Capitolo 1
Spostarsi, via terra e via aria
Gli esseri umani sono gli unici animali attuali a spostarsi in bipedia esclusiva. È proprio tale particolarità, fra l’altro, a far sì che siano l’unica specie odierna a vantare l’appartenenza al genere Homo. La bipedia esclusiva: una caratteristica davvero formidabile, il grande orgoglio della nostra specie! Ma quali vantaggi ci assicura questa modalità di locomozione, in confronto a tutte le altre? Ci lascia le mani libere di manipolare oggetti? Bene, ma per quello basta sedersi. Ci sono uccelli che sanno nuotare, camminare, decollare, atterrare e perfino ammarare. Noi invece, a meno di un addestramento specifico e piuttosto tecnico, nuotiamo molto male, ci arrampichiamo in modo maldestro, e non sappiamo neanche volare! Vista così, la nostra bipedia non sembra poi questo grande talento… Per di più, correre è per noi un’attività molto costosa sul piano energetico, e in confronto ad altre specie siamo messi maluccio anche in fatto di potenza e resistenza. Basta guardare un qualsiasi piccolo paguro bernardo arrampicarsi con disinvoltura – nonostante il peso della conchiglia e cinque paia di zampe da coordinare – su terreni friabili e per giunta disseminati di ostacoli, per capire quanto possa rivelarsi limitata, in certi casi, la locomozione di noi esseri umani. Per non parlare dei gechi e dei vari tipi di ragni, che sono in grado di spostarsi sui vetri in verticale o anche in orizzontale (e in tal caso anche con il ventre verso l’alto); o di quelle specie di uccelli o di insetti capaci, in certi casi, di percorrere in volo distanze di migliaia di chilometri.
Per colmare le suddette lacune in fatto di locomozione e per soddisfare l’impulso a conquistare nuovi ambienti, gli esseri umani del XX secolo hanno inventato e concepito mezzi di trasporto incredibilmente ingegnosi. Talvolta, per ideare simili innovazioni hanno tratto ispirazione anche dal mondo naturale, come avevano fatto già in precedenza i loro antenati. Con la differenza che oggi possiamo contare su un livello di sviluppo tecnologico molto più avanzato, che rende ancora più agevole il processo di bioispirazione. Il perfezionamento dei mezzi di trasporto appare quindi senza limiti se si guarda alle straordinarie prestazioni degli organismi animali, che già ci hanno aiutato a risolvere con successo una quantità di problemi sia aerei sia terrestri (si pensi al volo stazionario o all’indietro), e che hanno ancora in serbo soluzioni aerodinamiche una più ingegnosa dell’altra, elaborate per adattarsi a un ambiente in rapida e costante trasformazione. Gli organismi animali sono riusciti là dove tanti ingegneri continuano ad arrovellarsi in cerca di una soluzione, che si tratti di volare, di spostarsi velocemente via terra, di aggirare ostacoli oppure di mimetizzarsi! Vediamo come.
Volare
Dalle ali dei rapaci agli aerei del futuro
Nel perseguire l’eterno sogno di volare, gli esseri umani si sono da sempre ispirati agli uccelli. La radice della parola «aviazione» del resto deriva dal latino avis, «uccello». E bisogna ammettere che certi uccelli, quanto a capacità di volo, battono qualsiasi record. Record di velocità e rapidità nel cambiare direzione, per esempio. Il maschio del colibrì (Calypte spp.) è il vertebrato in assoluto più veloce, in rapporto alla taglia del corpo: due volte più rapido degli aerei da combattimento, è in grado di sopportare un’accelerazione centripeta quasi nove volte superiore all’accelerazione gravitazionale. Allo stato attuale delle conoscenze, è l’accelerazione più elevata che si riscontri tra tutti i vertebrati impegnati in una manovra di volo volontaria, fatta eccezione soltanto per i piloti dei caccia. A una simile velocità, riuscire a evitare gli ostacoli diventa un’impresa. E difatti il colibrì è in grado di compiere tutta una serie di prodezze che farebbero l’invidia di qualunque ingegnere aeronautico: volo stazionario (o a punto fisso), all’indietro o rovesciato, picchiate, cambiamenti repentini nella velocità del volo o nell’orientamento del corpo, avvitamenti… e tutto ciò, a volte, al semplice scopo di raggiungere certi fiori di difficile accesso. L’uccello più piccolo del mondo sfoggia uno stupefacente volo multidirezionale. In altri casi, gli uccelli vantano record di velocità e precisione, doti in cui eccellono soprattutto i rapaci. Il falco pellegrino (Falco peregrinus) per esempio può volare a una velocità massima pari a 200 volte la propria lunghezza al secondo. Benché resti due volte inferiore a quella del colibrì, equivale comunque a una velocità di 400 chilometri orari, che quasi sempre culmina in una decelerazione finale impeccabile e con la cattura di una preda. I rapaci, che uniscono velocità e precisione, costituiscono un modello particolarmente adatto per i problemi di ingegneria aeronautica. Non a caso, Leonardo da Vinci ne aveva studiato il volo con attenzione, per il suo progetto di macchina volante ad ali battenti, l’ornitottero. Altri animali ancora sono imbattibili nell’evitare gli ostacoli, come i pipistrelli. E fu proprio grazie al bozzetto di pipistrello di Leonardo che Clément Ader, trecento anni dopo, riuscì a far decollare un velivolo per la prima volta nella storia. Il piccolo mammifero dispone infatti di un’ala variabile e di un sonar ultraperformante che gli consentono di volare in notturna, evitando gli ostacoli e dando la caccia agli insetti allo stesso tempo: il sogno di tutti i piloti, e in particolare di quelli militari.
Finora abbiamo parlato di record in materia di velocità, cambio di direzione, precisione e aggiramento degli ostacoli. Ma attenzione: ecco ora una specie che può vantare il primato in fatto di gestione delle turbolenze e silenziosità. Vi è infatti un gruppo di ricerca francese che sta studiando nei dettagli la struttura e le capacità di adattamento delle ali dell’aquila, poiché rappresentano il modello più promettente per riuscire a migliorare gli aerei del futuro in termini di aerodinamica, silenziosità e risparmio energetico. Ali che sono un autentico prodigio d’ingegneria, capace di dare soluzione a due importanti problemi che impegnano i ricercatori: la capacità di un’ala di deformarsi in tempo reale e l’effetto prodotto dalle piccole penne periferiche, che spezzano le turbolenze e attenuano il rumore4. Così, osservando le aquile presenti nel parco ornitologico Rocher des Aigles di Rocamadour e nell’Île du Ramier, è stato possibile individuare pregevoli soluzioni bioispirate. Infatti, grazie a un sistema muscolare e nervoso sofisticati e perfettamente adattati all’ambiente aereo, le aquile sono in grado non solo di sfruttare l’impatto del vento sulle ali, ma anche di deformarle in maniera ottimale. Per aumentarne la portanza al momento di catturare la preda, fanno vibrare l’estremità delle ali e penne di varia taglia. Modulando tali vibrazioni, abbattono anche la formazione di turbolenze, riducendo i vortici. In tal modo risultano attutiti anche l’attrito e le vibrazioni sonore, il che consente all’aquila di piombare sulla preda senza che quest’ultima abbia il tempo di vederla o sentirla. Inoltre, subito dopo la cattura il predatore incurva le ali verso il basso per aumentarne di nuovo la portanza e riesce a involarsi in men che non si dica. Un complesso di adattamenti che offre ai ricercatori parecchi nuovi spunti per ideare le ali d’aereo del futuro. Gli studiosi sperano che, di qui a breve, sarà possibile realizzare ali flessibili e in grado di incurvarsi e di vibrare a diverse frequenze, in modo da migliorare le prestazioni aerodinamiche in volo. Deformabili e vibratili, ali siffatte consentiranno di abbattere i consumi di carburante e le emissioni sonore in fase di decollo e atterraggio, offrendo vantaggi non solo in termini di prestazioni, ma anche di ecocompatibilità.
