Cause naturali
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LA VITA, LA SALUTE E L'ILLUSIONE DEL CONTROLLO

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LA VITA, LA SALUTE E L'ILLUSIONE DEL CONTROLLO

Informazioni su questo libro

Qui non troverete consigli su 'come fare', suggerimenti su come prolungare la vita, migliorando il regime alimentare e quello degli esercizi fisici, o su come indirizzare il vostro modo di fare in una direzione più salutare. Spero che questo libro vi incoraggi a ripensare il progetto del controllo personale sul vostro corpo e sulla vostra mente. Piacerebbe a tutti vivere una vita più lunga e più sana; la questione è quanta parte delle nostre vite dovrebbe essere dedicata a questo progetto, quando noi tutti, o almeno la gran parte di noi, abbiamo altre cose, spesso più importanti, da fare. I militari cercano di raggiungere la migliore forma fisica, ma sono pronti a morire in battaglia. Chi lavora nel campo della sanità rischia la vita per salvare gli altri durante carestie ed epidemie. I buoni samaritani gettano il proprio corpo tra gli aggressori e le loro vittime designate. Si può pensare alla morte con amarezza o con rassegnazione, come una tragica interruzione della propria vita, e prendere ogni misura possibile per rinviarla. Oppure, più realisticamente, si può vedere la vita come l'interruzione di un'eternità di personale inesistenza, e coglierla come una breve occasione per osservare e interagire con il mondo vivente, sempre sorprendente, che ci circonda.

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1. La rivolta della mezza età
Negli ultimi anni ho smesso di seguire le tante misure mediche – screening tumorali, esami annuali, Pap test, per esempio – che ci si aspetta da una persona responsabile titolare di un’assicurazione sanitaria. Non si tratta di una pulsione suicida. Non è neppure una vera e propria decisione, ma più che altro l’accumularsi di una serie di microdecisioni: scegliere tra rimanere alla scrivania per rispettare una scadenza o presentarmi all’unità sanitaria locale e sottomettermi al test più recente per valutare la mia sostenibilità biologica; passare il pomeriggio nell’ambiente professionale falsamente accogliente di una struttura medica o andare a fare una passeggiata. All’inizio mi accusavo di essere pigra e temporeggiatrice, di trascurare misure semplici e ovvie che potevano prolungare la mia vita. Dopotutto, questa è la grande promessa della scienza medica moderna: non è inevitabile ammalarsi e morire (almeno per un po’) perché i problemi possono essere individuati “presto”, quando cioè sono ancora curabili. Meglio beccare l’esistenza di un tumore quando le sue dimensioni sono quelle di un’oliva e non quelle di un melone.
Sapevo di andare contro la mia annosa posizione a favore delle cure mediche preventive rispetto ai costosi e invasivi interventi terapeutici di alta tecnologia. Cosa può esserci di più assurdo di un ospedale del centro cittadino che offre una camera iperbarica ma non è in grado di uscire nel quartiere a fare dei test per l’avvelenamento da piombo? Dal punto di vista della salute pubblica, e anche di quella personale, ha molto più senso dedicarsi a screening per problemi prevenibili che investire enormi risorse nel trattamento di chi è gravemente ammalato.
Mi rendevo conto anche di andare controcorrente rispetto alla mia specifica posizione demografica. Gran parte dei miei amici istruiti di ceto medio avevano cominciato all’inizio della mezza età, se non prima, a raddoppiare l’impegno nei loro sforzi relativi alla salute. Adottavano un regime di ginnastica o di yoga; riempivano la loro agenda di test ed esami medici; sbandieravano i dati “buoni” o “cattivi” del loro colesterolo, del battito cardiaco e della pressione. Soprattutto interpretavano l’impegno di invecchiare come un sacrificio, specialmente nel campo dell’alimentazione, dove un trend medico, uno studio o un altro condannavano grassi e carne, carboidrati, glutine, latticini o qualsiasi prodotto di origine animale. Nella mentalità fatta di consapevolezza sanitaria, che prevale tra la popolazione benestante del mondo ormai da una quarantina d’anni, la salute è inscindibile dalla virtù, il cibo saporito è “peccaminosamente delizioso”, mentre quello salutare può avere un gusto sufficientemente buono da essere percepito come “incolpevole”. Quelli che cercano di compensare una trasgressione si dedicano a misure punitive come digiuni, purghe o diete costituite da una successione di succhi vegetali diversificati accuratamente scanditi nel corso della giornata.
