L'evoluzione della cultura
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L'evoluzione della cultura

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L'evoluzione della cultura

Informazioni su questo libro

L'indagine condotta da Luigi Luca Cavalli Sforza sulle analogie tra evoluzione culturale ed evoluzione biologica resta ancora oggi una fondamentale introduzione a qualsiasi discussione sui temi del valore della genetica nella cultura e delle reciproche influenze tra sfera naturale e sfera culturale. Soprattutto è un libro utilissimo per capire cos'è la cultura. Cavalli Sforza ci ha regalato un affascinante affresco dell'innovazione e della conservazione culturale alternativo alle ricostruzioni incentrate esclusivamente sulla selezione genica, con conseguenze di grande rilievo per i nostri modi di concepire le differenze culturali, la presunta esistenza di "razze" umane, le culture nazionali e le loro relazioni.[BIO] Luigi Luca Cavalli Sforza è un'autorità di livello internazionale nel campo della genetica e un divulgatore di straordinaria chiarezza e profondità, capace di declinare il rigore della scienza in saggi di ampia diffusione. Oltre a numerosi articoli scientifici ha pubblicato con Einaudi, Adelphi e Mondadori.

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Informazioni

Capitolo 1

La cultura e la sua evoluzione

La cultura come accumulo di conoscenze e di innovazioni, reso possibile dall’uso del linguaggio. Lo studio del passato ci aiuta a capire il presente e il futuro. Il frazionamento delle culture. Il razzismo. L’evoluzione culturale e l’evoluzione genetica. Le scienze sperimentali e le scienze storiche.
La parola cultura ha molti significati. Qui vogliamo far uso di quello più generale: “accumulo globale di conoscenze e innovazioni, derivante dalla somma di contributi individuali trasmessi attraverso le generazioni e diffusi al nostro gruppo sociale, che influenza e cambia continuamente la nostra vita”. Questo sviluppo è stato reso possibile dalla capacità di comunicazione fra individui dovuta alla maturazione del linguaggio. Tale capacità, tipicamente umana e ugualmente sviluppata in tutti i popoli oggi viventi, ha permesso alla nostra società di prosperare ed espandersi demograficamente e geograficamente in modo straordinario, nonostante l’inevitabile differenziazione linguistica locale che ne è risultata abbia ridotto la comprensione reciproca diretta a regioni non troppo vaste.
Lo sviluppo culturale che ha generato il nostro comportamento sociale odierno è avvenuto, per la maggior parte, negli ultimi 100.000 anni, molto probabilmente perché, intorno a quella data, la piccola popolazione che ha dato origine a tutti gli uomini che vivono oggi aveva raggiunto la capacità odierna di comunicare. Negli ultimi 5000 anni (meno di 3000, in Italia) l’invenzione della scrittura ha permesso di accumulare documenti durevoli che ci hanno aiutato a ricostruire, anche se solo parzialmente, la nostra storia con precisione molto maggiore di quanto non fosse possibile attraverso la semplice tradizione orale. L’archeologia ci ha peraltro aiutato a raccogliere frammenti importanti della storia che precedette la scrittura: la preistoria.
Tutto quello che possiamo imparare sul passato ci aiuta a capire il presente. Per quello che sappiamo la preistoria – e il discorso è ancora più valido per la storia – è stata spesso tumultuosa e crudele. Nei secoli si è però verificato un miglioramento delle condizioni di vita: la prova migliore è l’aumento dell’aspettativa media di vita, fatto peraltro piuttosto recente e limitato a una frazione dell’umanità. Si può sperare che lo studio del passato possa aiutarci a orientare le nostre attività presenti e future in direzioni più universali e produttive, e soprattutto meno pericolose.
