Come difendersi dai Media
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Come difendersi dai Media

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Come difendersi dai Media

Informazioni su questo libro

In una società democratica i media sono strumenti insostituibili. Svolgono un ruolo di grande utilità sociale e individuale, ma possono anche produrre pericolosi effetti collaterali. Come una sorta di grandi "self service", ci offrono una gran varietà di "cibi per la mente", ma sta a noi scegliere quelli appropriati e nelle giuste dosi. Come influiscono i TG e i giornali sulla nostra comprensione del mondo o sulle nostre opinioni politiche? Come influisce la lettura di un giornale o di un sito web sul nostro stato interiore? Quali emozioni suscitano in noi certi programmi TV e quali effetti possono avere sul nostro sonno? Che conseguenze può produrre, nel tempo, un uso inappropriato dei media sui nostri figli? Questo libro offre suggerimenti pratici per individuare, prevenire e "curare" gli eventuali effetti indesiderati. Offre inoltre preziose tecniche ed esercizi con cui possiamo renderci conto da soli degli effetti che certe letture o programmi producono su di noi e sui nostri figli, in modo da seguire un'equilibrata "dieta mediale". Si tratta di essere fruitori attivi e consapevoli, anziché vittime ingenue e passive.

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Informazioni

Editore
La Lepre
Anno
2012
eBook ISBN
9788896052679
i saggi
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Enrico Cheli
Come difendersi
dai media
Gli effetti indesiderati di giornali,
radio, tv e internet
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© Copyright 2011 by La Lepre Edizioni
Via delle Fornaci, 425 – 00165 Roma
www.lalepreedizioni.com
Progetto grafico/Francesca Schiavoni
Realizzazione digitale/Plan.ed
www.plan-ed.it
Pubblicazione realizzata con il contributo
dell’Università degli studi di Siena
Dipartimento di Scienze storico-sociali,
filosofiche e della formazione
ISBN 978-88-96052-67-9

