capitolo 1
Il paradosso esponenziale
Vivendo nella Silicon Valley, vedo ogni giorno nuove ed entusiasmanti idee prendere forma concreta. Noi che viviamo qui guardiamo alla capacità delle nuove tecnologie e le nuove idee di aiutarci a realizzare un futuro migliore con grande ottimismo. (Chi ama Star Trek non avrà difficoltà a riconoscere l’atteggiamento cui alludo.)
Un’idea diffusa qui nella Silicon Valley è che siano in particolare le cosiddette “tecnologie esponenziali” a promettere di portarci a breve in un futuro di abbondanza. Si tratti della legge di Moore, secondo la quale il numero di transistor per circuito integrato raddoppia ogni ventiquattro mesi; della legge di Metcalfe, che dice che il valore di una rete di comunicazione aumenta di un fattore pari al quadrato del numero delle persone coinvolte; o ancora delle miriadi di possibilità di salvaguardare la salute umana dischiuse dal sequenziamento del genoma (i cui costi si riducono esponenzialmente nel tempo), è indubbio che la tecnologia avanza. È probabile dunque che, in un tempo sorprendentemente breve, molti importanti beni diventeranno molto meno cari e molto più potenti e diffusi.
Questi progressi tecnologici incidono sulle nostre vite in modo diretto. I nostri smartphone hanno oggi la potenza di un supercomputer degli anni Ottanta del secolo scorso, ma costano quanto un televisore o un videoregistratore dello stesso periodo. Con un semplice click possiamo accedere a tutte le informazioni messe a disposizione dal web da qualsiasi punto del mondo. Alcune nuove imprese devono il loro straordinario successo alla capacità di metterci tutti in connessione gli uni con gli altri in modo facile, veloce ed economico. Si sono drasticamente ridotti anche i costi delle tecnologie mediche come il sequenziamento del Dna, e oggi siamo in grado di manipolare le sequenze genetiche anche con tecnologie come le Crispr. E si sono contratti in modo sostanziale gli stessi costi di avviamento di un’impresa, in particolare grazie alla possibilità di utilizzare quale sua componente fondamentale un software open source e di conservare l’archivio dei dati su un cloud da pagare in base all’uso.
Qui nella Silicon Valley è impossibile sfuggire a questa caterva di possibilità esponenziali e all’inarrestabile immissione sul mercato delle tecnologie più esaltanti. Potrei continuare a parlarne, ma sono sicuro che avete afferrato il punto.
Sennonché, se ci si allontana dalla Silicon Valley e si guarda al mondo nel suo complesso, l’universo delle tecnologie esponenziali non appare più tanto indiscutibilmente promettente. La produttività dell’economia americana cresce molto lentamente e negli ultimi decenni ha rallentato ulteriormente. La figura 1.1 mostra la serie storica del tasso di crescita della produttività negli Stati Uniti. Si noti il netto rallentamento a partire dagli anni Ottanta. Questa decelerazione non è solo americana: la si può constatare in molte economie avanzate. Per sette di queste economie lo dimostra la figura 1.2.
Figura 1.1. Produttività totale dei fattori negli Stati Uniti, 1947-2012.
Fonte: Center for the Study of Income and Productivity, Federal Reserve Bank of San Francisco.
Figura 1.2. Crescita della produttività nei Paesi del G7, 1950-2015
Fonte: Ocse, Productivity Trends in G7 Countries, 2017.
Siamo di fronte a un rompicapo: se la nostra meravigliosa tecnologia evolve tanto rapidamente, perché vediamo la crescita della produttività rallentare così tanto? Questo andamento è l’opposto di quanto ci saremmo aspettati in un mondo esponenziale. Se gli ottimisti della tecnologia hanno ragione, la crescita della produttività dovrebbe accelerare. E invece non solo non lo fa, ma rallenta ancora. È un fenomeno inquietante, che chiamerò paradosso esponenziale. Eppure i miei amici tecnofili qui nella Silicon Valley riservano a questo fenomeno ancora poca o nessuna attenzione.
