Julius Evola: Arte come Alchimia, mistica, biografia (Reggio Calabria, 2005)
L’indicazione sopracitata è il titolo dell’esposizione che ho curato sul lavoro artistico (con documentazione) di Julius Evola a Reggio Calabria (Castello Aragonese) nel 2005-06. La mostra e l’annesso convegno hanno costituito per me, in quel momento, un’attendibile cartina di tornasole sulla “situazione” di questo autore. I suoi accostamenti di pensiero “controcorrente” hanno contribuito, infatti, a problematizzare l’iniziativa, attraverso un certo ostracismo da parte della stampa e una sotterranea volontà di occultamento “a tutto campo”. Mentre riscuoteva un notevole successo di pubblico.
Il catalogo della mostra reggina (Liriti Ed., 2005), da me curato, risulta una significativa testimonianza dell’iniziativa: il mio testo diviene una personale “partenza” per successivi approfondimenti e viaggi testuali. Per l’occasione creo una manipolazione digitale su Evola (che uso in parte come copertina del catalogo): è costituita da un frammento di un suo ritratto fotografico interagente con un frammento di una sua opera. L’immagine “vive” compiutamente in una tavola (in esemplari numerati) , su cui scrivo Attraversando Julius Evola. Questa diviene la copertina di questo e-book.
Oggi l’opera artistica di Evola tende a essere “sdoganata” completamente, anche perché i suoi lavori sono entrati nelle aste d’arte con valutazioni economiche ragguardevoli. Ciò può essere un elemento indubbiamente positivo per la sua completa rivalutazione. Ma, nel contempo, constato che si sta sviluppando intorno alla sua figura un interesse non sempre determinato da competenze specifiche: sintomatico al riguardo l’affiorare di alcuni falsi “proposti” come sue presunte opere. Evola, che continua a essere un virus nell’attualità, va protetto oggi dalle nuove infiltrazioni.
Alchimie e maschere di Julius Evola
La cultura e l’arte italiana, dal Novecento a oggi, ha avuto e continua a presentare occultamenti e dimenticanze per preconcetti ideologici e per motivazioni varie. Una di queste persistenti ombre riguarda Julius Evola e la sua “leggenda”, favorita anche dalla sua biografia e dal suo esistere “pericoloso”. Evola è forse uno degli ultimi tabù ancora esistenti in Italia, mentre all’estero riscuote una diversa considerazione e un interesse crescente.
La presunta pericolosità di questo innominabile “cavaliere nero” è amplificata dalle sue erranze culturali, che diventano momenti e letture perturbanti per le canoniche catalogazioni della società italiana, ponendosi sempre fuori-schema. Molteplici sono le sue maschere di presenza: pittura e poesia; filosofia e politica; dottrine orientali e simbolismo occidentale; esoterismo e tecniche iniziatiche; ecc. La conoscenza, senza censure, di Evola è un viaggio intrigante ma sconveniente per le formule acquisite: le sue alchimie comprendono la spiritualità trascendente come il magnetismo della Metafisica del sesso (titolo del suo famoso libro pubblicato nel 1958).
Questa complessa e prismatica figura viene, talvolta, “frammentata” con il risultato di perderne così un possibile filo conduttore. Un pensiero, un’arte, una mistica possono richiedere momenti ed esistenze differenti per trovare la consapevole totalità del proprio svolgimento. Questo pensatore (con all’attivo numerose pubblicazioni) e artista è, anche, “passaggio” di riflessione dal mondo della tradizionale a quello moderno. Evola, intellettuale e ideologo, che auspica i percorsi dello spirito, diviene “vessillo” e punto di riferimento per una visione globale e controcorrente dell’esistenza, influenzando, in modo occulto e sotterraneo, come sottolinea Gianfranco de Turris, la cultura europea del ’900.
Evola, artista e filosofo, tra i più segreti del Novecento, ha continuato a essere una voce destabilizzante nel secondo dopoguerra, rimanendo, per anni, un personaggio isolato, scomodo, “antipatico”, controverso, difficilmente etichettabile, estraneo a ogni tipo di “cricca”. Ha conosciuto il tributo del silenzio e dell’ostracismo (anche attraverso campagne di denigrazione). Lui stesso, nonostante i molteplici rapporti personali, si mostrava disinteressato alla propria pubblicizzazione: «Per quel che riguarda l’ostracismo di cui sono effettivamente l’oggetto nella cosiddetta grande stampa e nelle cricche che la controllano, bisogna partire dalla premessa che, per loro stessa natura, le idee che io difendo, i valori che io rievoco, non possono parlare che ad una minoranza. E questa minoranza, a poco a poco, malgrado tutto potrà essere raggiunta». Un’aristocratica impostazione esistenziale e culturale lo induceva a essere incurante della comprensione immediata e dell’accettazione sociale, come ad avere disprezzo per le gratificazioni personali e i titoli accademici. Ricercava, fino alle estreme conseguenze, una libertà superiore e una diversa dimensione dell’essere: non intendeva, come egli stesso affermava, schivare il pericolo, anzi lo cercava come un tacito interrogare la sorte.
