade
  7. Capitolo 5. Dr. House
  8. Capitolo 6. Fringe
  9. Capitolo 7. Orphan Black
  10. Capitolo 8. Star Trek
  11. Capitolo 9. True Blood
  12. Capitolo 10. X-Files
  13. Capitolo 11. Battlestar Galactica
  14. Capitolo 12. True Detective
  15. Capitolo 13. The Big Bang Theory
  16. Ringraziamenti