Oggi la cultura di popoli diversi è altamente frazionata. L’esistenza di confini nazionali spesso rigidi aiuta a mantenere indipendenti le culture di nazioni differenti, ciascuna delle quali ha avuto uno sviluppo e ha un presente molto diverso. Ma anche all’interno di ogni nazione esiste una variazione culturale spesso importante. È facile riconoscere identità di culture nazionali o locali (cioè subnazionali, magari condivise da nazioni diverse, come la cultura curda divisa tra Iraq, Turchia e Iran) legate a comportamenti caratteristici che ciascuno di noi ha occasione di notare o verificare quando si reca all’estero per periodi abbastanza lunghi. Alcuni di questi comportamenti variano rapidamente nel tempo mentre altri sembrano assai più costanti, quasi immutabili. In ogni cultura con cui veniamo in contatto scopriamo pregi e difetti che la differenziano dalla nostra. Tuttavia la tendenza alla globalizzazione, determinata dallo straordinario e recentissimo aumento dei mezzi di comunicazione, sta diventando sempre più rapida. Si tratta di un processo probabilmente irreversibile, destinato a far scomparire molta della variazione culturale ancora esistente. Ciò causa talora un senso di sollievo, ma più spesso di perdita. Si vorrebbero evitare molte di queste perdite o, almeno, conservarne memoria. Il tentativo di ricostruire e capire la storia delle culture può essere importante, finché esiste la presente variazione culturale, ma sembra inevitabile che molta dell’odierna variazione sia destinata a sparire del tutto.
Finora non vi sono stati seri tentativi di capire i meccanismi dell’evoluzione culturale e di spiegare alcuni fenomeni caratteristici come, per esempio, le ragioni per cui alcuni tratti culturali sono stabili mentre altri cambiano rapidamente. Per molto tempo la tendenza generale è stata, e continua ad essere, quella di considerare le differenze di comportamento osservate in nazioni o culture diverse come legate a differenze di eredità biologica. Questa tendenza è culminata nel razzismo: la persuasione che le differenze di sviluppo economico e di successo militare e politico tra i popoli siano causate da differenze innate e immutabili. La diffusione del pensiero razzista è avvenuta soprattutto negli ultimi due secoli. Tuttavia già da alcuni millenni la crescita demografica e altri motivi che avevano reso necessario aumentare le dimensioni e la complessità dei gruppi sociali avevano creato una rigida stratificazione socioeconomica in classi o in caste, considerate esempi di superiorità o inferiorità biologica. Tutto ciò è in disaccordo con gli studi di genetica di popolazioni degli ultimi cinquant’anni. Le differenze di opportunità, create dalla stratificazione socioeconomica e dalle barriere di comunicazione tra i popoli, rendono comunque estremamente difficile raggiungere un accordo nella comprensione di questi fenomeni. Però nel valutare anche soltanto la possibilità che vi sia qualcosa di vero in questi ragionamenti razzisti, non può che lasciare perplessi scoprire che di solito il popolo considerato superiore è sempre il proprio. Questo fatto rende verosimile immaginare che vi siano altre spiegazioni più realistiche del razzismo, per esempio legate semplicemente al desiderio di mantenere le proprie abitudini e rapporti sociali o ad un bisogno interiore di rafforzare la fiducia in se stessi.
È ovvio che il comportamento umano è largamente appreso, dato che le conoscenze che ci consentono di orientarci nella vita quotidiana e nei rapporti sociali sono soprattutto di natura tecnologica o convenzionale. Tuttavia la stratificazione socioeconomica e la necessità della specializzazione dei vari settori lavorativi creano differenze profonde in ciò che viene imparato e trasmesso ai figli. Naturalmente esistono differenze di predisposizione individuale a diverse attività intellettuali specifiche, come dimostrano soprattutto casi eccezionali di famiglie di grandi artisti, letterati, scienziati, uomini politici o inventori, ma non è per nulla chiaro quanto sia importante la componente genetica nell’origine di questi pochi, grandi uomini di genio.