La mia reazione all’invecchiamento era diversa: gradualmente sono arrivata a rendermi conto che ero abbastanza vecchia per morire, e con questo non sto suggerendo che ognuno di noi porti in sé una data di scadenza. È ovvio che non esiste un’età fissa arrivata alla quale una persona smette di essere degna di un ulteriore investimento sanitario, che miri alla prevenzione o alla cura. I militari calcolano che una persona è sufficientemente vecchia per morire – per metterla sulla linea del fuoco – all’età di diciotto anni. All’altro capo della vita, molti ultrasettantenni rimangono leader mondiali senza che nessuno metta in discussione il loro bisogno di continui e abbondanti esami e cure. Il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ha novantadue anni ed è stato sottoposto a molteplici trattamenti per un tumore alla prostata. Se seguiamo i necrologi sui giornali, però, notiamo che c’è un’età in cui la morte non richiede più troppe spiegazioni. Anche se non esiste una generale norma editoriale su questi argomenti, quando il deceduto ha superato i settanta di solito è sufficiente che l’autore del necrologio faccia appello a “cause naturali”. Quando qualcuno muore, è sempre una cosa triste, ma nessuno può considerare un evento “tragico” la scomparsa di un settuagenario, e non ci saranno richieste di indagini.
Una volta resami conto che ero abbastanza vecchia per morire, decisi che ero anche abbastanza vecchia per non incorrere in ulteriori sofferenze, seccature o noie, alla ricerca di una vita più lunga. Mangio bene, nel senso che scelgo cibo che ha un buon sapore ed è capace di tenere alla larga la fame il più a lungo possibile: come proteine, fibre e grassi. Faccio ginnastica – non perché mi prolungherà la vita ma perché mi sento bene quando la faccio. Quanto alle cure mediche: cercherò aiuto per un problema urgente, ma non sono più interessata a mettermi alla ricerca di problemi che restano per me non percepibili. Idealmente la decisione di quando si è abbastanza vecchi per morire dovrebbe essere una scelta personale, basata su una valutazione dei probabili benefici, se ce ne sono, delle cure mediche e – cosa altrettanto importante a una certa età – di come vogliamo passare il tempo che ci rimane.
Per la verità, avevo sempre messo in discussione le procedure che i fornitori di cure sanitarie raccomandavano; in effetti, appartengo a una generazione di donne che rivendicavano il diritto a sollevare questioni senza che nel loro fascicolo medico vedessero comparire le parole “non collaborativa”, o peggio. Così, quando alcuni anni fa il mio medico di base mi disse che avevo bisogno di una densitometria ossea, ovviamente gli chiesi perché: che cosa si sarebbe potuto fare se il risultato fosse stato positivo e si fosse scoperto che le mie ossa erano state scavate dall’età? Per fortuna, mi rispose lui, adesso esiste un farmaco per questo problema. Gli dissi che conoscevo quel farmaco, grazie sia alle pubblicità a tutta pagina nelle riviste, sia agli articoli nei media che ne mettevano in dubbio sicurezza ed efficacia. Pensi all’alternativa, rispose lui, che potrebbe essere benissimo, diciamo, una frattura dell’anca, seguita da un immediato ricovero in una casa di riposo. E così, di malavoglia, riconobbi che il test, che non è invasivo ed era coperto dalla mia assicurazione sanitaria, sarebbe stato preferibile all’immobilità e all’assegnazione a una struttura ospedaliera.