Quando gli insetti volanti ispirano i microdroni
Dopo i primati degli uccelli, ecco ora le prodezze che sanno compiere alcuni insetti, in fatto di volo battente o volo stazionario. Quando si guarda alla capacità di deformazione anatomica della libellula (Odonata) per creare i sensori di domani, la miniaturizzazione diventa una questione centrale. Oggi, infatti, i ricercatori di tutto il mondo stanno mettendo a punto nuovi modelli di microdroni sotto forma di dispositivi volanti in miniatura, non più grandi di qualche centimetro. I microdroni, o droni di terza generazione, trovano applicazione in diversi ambiti, dalla ricerca di vittime da soccorrere, alla sorveglianza da parte delle autorità, alla rilevazione di eventuali agenti chimici o biologici e così via. I problemi da affrontare riguardano, per esempio, la ricognizione all’interno di spazi delimitati, la combinazione tra volo di trasferimento (come quello di un aereo) e volo di osservazione (come quello di un elicottero), il passaggio dal volo in ambiente aperto a quello in ambiente chiuso con un’adeguata gestione degli ostacoli, e via dicendo. Oggi, nei microdroni da esterno vanno ancora perfezionate le qualità aerodinamiche e la rapidità, mentre ai modelli da interno occorre maggiore stabilità, miglior padronanza dell’immobilità e una più efficiente individuazione degli ostacoli.
Per conseguire i suddetti obiettivi, gli americani prendono a modello le prestazioni eccezionali dei colibrì (Trochilidae) e i tedeschi quelle dei gabbiani (Laridae); i francesi, per contro, guardano a un insetto straordinario: la libellula. In effetti, apparecchi come i razzi, gli aerei e gli elicotteri sfruttano tecniche di volo diverse e tutte efficaci; ciononostante, il volo battente degli uccelli e delle libellule è rimasto a lungo un prodigio tecnologico inimitabile. Perciò, riuscire a creare un aeromobile ad ali battenti è sempre stato un sogno, e una sfida, per moltissimi inventori. L’ornitottero di Leonardo da Vinci, che era una macchina simile a due grandi ali d’uccello azionate dalla forza muscolare umana, purtroppo non riuscì mai a sollevarsi da terra. Étienne Œmichen si ispirava invece al volo degli insetti e per tutta la vita tentò invano di riprodurlo, ma solo per finire in miseria e morire nell’anonimato più totale.
Secoli di tentativi andati a vuoto; eppure, non sono stati inutili. E la questione è sempre di gran peso, perché di fatto gli altri tipi di microdroni non si dimostrano troppo soddisfacenti. Quelli che volano come gli aerei sono veloci, sì, ma non sono in grado di passare al volo stazionario. I microdroni che volano come gli elicotteri, dal canto loro, sono lenti, rumorosi e molto costosi in termini di consumo energetico. Per contro, i microdroni ad ali battenti possono essere economici e miniaturizzabili fino a 1 centimetro, molto performanti, silenziosi e in grado di prodursi nel volo stazionario. In questa categoria troviamo il drone-colibrì statunitense, che prefigura ormai l’era dei nanodroni; lo SmartBird tedesco, ultraleggero e con eccezionali doti di manovrabilità, ma anche il minuscolo DelFly olandese, una sorta di libellula robot che pesa appena 20 grammi: capace di evitare gli ostacoli e dotata di visione in 3D, potrebbe trovare innumerevoli applicazioni nei settori dello spettacolo, dello sport, delle missioni di soccorso, o anche in ambito agricolo. Tuttavia, al momento non siamo ancora in grado di produrre droni di questo tipo su larga scala, né di ridurne ulteriormente le dimensioni, soprattutto a causa dei vincoli relativi alla batteria. Non c’è dubbio che simili sfide terranno impegnati i ricercatori ancora per qualche decennio, come minimo5.
Ed è appunto l’obiettivo perseguito dal progetto Remanta che, sotto l’egida del ministero francese della Difesa, da una quindicina d’anni a questa parte lavora alla realizzazione di un robot-libellula di 15 centimetri per appena 20 grammi di peso6. L’originale obiettivo del progetto consiste nel riprodurre la deformazione vibratoria del torace della libellula, caratteristica che le permette di battere le ali ad alta frequenza a fronte di un dispendio energetico minimo. Il lavoro dei ricercatori ha svelato una realtà stupefacente, mostrando come un insetto così piccolo, proprio come un microdrone, si appoggi ai vortici aerei per prendere l’abbrivio o per mantenersi in volo stazionario (Fig. 1). Altra sfida non da poco: inventare i sensori del futuro, quelli che consentiranno ai droni di individuare qualsiasi tipo di ostacolo, rilevandone in particolare la velocità di avvicinamento e regolando di conseguenza la propria, proprio come fa una mosca o una libellula con gli occhi, per regolare traiettoria e altezza di volo. Speriamo solo che il progetto vada a buon fine: in Francia la biomimesi, che per anni ha risentito di una sorta di compartimentazione tra discipline diverse, a volte stenta a trovare finanziamenti.