Trascurando qui le diatribe sul quoziente di intelligenza, sembra più interessante notare la nostra ignoranza sulle cause dell’origine dei più grandi uomini di genio dell’arte o della letteratura, della scienza o della politica. Molti hanno avuto un’origine umilissima e la loro ascendenza e discendenza non ha necessariamente rivelato doti eccezionali. Ciò induce a considerare in maniera più critica la tendenza a invocare semplici spiegazioni genetiche. D’altra parte, esiste una componente genetica in quasi tutti i caratteri, ma è sovente difficile dimostrarla chiaramente. Essa viene spesso sopravvalutata a causa del metodo normale di analisi finora seguito per separare i fattori genetici e ambientali di qualunque carattere. Tale metodo, che si basa sullo studio della trasmissione in famiglie, incontra notevoli difficoltà nel separare l’eredità biologica dall’eredità socioculturale, che risulta molto forte nella maggior parte delle famiglie e che produce effetti che si sottraggono a una semplice valutazione quantitativa. Mozart aveva senza dubbio doti genetiche eccezionali, se ha potuto comporre musica a cinque anni, ma forse nessuno se ne sarebbe accorto se fosse nato in una famiglia di pigmei africani, piuttosto che in una famiglia austriaca già immersa in un ambiente musicale.
In realtà questi personaggi traggono beneficio da straordinarie e rarissime combinazioni di doti genetiche e di fattori socioculturali favorevoli, che permettono loro di offrire un contributo sproporzionato al loro campo di attività. Lo sviluppo della musica è legato soprattutto a un piccolo numero di persone che hanno avuto un’influenza straordinaria, e che continuano a dominare il campo. Lo stesso si può dire per quasi tutte le arti, le scienze, molta tecnologia, la politica e la storia. La Storia dell’arte di Ernst Gombrich è uno splendido esempio di evoluzione dell’arte visuale e dei suoi stili attraverso le innovazioni che l’hanno determinata, anche se di molte di queste innovazioni non conosciamo l’autore (Gombrich, 2002). Oggi cominciamo a capire meglio l’evoluzione culturale, e anche il suo procedere per balzi, che però vale forse in modo meno drammatico anche per l’evoluzione biologica, secondo l’ipotesi degli equilibri punteggiati di Niles Eldredge e Stephen J. Gould.
Lo studio scientifico dei fenomeni culturali e della loro evoluzione può diventare una realtà. Come in tutta la ricerca scientifica, la prima fase non può che essere descrittiva, mentre la fase successiva può tentare di interpretare i fenomeni osservati formulando ipotesi che possono servire a comprenderli e prevederli. In una scienza sperimentale il controllo della validità di queste ipotesi avviene mediante nuovi esperimenti che consentono di confrontarle tra loro in base alla maggiore o minore capacità di prevedere i dati sperimentali. In una situazione ideale la previsione dei risultati è quantitativa, cioè l’ipotesi può essere tradotta in un’espressione matematica che prevede quantitativamente il risultato dell’esperimento. È stata questa la grande innovazione metodologica introdotta da Galileo Galilei con la fondazione della fisica sperimentale, all’inizio del Seicento. Sappiamo che Galileo ebbe i suoi guai a causa dell’Inquisizione, che “non gradiva” un metodo per arrivare a verità scientifiche diverso da quello che consisteva nella ricerca della verità già scritta negli antichi testi filosofici o religiosi. Fortunatamente il mondo aveva fatto sufficienti passi avanti, e l’idea di Galileo riuscì a sopravvivere alla condanna papale: il mondo della scienza smise così di dar retta ad Aristotele e abbandonò l’interpretazione letterale della Bibbia, dando inizio alla scienza moderna.
La chimica fu la prima scienza, dopo la fisica, a ricorrere al metodo sperimentale quantitativo; il suo pieno sviluppo cominciò nella seconda metà del Settecento. Con l’inizio dell’Ottocento la biologia conobbe la sua prima teoria importante, elaborata da Jean-Baptiste Lamarck: l’evoluzione per adattamento all’ambiente. Nel 1859 ne fu data la prima spiegazione teorica da Darwin, con la teoria della selezione naturale. Nel 1865 la biologia ebbe la sua prima teoria matematica, con le leggi dell’eredità biologica scoperte da Gregor Mendel.