Il risultato fu una diagnosi di “osteopenia”, la riduzione della massa ossea, condizione che avrei potuto ritenere allarmante se non avessi scoperto che è condivisa da quasi tutte le donne al di sopra dei trentacinque anni. L’osteopenia, in altre parole, non è una malattia ma un aspetto normale dell’invecchiamento. Qualche altra ricerca, tutte su fonti di facile accesso, rivelava che la scansione ossea di routine era stata pesantemente promossa e anche sovvenzionata dal produttore del farmaco.1 Peggio ancora, era risultato che il medicamento favorito al tempo della mia diagnosi provocava proprio alcuni dei problemi che avrebbe dovuto prevenire – degenerazione ossea e fratture. Un cinico potrebbe concludere che la medicina preventiva esiste per trasformare le persone in materia prima per un complesso medico-industriale avido di profitti.
La mia prima seria defezione dal prescritto regime di screening fu precipitata da una mammografia. A nessuna piace questo esame, che consiste in un brutale sforzo per rendere trasparenti i seni. Per prima cosa un seno viene appiattito tra due piastre, quindi viene bombardato con una radiazione ionizzante che, tra parentesi, è l’unico fattore ambientale di cui si sappia con certezza che provoca il tumore al seno. Avevo i miei dubbi sulle mammografie fin da quando ero stata curata per un cancro al seno all’inizio del millennio, e ora, una decina di anni dopo, lo studio del ginecologo riferiva che avevo avuto una “brutta mammografia”. Passai le successive ansiose settimane a sottopormi ad altri test, settimane durante le quali riuscii a procurarmi una multa per “guida distratta”. Certo che ero distratta – dall’incombente decisione da prendere, se sottopormi di nuovo ai debilitanti trattamenti antitumorali, o questa volta lasciare che la malattia facesse il suo corso.
Dopo essere passata attraverso un sonogramma, e aver lottato contro il panico dentro un tubo per la risonanza magnetica che sembrava una bara, risultò che la “brutta mammografia” era un falso positivo provocato dai sensibilissimi strumenti digitali di produzione delle immagini. Quella fu la mia ultima mammografia. Perché non sembri una decisione sconsiderata, devo dire che avevo l’appoggio di un importante e rinomato oncologo, il quale esaminò tutte le scansioni e disse che non ci sarebbe stato più motivo per vedermi ancora, messaggio che io interpretai come “non vedermi mai più”.
Dopo di che, sembrò che ogni visita medica o odontoiatrica finisse in rissa. I dentisti – e ne ho visti un gran numero nei miei spostamenti in giro per il paese – volevano sempre nuove lastre, anche quando l’unico problema era una scheggiatura alla punta di un dente. Tutto quello che riuscivo a pensare erano le macchine ai raggi X che quando ero piccola erano presenti in ogni negozio di scarpe: noi bambini venivamo incoraggiati a dare un’occhiata alle ossa dei piedi mentre muovevamo le dita. Il divertimento finì negli anni Settanta, quando questi “fluoroscopi” vennero banditi in quanto pericolose fonti di radiazioni. E quindi perché dovrei esporre di routine la bocca, che è portata al cancro molto più dei piedi, ad alte dosi annue di roentgen? Se ci fossero stati motivi per sospettare la presenza di un qualche latente problema strutturale, va bene; ma se si trattava solo di soddisfare la curiosità del dentista, o di adeguarsi a qualche astratto “standard terapeutico”, allora no.
In tutti questi incontri rimasi colpita dal disinteresse mostrato da quei professionisti per i miei resoconti soggettivi – in genere del tipo “mi sento bene” – a favore delle occulte esplorazioni effettuate dai loro equipaggiamenti. Un medico, non sollecitato da alcun segno o sintomo evidenti, decise di misurare la mia capacità polmonare con il nuovo strumento a impiego manuale che aveva acquistato a questo scopo. Vi respirai dentro, secondo le istruzioni, più forte che potei, ma il respiro non venne registrato sul suo schermo. Trafficò con l’apparecchio, con un’aria profondamente turbata, e mi comunicò che sembrava che soffrissi di un’ostruzione polmonare. In mia difesa sostenni che facevo ogni giorno almeno mezz’ora di esercizi aerobici, senza contare le consuete passeggiate, ma ero troppo educata per dimostrargli che ero ancora capace di emettere vigorosi argomenti orali.