Ma un progetto che sia già andato a buon fine c’è; anzi, «a buon fine» è dire poco. Gli insetti possono vantare un’acutissima capacità di percepire i dati dell’ambiente circostante, una dote che permette loro di evitare gli ostacoli nonostante l’elevata velocità con cui si spostano. Beninteso, ciò non ha mancato di far nascere nuove idee tra i ricercatori. Immaginate un drone che sia capace di volare tenendo conto di eventuali rilievi, un drone in grado di evitare gli ostacoli a prescindere dalla velocità e dalla quota. Ebbene, alcuni ricercatori francesi non si sono accontentati di immaginarlo: lo hanno realizzato. Un gruppo di esperti in biorobotica ha infatti creato il primo robot in grado di volare in maniera efficiente su un terreno accidentato senza alcun accelerometro, ma solo grazie a un occhio biomimetico7. Ed ecco a voi BeeRotor, ispirato (fra l’altro) agli occhi delle api. È un robot di circa 50 centimetri, che può muoversi all’interno di un tunnel senza urtare né contro gli ostacoli verticali né contro le pareti, anche quando questi siano di forma irregolare e in movimento. Insomma è un apparecchio in grado di evitare gli ostacoli in maniera perfetta, benché non abbia un accelerometro. Eppure tutti gli aeromobili, dai «semplici» droni ai razzi, passando per gli aerei, sono provvisti di un accelerometro che fornisce loro tutta una serie di dati, fra i quali in primo luogo la direzione del centro della Terra, indispensabili a stabilizzarli. Ma gli insetti volanti si spostano benissimo senza bisogno di un dispositivo analogo, e lo stesso fa BeeRotor. Infatti, per assicurare una navigazione così performante, il nuovo dispositivo modula la propria velocità e utilizza i propri sensori di flusso ottici modellati sulla visione delle api, le quali per spostarsi si basano sullo scorrimento del paesaggio anziché sulla direzione della gravità misurata da un accelerometro. La capacità di spostarsi con precisione, ma senza accelerometro, apre a numerose possibilità di applicazione al di là del BeeRotor, specie nel campo della robotica miniaturizzata. Infatti, gli accelerometri pesano e non sono adatti ai robot più piccoli, che pure si rivelano utilissimi non solo per perlustrare spazi ridotti (come le tubature), ma anche, per esempio, nell’ambito delle missioni spaziali, che richiedono dispositivi leggeri e per le quali i sensori di flusso ottici potrebbero essere una soluzione molto appropriata8.
Le proteine delle pulci e il robot che salta
Le pulci (Siphonaptera) sono piccoli insetti di lunghezza compresa tra 1 e 8 millimetri, ben noti per il tipico apparato buccale atto a pungere e a succhiare. Suddivisi in poco meno di 2500 specie, hanno il corpo lungo e ben adattato al salto, soprattutto grazie a una struttura chitinosa flessibile e resistente sulla quale s’innesta una muscolatura possente. Per giunta, nel tratto compreso tra le zampe posteriori e il torace si trova una massa di resilina, proteina elastica che agisce come una potentissima molla e che a quanto pare si è dimostrata superiore perfino al polibutadiene, gomma sintetica tra le migliori al mondo. Perciò questo insetto riesce a trasmettere al suolo una forza notevole9. Il risultato di questo complesso di adattamenti è che alcuni tipi di pulci possono saltare fino a un’altezza di 34 centimetri, pari a quasi 340 volte la propria lunghezza, subendo un’accelerazione di ben 140 g, mentre il pilota di un caccia è difficile che ne sopporti una superiore ai 6 g. E, tenetevi forte, la pulce del ratto (Xenopsylla cheopis) può catapultarsi a una velocità che arriva ai 450 chilometri orari10. Trasponendo il dato alla scala umana, è come se uno di noi superasse con un salto due torri Eiffel una sopra l’altra. Ma le prodezze non finiscono qui, perché è ovvio che, quando si salta così in alto, bisogna anche saper atterrare. Tutt’altro che difficile per le pulci che, per loro fortuna, all’interno delle...