La produttività è il motore della crescita economica a lungo termine. Ma la gente non si ciba di produttività; soddisfa i suoi bisogni grazie al reddito che guadagna. E qui il dilemma si ripresenta altrettanto acuto se non di più. I redditi non stanno crescendo a ritmi sostenuti. Anzi, non stanno crescendo affatto: sono semmai quasi fermi. Come mostra la figura 1.3, crescono ancor meno della produttività (il cui aumento, come abbiamo visto, sta rallentando). Benché le cause di questo processo siano molte, esso mal si concilia con la visione di un futuro di abbondanza per tutti gli ottimisti della tecnologia.
Figura 1.3. Andamento della produttività e del salario medio, 1945-2015, indice relativo al 1975
Fonte: Bureau of Labor Statistics, Understanding the Labor Productivity and Compensation Gap, giugno, 2017, vol. 6.
Uno degli effetti più deprimenti di queste preoccupanti tendenze è che la maggior parte dei cittadini statunitensi si aspetta ora per i propri figli una vita meno confortevole della propria. Si tratta di un cambio di rotta radicale rispetto alle generazioni precedenti. Il sogno americano è stato edificato in parte sull’idea di frontiera aperta, in parte sulla possibilità di dare forma al proprio destino e in parte sull’idea rassicurante che i propri figli avrebbero avuto con ogni probabilità una vita migliore. La figura 1.4 mostra tuttavia l’opposto. I baby boomer – i nati nel 1960 o poco prima – hanno visto l’economia crescere a un tasso composto annuo superiore al 2,5 per cento nel corso della loro vita, ma le generazioni successive hanno assistito a un netto rallentamento di questo tasso, e le ultime si trovano a combattere con un’economia che cresce solo dell’1,6 per cento composto annuo. È difficile vedere i benefici delle tecnologie esponenziali in questi dati.
Figura 1.4. Tasso di crescita del Pil per decennio di nascita, 1960-2000
Fonte: US Bureau of Economic Analysis, McKinsey Global Institute Report, Poorer Than Their Parents? A New Perspective on Income Inequality, luglio 2016.
Seppure con qualche differenza da Paese a Paese, la situazione è praticamente la stessa anche in Europa. La Spagna e l’Italia hanno avuto tassi di disoccupazione giovanile estremamente alti dopo la crisi economica del 2008-’09. Benché sia passato più di un decennio, ben oltre il 20 per cento dei giovani tra i diciotto e ventiquattro anni non trova lavoro, e molti stanno lasciando il proprio Paese alla ricerca di prospettive migliori altrove. Altri Paesi, come per esempio la Germania, se la cavano assai meglio, ma soffrono di altri problemi. La popolazione tedesca sta invecchiando rapidamente, e questo frenerà la domanda interna, rallentando la crescita. È quanto sta accadendo anche in Giappone.
Di nuovo: non è questo quello che ci si sarebbe aspettati data la promessa delle tecnologie esponenziali di un futuro di abbondanza. Il reddito personale pro capite dovrebbe aumentare di generazione in generazione, non frenare.
C’è qualche precisazione da fare sull’andamento di questo reddito. In Paesi come la Cina e l’India il reddito personale pro capite sta crescendo piuttosto rapidamente. Centinaia di milioni di persone sono uscite dalla povertà nel corso degli ultimi trent’anni, una conquista dell’umanità straordinaria e un segno davvero incoraggiante per il futuro di noi tutti. Dunque il reddito mondiale è ancora in crescita: alcune aree del mondo stanno recuperando terreno, altre hanno rallentato.