Su Evola, che ha lasciato testimonianze significative e originali, aleggia da sempre un’intellettualistica diffidenza e indecifrabilità. Anche durante il Fascismo (a cui non risparmiò critiche) non fu compreso, relegato ai margini, se non fuori, della cultura ufficiale. Questo ostracismo nei suoi confronti proseguì nei decenni successivi. Le sue opere, poco lette, se non sconosciute nel Ventennio, conobbero successivamente riletture, fino alla ristampa di quasi tutti i suoi libri (anche da parte di importanti case editrici).
Il lettore comune, per diverso tempo, ha avuto poche e scarne notizie sulla sua vita dai mass media che le hanno scritte e, frequentemente, modificate a proprio uso. Evola, autore ancora per pochi iniziati, rimase “fissato” tra le mura di una vecchia casa, nel centro storico di Roma, diviso tra il letto e lo scrittoio, dal 1945 fino alla morte (1974), per una lesione che lese permanentemente il suo corpo (causata da un bombardamento a Vienna). Ha continuato per trent’anni, incurante delle sofferenze fisiche, a essere vitale e produttivo: scriveva, pensava, insegnava, teneva corrispondenza e riceveva. Era riservato e distaccato, fedele allo stile di un aristocratico ai margini del “troppo umano”: come un cavaliere degli antichi ordini ascetico-militari di cui era cultore. Anche la morte (con le sue estreme ritualità) è appartenuta al suo stile di vita.
Conobbe la reclusione (a Roma, a Regina Coeli, anche se in infermeria), insieme ad altri, per una delle prime applicazioni di legge sulle “trame nere”. Fu difeso, a titolo gratuito, dal grande avvocato Carnelutti, che pronunciò una delle sue arringhe più convincenti e “difficili” (come lui stesso confessò): in quanto per difenderlo doveva parlare anche del suo “contorno” e delle riviste underground di allora.
Molta gioventù alternativa dell’area di destra, negli anni ’50 e ’60, dopo decenni d’assenza di pensiero, elevarono Evola a maestro e riferimento, formandosi e riconoscendosi intellettualmente in lui (diversi di quei giovani entrarono, successivamente, in politica). Fu “assimilato” attraverso una conoscenza diretta o dei suoi scritti: singolare sorte per un pensatore che, invece, durante il Ventennio, non aveva avuto giovani intorno a sé.
I movimenti studenteschi di contestazione europea – del maggio ’68 e ’69 e delle successive opposizioni – trovarono in Evola un referente e imprevedibile anticipatore di antagonismi “a tutto campo” (un esempio noto: brani dei suoi libri furono letti nella Facoltà di Lettere di Roma, occupata dai contestatori del ’68). La sua influenza sotterranea fu più vasta delle apparenze. Il suo Cavalcare la tigre (1961), che ebbe varie edizioni, «fu una specie di “libretto rosso” tra gli studenti di sinistra e di destra dopo il ’68 francese» (V. Scheiwiller). Viva Evola comparve sui muri di diverse università italiane. Cavalcare la tigre si rivolge a una specie di uomo che non sente appartenenza, né vincoli spirituali, col mondo moderno, vivendo in un contesto in cui l’esterno è considerato come immodificabile: può divenire «un manuale di autodifesa personale». Il detto orientale di “cavalcare la tigre” significa, appunto, non farsi travolgere da ciò che non si può controllare direttamente, mentre è possibile evitarne così gli aspetti negativi e ipotizzarne un cambio di direzione.
Evola – da maestro pericoloso – continua a parlare a generazioni che rifiutano suggestioni esteriori, anche attraverso i fascinosi richiami e le simbologie più radicali della Tradizione. Le sue idee “rincuorano” i malesseri (soprattutto giovanili) di chi è “contro” la perdita di valori antichi e interiori, di chi si oppone ai sistemi dominanti: come potrebbe essere l’odierna globalizzazione, che tende a ridurre l’intero mondo a un gigantesco mercato, dissolvente frontiere ma, anche, diversità culturali sempre meno tutelabili. La stessa dicotomia di destra e sinistra, così ben definibile agli inizi della modernità, diviene meno evidente con la sua fine. Il pensiero di Evola, definito negli anni ’60 il “Marcuse della destra”, potrebbe presentare oggi, nei suoi aristocratici aspetti ribellistici, qualche affinità con l’antagonismo no-global, anche se nel suo caso si potrebbe parlare di esistenziale alternativa contro-global.
Ne Il Cammino del Cinabro, sua autobiografia intellettuale, riaffermava come caratteristica della propria personalità «un impulso alla trascendenza manifestatosi fin dalla primissima gioventù. Che ingenerava un senso di estraneità per la realtà con un desiderio di una liberazione o evasione non esente da...