Gli studi di Mendel erano troppo avanzati per essere capiti o accettati dalla scienza di allora; solo nel 1900 alcuni scienziati europei riscoprirono l’articolo che conteneva i risultati di quegli studi e ne confermarono la validità. Una dozzina di anni dopo un gruppo di genetisti, diretto da Thomas Hunt Morgan della Columbia University di New York, offrì la prova sperimentale che i cromosomi, piccoli bastoncini all’interno di ogni cellula vivente dei quali era già stata notata la presenza in numero e forma costante in ogni individuo di una data specie, erano i portatori dell’eredità biologica. Le leggi di Mendel, e i loro limiti, potevano ora essere capiti. Gli studi genetici furono fin dall’inizio molto quantitativi; negli anni Venti fu addirittura creata una teoria matematica dell’evoluzione biologica, basata sulla selezione naturale di Darwin come causa prima dell’evoluzione, e completata con lo studio sperimentale della mutazione (compiuto da Herman J. Muller, membro del gruppo di lavoro di Morgan) e di pochi altri fattori evolutivi che oggi sono largamente conosciuti.
Le scienze sperimentali hanno il grande vantaggio che le possibilità di esperimento sono infinite: un’ipotesi confermata da alcuni esperimenti ma posta in dubbio da altri può essere raffinata in modo da generare, alla fine, una teoria che spiega e tiene conto di tutti i fatti noti, e la cui approssimazione continua ad essere migliorabile man mano che questi ultimi aumentano. Inoltre le conoscenze teoriche sono spesso foriere di applicazioni pratiche che ne costituiscono la prova migliore. Altre volte ne sono la conseguenza. Si poteva dubitare che la Terra girasse intorno al Sole, e magari continuare a credere che la Luna fosse una forma di formaggio con i buchi, come pensava il protagonista di un famoso romanzo storico di Carlo Ginzburg (Ginzburg, 1976). Questo fin quando l’uomo non ci ha messo piede. Si poteva dubitare che il DNA fosse veramente quella sostanza che si dice, finché molti esperimenti, più o meno diretti, non l’hanno confermato. Oggi si è potuto curare un individuo portatore di una certa malattia ereditaria modificando il suo DNA nel punto preciso previsto dagli studi genetici. Purtroppo questo metodo di cura è ancora lontano dall’aver raggiunto un’applicabilità generale; quel tipo di approccio adottato nel primo esperimento sull’uomo ha dovuto essere abbandonato a causa dei rischi che comportava. Tuttavia gli esperimenti sugli animali non lasciano dubbi. D’altra parte, mentre le prime trasmissioni via radio erano condotte con enormi antenne e limitate a tenui segnali acustici lunghi o corti, oggi, appena un secolo dopo, possiamo parlare ovunque e con chiunque usando un minuscolo telefono tascabile.
Vi sono però scienze nelle quali la possibilità di effettuare esperimenti è esclusa in linea di principio: si tratta delle scienze storiche. In astronomia le possibilità di sperimentazione sono molto limitate; l’origine dell’universo potrebbe restare sempre, almeno parzialmente, misteriosa. Anche nello studio della storia che si è svolta sul nostro pianeta le nostre capacità conoscitive incontrano notevoli limiti. Quanto alla biologia molti ancora dubitano che l’evoluzione sia avvenuta. Il motivo è di natura religiosa: l’interpretazione letterale delle prime frasi della Bibbia che, descrivendo l’origine del mondo, parlano di sette giorni di creazione. La Bibbia compie un altro errore opposto nella stima del tempo, riportando in merito alla vita di numerosi patriarchi numeri di anni che sembrano eccessivi. Forse qui vi è stato lo scambio della parola mesi (o di un’altra unità temporale come stagioni) con anni. Non solo; il caso della prima settimana della creazione potrebbe essere dovuto a un uso “poetico” della parola giorni per indicare quelle che oggi chiamiamo ere.