Fatto piuttosto singolare, fu la mia dentista a suggerirmi, in occasione di un banale intervento di otturazione, di sottopormi a un test per le apnee notturne. Com’è che un odontoiatra finisca implicato in quello che di norma è un campo che riguarda specialisti di orecchio, naso e gola, non lo so, ma la sua raccomandazione fu che l’esame venisse effettuato presso un “centro del sonno”, dove dovevo cercare di dormire mentre ero saldamente collegata a strumenti di monitoraggio, dopo di che potevo acquistare da lei il mezzo necessario al trattamento: una terrificante maschera a forma di teschio che avrebbe prevenuto l’apnea notturna ed estinto definitivamente ogni possibilità di attività sessuale. Ma quando protestai che non c’era alcuna prova che fossi affetta da quel disturbo – nessun sintomo o segno individuabile – la dentista disse che potevo semplicemente non rendermene conto, aggiungendo che la cosa poteva uccidermi nel sonno. Questa, le risposi, è una prospettiva che posso sopportare.
Appena raggiunti i cinquant’anni, i medici avevano cominciato a raccomandarmi – in un caso persino a scongiurarmi – di fare una colonoscopia. Come nel caso della mammografia, è difficile sottrarsi alla pressione di chi ti ordina di sottometterti a una colonoscopia. Le celebrità le promuovono, i comici ci costruiscono delle scenette. A marzo, che è il Mese della Consapevolezza del Cancro Colorettale, una replica gonfiabile alta due metri e mezzo di un colon fa il giro del paese, permettendo ai curiosi delle questioni anali di penetrarvi ed esaminare polipi potenzialmente cancerosi “dall’interno”.2 Ma se la mammografia fa pensare a una raffinata sorta di sadismo, le colonoscopie mimano una vera e propria aggressione sessuale. Per prima cosa il paziente viene sedato – spesso con quella che è comunemente nota come la “droga dello stupro” – quindi gli viene inserito nel retto un lungo tubo flessibile con una telecamera all’estremità, che viene poi fatto risalire attraverso il colon. Quello che trovavo ancora più ripugnante di questa perversa procedura era la giornata di digiuno e di lassativi che avrebbe dovuto precederla, allo scopo di assicurare che la piccola telecamera incontrasse qualcosa d’altro che le feci. Rimandai la cosa di anno in anno, fino a quando mi sentii finalmente al sicuro nella certezza che poiché il tumore al colon ha di solito una crescita lenta, è improbabile che eventuali polipi cancerosi presenti dentro di me fioriscano se non quando sarò già prossima alla morte per altre cause.
Quindi il mio internista, primario di un poliambulatorio, mandò una circolare ai pazienti in cui annunciava che stava sospendendo la sua pratica consueta per offrire un nuovo livello di “assistenza ai clienti” per chi era disposto a tirar fuori un extra di 1.500 dollari, oltre a quello che già pagava per l’assicurazione. Questa cura elitaria avrebbe incluso un accesso ventiquattr’ore su ventiquattro al medico, visite rilassanti e, come veniva promesso in quella lettera, ogni genere di esami e test oltre a quelli di routine. Fu a questo punto che la mia decisione si cristallizzò: presi un appuntamento e gli dissi faccia a faccia che, primo, ero costernata dalla sua intenzione di abbandonare i pazienti men che benestanti, che sicuramente costituivano la maggioranza della popolazione presente in sala d’attesa. E, secondo, che non avevo bisogno di altri test: avevo bisogno di un medico in grado di proteggermi da procedure non necessarie. Sarei rimasta con la massa dei pazienti ordinari, esaminati a casaccio.
Ovviamente tutta questa attività non neces...

Indice dei contenuti

  1. Cause naturali
  2. Indice
  3. Introduzione
  4. 1. La rivolta della mezza età
  5. 2. Rituali di umiliazione
  6. 3. La patina della scienza
  7. 4. Pestare il corpo
  8. 5. L’insania della mindfulness
  9. 6. La morte nel contesto sociale
  10. 7. La guerra tra conflitto e armonia
  11. 8. Tradimento cellulare
  12. 9. Menti minuscole
  13. 10. “Invecchiare con successo”
  14. 11. L’invenzione dell’io
  15. 12. Uccidere l’io, godere in un mondo vivo
  16. Ringraziamenti