Tuttavia, anche la rapida crescita dei redditi in Cina e India deve fare i conti con alcune sfide. La più rilevante è rappresentata dalla cosiddetta trappola del reddito medio, in base alla quale le economie in via di sviluppo crescono fino a un certo punto, ma non riescono a diventare a reddito alto. Il problema è che, una volta raggiunto un reddito di livello medio, diventa difficile aumentare i salari. In un Paese a reddito medio, le retribuzioni sono troppo alte perché la sua industria manifatturiera possa ancora dirsi basata su un basso costo del lavoro, ma al tempo stesso le competenze e le tecnologie necessarie a produrre beni di alta qualità (e quindi a sostenere un’occupazione a salari elevati) non si sono ancora sviluppate. È inoltre possibile che, in conseguenza della politica del figlio unico seguita negli scorsi decenni, la Cina invecchi prima di riuscire a diventare ricca. L’India ha prospettive demografiche migliori, ma deve affrontare enormi sfide sociali sue proprie (e le sue infrastrutture sono molto meno sviluppate di quelle cinesi).
È un paradosso esponenziale. La tecnologia sta accelerando mentre la crescita della produttività e dei redditi rallenta o è ferma. C’è qualcosa che non va. È la ragione per cui ho scritto questo libro. Tra poco prenderò in esame alcune possibili spiegazioni di questo paradosso, ma consentitemi di esporvi innanzitutto la mia idea, di modo che sappiate in quale direzione intendo andare: la radice del problema sta nel modo in cui gestiamo e investiamo in innovazione, sia all’interno delle imprese sia nella società più ampia. Non è sufficiente creare nuove tecnologie. Dobbiamo pensare anche a disseminarle ampiamente e ad assimilarle, se vogliamo trarne vantaggi economici.
Questa conclusione ha implicazioni tanto per le imprese quanto per la società più ampia all’interno della quale queste operano. Molte aziende considerano l’innovazione un lusso: quando le cose vanno bene la amano e la fanno, ma non appena le prospettive peggiorano è la prima cosa che riducono. O accade che si lasciano distrarre da ogni scintillante novità prodotta dal progresso tecnologico. E troppo spesso il front end del processo di innovazione procede senza connessioni con le unità di business tenute a commercializzare le nuove tecnologie.
All’interno della società più ampia accade qualcosa di analogo. Celebriamo le conquiste di imprenditori come Elon Musk, Jeff Bezos o Jack Ma, e però prestiamo troppo poca attenzione alla successiva disseminazione e all’effettivo utilizzo di queste conquiste nella nostra società. Quante sono le imprese che stanno effettivamente traendo vantaggio dall’intelligenza artificiale o dalla scienza dei dati, per citare solo due dei temi attualmente caldi? Al momento della stesura di questo libro, la risposta è: molto poche. Così, alcune singole aziende prosperano grazie all’uso di queste nuove possibilità, ma l’impatto sociale complessivo di queste innovazioni è per il momento minimo. Per dare realizzazione alle potenzialità delle tecnologie esponenziali dobbiamo spostare la nostra attenzione agli aspetti dell’innovazione veramente importanti (invece di limitarci a intraprenderne un’altra per poi ignorare allegramente quel che accade in seguito). E riusciremo a farlo solo se metteremo in discussione il nostro modo di concepire l’innovazione sia all’interno delle aziende sia nella società nel suo complesso.
Ora che sapete in che direzione ci stiamo muovendo, consentitemi di prendere in esame alcune spiegazioni del paradosso esponenziale. Alcuni ottimisti delle tecnologie più attenti di altri hanno preso atto dei segnali preoccupanti che sembrano oscurare il futuro di abbondanza annunciato. Ad avviso di questi autori, dovremmo tuttavia tranquillizzarci: semplicemente, le nuove tecnologie inciderebbero sulle nostre vite in modi che gli economisti hanno difficoltà a misurare. In altre parole, i vantaggi esponenziali sarebbero effettivi, ma i dati economici non riuscirebbero a mostrarli.
Per capire cosa intendano, pensate a uno smartphone. Esso ingloba un’ampia varietà di tecnologie in passato disponibili come dispositivi distinti: un telefono, un computer, una console per videogiochi, un lettore CD, una videocamera, un dispositivo per la riproduzione di suoni e immagini, un orologio, un calendario, una calcolatrice… per non parlare poi del valore dei milioni di applicazioni che è ora possibile scaricare e utilizzare con lo smartphone. Sommando il costo di ciascuno di questi dispositivi, potete ampiamente superare i 10.000 dollari, ma un buono smart...