Nonostante ciò, diverse sette cristiane rimangono fedeli alla lettera della Bibbia e dunque non credono nell’evoluzione; fra queste la religione battista, assai diffusa specialmente nel sud degli Stati Uniti. Il presidente del più potente e tecnicamente avanzato paese del mondo di solito non si permette di esprimere un’opinione sull’evoluzione, per paura di perdere voti o forse anche a causa di un’insufficiente preparazione scientifica (difetto comune fra i politici). La condanna dell’evoluzione ha segnato per più di un secolo anche la religione cattolica. Fortunatamente, grazie a una recente inversione di tendenza, la possibilità dell’evoluzione biologica è stata accettata, e sono anche state manifestate scuse (con quasi 400 anni di ritardo…) per il trattamento riservato a Galileo.
Anche alcuni biologi non credono nell’evoluzione, per quanto ciò possa sembrare impossibile. I motivi sono quasi sempre scrupoli religiosi (peraltro ingiustificati nella maggior parte dei casi), almeno in Italia dove le religioni che escludono l’evoluzione come quella mormone, i testimoni di Geova e altre sono in genere piccolissime minoranze. L’islamismo, che sta assumendo un’importanza sempre maggiore, è diviso in sette che si differenziano anche sotto questo punto di vista.
Comunque, anche le religioni evolvono. In Italia la religione cattolica rimane sempre la più forte nonostante abbia perduto un po’ della forza che aveva fino alla metà del secolo scorso; sarebbe importante che i suoi sostenitori più accesi si rendessero conto che oggi persino il papa crede nell’evoluzione. Si spera che se ne siano accorti il ministro dell’Istruzione, che ha tentato di abolirne l’insegnamento nelle scuole secondarie, o il vicepresidente del CNR, che ha usato denaro del CNR per pubblicare un libro di stampo creazionista (Guy Berthault, Evoluzionismo: il tramonto di un’ipotesi).
In genere l’evoluzione culturale è indipendente da quella biologica, quindi potremmo evitare di parlare di quest’ultima. Invece è necessario farlo per due motivi. Il primo è che non possiamo escludere del tutto l’esistenza di differenze genetiche capaci di influire in maniera importante sulla cultura. Ciò vale in particolare per le differenze fra uomini e animali, che sono senza dubbio, in primo luogo, genetiche. In realtà l’uomo è diventato soprattutto un animale culturale, benché la cultura si trovi anche fra gli animali, come vedremo tra breve. Il secondo motivo è più importante: la genetica ha sviluppato la teoria dell’evoluzione biologica, ma tale teoria è del tutto generale e include anche quella dell’evoluzione culturale, perché come spiegheremo più avanti essa vale per qualunque organismo capace di autoriproduzione. Pertanto esporremo la teoria dell’evoluzione biologica e mostreremo come ci insegna a elaborare una teoria più generale che vale anche, mutatis mutandis, per quella culturale. E spiega anche molto bene la grande differenza che vi è fra le due evoluzioni: quella culturale è molto più rapida, anche se in circostanze speciali può essere lenta.
Bisogna fare attenzione a non confondere questa affermazione con l’idea che i geni controllino interamente la cultura, come ha fatto erroneamente Edward Osborne Wilson, biologo specializzato nello studio del comportamento sociale degli insetti che ha poi tentato di estendere tale concezione all’uomo. In effetti le formiche e gli altri insetti detti sociali hanno una socialità molto più perfetta rispetto alla nostra, e fanno cose incredibilmente sofisticate come gli alveari per la produzione di miele e orti sotterranei per la produzione di funghi mangerecci. Queste attività sono effettivamente determinate dai geni, e che si tratti di evoluzione biologica lo dimostrano due fatti: il primo è che esse sono esistite quasi immutate per tempi immemorabili, anche 50 milioni di anni; il secondo è che si sono sviluppate in un tempo necessariamente lungo dal momento che l’evoluzione biologica è lenta, e comportamenti di grande successo elaborati in ambienti rimasti a lungo immutati non hanno avuto bisogno di grossi cambiamenti.