Introduzione

I media sono ormai dei partner onnipresenti per tutti noi, tant’è che molti autori definiscono l’epoca attuale come “la società della comunicazione”. In meno di un secolo siamo passati dalle veglie loquaci attorno al focolare al rito silenzioso della tv, dai libri e dai giornali su carta agli ipertesti via internet, dai teatri ai videotape e ai dvd, dai concerti dal vivo alla radio e ai cd. Insomma, i media sono entrati a far parte, nel bene e nel male, della nostra vita quotidiana, al punto che non ci facciamo più caso e che non riusciamo neppure a farne a meno.
A partire dagli anni Venti del secolo scorso, studiosi e intellettuali hanno iniziato a interrogarsi sui rischi sociali e individuali derivanti dai mass media, un problema ancora aperto e anzi sempre più pregnante, vista la diffusione capillare che tali mezzi hanno poi avuto.
La domanda cruciale, oggi come allora, è la seguente: i media fanno bene o male? I loro effetti sono positivi o negativi per gli individui e per la società nel complesso? Alcuni studiosi dicono che va tutto bene, che non c’è da preoccuparsi, che non esiste evidenza scientifica che i media producano effetti negativi, mentre molte sarebbero le influenze positive; altri autori stigmatizzano invece il loro notevole potere e i rischi derivanti da un uso inconsapevole e acritico.
Chi ha ragione? Forse tutti e nessuno, per il semplice motivo che la questione non può essere risolta con risposte semplicistiche.
I media rappresentano certamente un fattore evolutivo positivo per rapporti umani più aperti e collaborativi e per una società che traduca in concreto i principi democratici della libertà, della autodeterminazione, della cooperazione[1]. Essi iniettano nei molti e diversificati popoli del pianeta il potente “farmaco” della comunicazione e vari suoi derivati: conoscenza, apertura, relativismo, cosmopolitismo, tolleranza e via dicendo. Grazie anche a tali “farmaci psicosociali” alcune perniciose “malattie” che hanno afflitto per millenni l’umanità – la chiusura, la paura dell’altro e del diverso, la prevaricazione, l’ideologia, il senso di separazione dalla natura e dagli altri, l’antagonismo tra maschile e femminile, la violenza come mezzo per risolvere le controversie – stanno sensibilmente migliorando. Tuttavia, come accade per ogni farmaco, specie se potente, si verificano in questo processo anche molti effetti collaterali e così, mentre contribuiscono a guarire certe patologie, i media ne creano o accentuano indirettamente altre. Pertanto è necessaria una grande attenzione ai contenuti che i media trasmettono sia da parte di operatori ed editori, sia soprattutto da parte degli utenti.
Come insegna la farmacologia, certe sostanze, terapeutiche se assunte in piccole dosi, possono in dosi più alte risultare tossiche e finanche mortali. Lo stesso insegnamento lo troviamo nelle scienze dell’alimentazione, che evidenziano l’importanza di una dieta giornaliera in cui siano presenti tutti i princìpi nutritivi in proporzione equilibrata, senza eccedere ma neppure limitare troppo le quantità. Per molti versi i media possono essere considerati come dei grandi “self service” per la mente e dunque, nell’utilizzarli, dovremmo seguire princìpi analoghi a quelli appena ricordati. Dovremmo inoltre tenere presente che non è solo il dosaggio di un alimento o di un farmaco a determinarne l’effetto, ma sono anche le modalità di assunzione. Ciò è particolamente importante nel caso dei bambini: alcuni genitori li lasciano per ore davanti alla tv, senza curarsi minimamente della scelta dei programmi, altri demonizzano il video e non tengono nemmeno un televisore in casa, e altri ancora accompagnano i figli nel loro uso dei media e li aiutano a comprendere con senso critico ciò che vedono.
Qual è dunque l’atteggiamento migliore? Proseguendo l’analogia con i cibi, la risposta offerta da questo libro è che vadano evitati sia i comportamenti irresponsabili sia quelli troppo rigidi e radicali; occorre invece dosare correttamente la quantità e la qualità dei diversi “cibi” mediatici per la mente, imparando a “masticarli” bene e a prendere consapevolezza degli effetti che essi producono su di noi, evitando di ingurgitare troppo spesso immagini, storie, notizie di cui potremmo poi risentire negativamente. La proposta è, insomma, quella di fare un uso moderato e consapevole dei media, valorizzando al meglio quel che di buono essi propongono ed evitando contenuti manipolati e immagini di difficile “digestione” o, ancor peggio, “tossiche”.
I media potrebbero, se usati bene, essere strumenti formidabili per stimolare la consapevolezza delle persone. Purtroppo il livello qualitativo dei contenuti da essi proposti non è sempre adeguato e così pure l’obbiettività. La gran parte dei media ha puntato finora più agli indici di ascolto che a quelli di gradimento, alla tiratura invece che alla qualità, privilegiando il tornaconto economico o politico rispetto all’utilità sociale e operando scelte assai discutibili sul piano dell’offerta culturale, spesso imperniata su ingredienti dai sapori forti ma di scarsa qualità: violenza, paura, sessualità morbosa, competizione esasperata e via dicendo.
Che fare allora? Esprimere le proprie rimostranze e battersi per una più elevata qualità dell’offerta mediatica? Rassegnarsi e prendere quel che passa il convento, turandosi il naso? Ribellarsi e fare a meno dei media, isolandosi dal mondo?
In qualità di studioso e docente universitario, in questo settore ho cercato fin dagli anni Ottanta, come anche altri colleghi, di sensibilizzare in vari modi il mondo dei media e della politica circa l’esigenza di una più elevata qualità dell’offerta culturale e informativa, senza però riscontrare alcun miglioramento, anzi, casomai un graduale, sensibile peggioramento. Ho allora percorso l’altra strada, quella della ribellione silenziosa, dello sciopero bianco, evitando per un lungo periodo ogni fruizione dei media: niente tv, né radio né giornali. È stata un’esperienza utile, di profonda disintossicazione, che mi ha fornito alcune importanti chiavi per scrivere questo libro; tuttavia ho anche capito che se si vuole vivere attivamente nel mondo non si può fare a meno dei media, e non si deve troppo semplicisticamente demonizzarli, poiché svolgono un’insostituibile funzione sociale i cui benefici sono spesso maggiori degli svantaggi.
Come sostiene Alberto Melucci,
l’influenza della società sugli individui è incomparabile rispetto al passato. Ognuno di noi riceve così tanti stimoli, informazioni, messaggi che potremmo supporre che la nostra personalità tutta intera sia modellata dalla società. Potremmo vederci come piccoli ingranaggi di questa grande macchina mossa da meccanismi che nessuno di noi controlla. Immagini drammatiche del dominio della società sugli individui come quelle di 1984 di Orwell mettono in guardia contro dei rischi reali, ma possono farci sottovalutare che mentre si estende l’influenza della società sugli individui, questi ricevono anche una grande autonomia, strumenti per pensare, scegliere, decidere[2].
Sono quindi tornato a fruire i media come utente e a occuparmene come studioso, dedicandomi a sviluppare una terza via: invece di escluderli dalla propria vita o aspettare che migliorino l’offerta, si può imparare a utilizzarli in modo più attivo e consapevole, senza più abbandonarsi passivamente a menu prestabiliti da altri, ma anzi scegliendo accuratamente i programmi e le “dosi” con cui assumerli. Certo, questa terza opzione è un po’ più impegnativa e faticosa, ma è anche quella che meglio può conciliare le nostre diverse esigenze.
Come vedremo, nessuna azione nasce dal nulla, ma deriva piuttosto da una qualche esigenza che desideriamo soddisfare: se dedichiamo del tempo ai media è perché essi soddisfano, in qualche misura, dei nostri bisogni. Mettere a fuoco tali bisogni è il primo passo per porsi in modo più consapevole nei confronti degli stessi strumenti, imparando a usarli meglio e talvolta meno, trovando modi alternativi per soddisfare le nostre esigenze.
Il secondo passo consiste nel rendersi conto di quali siano gli effetti che un certo programma televisivo, articolo giornalistico o testo web produce sul nostro stato psicofisico. Il predetto periodo di “astinenza” dai media affinò molto la mia sensibilità in proposito, così che, quando tornai a guardare un po’ di tv o a leggere qualche giornale, mi accorsi che riuscivo a sentire più nitidamente quale effetto essi esercitavano su di me e come certi programmi o notizie mutavano il mio stato fisico e soprattutto emozionale, quali conseguenze avevano sulla qualità del mio sonno, sul mio umore immediato o del giorno seguente, sul mio modo di relazionarmi agli altri ecc. Riuscii a cogliere, nella mia esperienza personale di fruitore, tutta una serie di “piccoli effetti” che in precedenza non avevo potuto notare e che in molti casi non erano neppure rip...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Capitolo primo
  3. Capitolo secondo
  4. Capitolo terzo
  5. Capitolo quarto
  6. Capitolo quinto
  7. Capitolo sesto
  8. Capitolo settimo
  9. Capitolo ottavo
  10. Appendice
  11. Bibliografia