Invece i geni umani determinano la cultura solo nel senso che controllano gli organi che la rendono possibile. In particolare permettono il linguaggio, caratteristica praticamente esclusiva degli uomini nonché base necessaria per la comunicazione; esso permette di diffondere rapidamente comportamenti di successo a tutti gli individui e alle popolazioni della stessa specie che hanno gli stessi organi biologici necessari per praticarli. A questo punto è chiaro come la cultura rimanga profondamente separata e indipendente dai geni: anzi, è addirittura capace di influenzare l’evoluzione genetica. Naturalmente nell’estensione dalla biologia alla cultura molte cose cambiano, a cominciare dagli oggetti che evolvono: il DNA nella biologia, le idee nella cultura. Cambiano i nomi che diamo ai meccanismi evolutivi particolari (per i geni e per la cultura) ma non cambiano i concetti teorici. Rimangono alcuni legami teorici sotterranei ma profondi; fortunatamente sono pochi i concetti basilari e i termini scientifici di cui avremo bisogno. Quei meccanismi e processi che sviluppano un adattamento all’ambiente, siano essi biologici o culturali, mostrano quindi somiglianze fra campi diversi come la biologia e la cultura, che ci aiutano a capire gli uni e gli altri.

Capitolo 2

Trasmissione ed evoluzione culturale

L’apprendimento della cultura è un fenomeno di trasmissione culturale. Il suo studio, finora estremamente limitato, potrebbe essere utile per la comprensione dell’evoluzione culturale, come lo studio della trasmissione genetica lo è stato per quella dell’evoluzione genetica. Il tabù dell’espressione evoluzione culturale. Problemi storici e presenti dell’antropologia culturale.
L’aspetto che qui più interessa impone di porre l’accento sugli scambi culturali: l’apprendimento, la trasmissione, la genesi e l’accettazione delle innovazioni. Vogliamo concentrarci su quello che può farci meglio capire il mantenimento e l’evoluzione della cultura, nei suoi vari aspetti. La struttura teorica dei meccanismi culturali, che permettono la conservazione e lo sviluppo delle conoscenze trasmesse dalle generazioni precedenti, può essere presentata in modo molto semplice. Nel corso della nostra vita noi assorbiamo dai genitori e da altri familiari, da compagni e amici, dalla scuola (dove esiste: le scuole sono uno sviluppo recente e non ancora dav...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione
  3. Capitolo 1 La cultura e la sua evoluzione
  4. Capitolo 2 Trasmissione ed evoluzione culturale
  5. Capitolo 3 Animali culturali
  6. Capitolo 4 L’uomo come animale genetico
  7. Capitolo 5 Il modello standard dell’evoluzione umana
  8. Capitolo 6 La natura umana e l’antropologia
  9. Capitolo 7 Geni, popolazioni, “fenotipo” e ambiente
  10. Capitolo 8 Insegnamenti dalla storia della genetica
  11. Capitolo 9 Dal gene al genoma
  12. Capitolo 10 Il segreto della vita
  13. Capitolo 11 La diversità genetica globale
  14. Capitolo 12 L’espansione out of Africa
  15. Capitolo 13 L’effetto del fondatore in serie
  16. Capitolo 14 L’economia agropastorale: un nuovo salto demografico
  17. Capitolo 15 Le unità sociali: tribù, etnie, razze
  18. Capitolo 16 I fattori di evoluzione culturale
  19. Capitolo 17 La cultura come meccanismo di adattamento
  20. Capitolo 18 La trasmissione culturale
  21. Capitolo 19 Eredità culturale stabile e variazione culturale rapida
  22. Capitolo 20 La selezione naturale controlla i cambiamenti culturali
  23. Capitolo 21 L’interazione fra genetica e cultura
  24. Capitolo 22 Razionalità e irrazionalità del comportamento umano
  25. Capitolo 23 Costi e benefici delle innovazioni Bibliografia
  26. Bibliografia