Parte nona
Il maestro non poteva vederlo, ma una lacrima stava scendendo sul viso di Pòlybos; era commosso da molte cose: immaginava la pena di quel periodo, la lontananza, il sollievo del ritorno. Il giovane sapeva poi che quella creatura che si affacciava alla vita sarebbe stata un giorno la sua sposa.
Hippokrátes intanto continuava a parlare: «Chlóe dopo alcune lune mi diede Melissa, una bambina che le somigliava incredibilmente. L’ho vista crescere, insieme ai suoi due fratelli; osservavo questo loro mutare e farsi grandi come il più favoloso dei prodigi.
Molti anni passarono così, serenamente. I miei figli Tessalo e Draco divennero ragazzi, e poi uomini e medici a loro volta. La mia piccola Melissa si fece donna e diventò la tua sposa, Pòlybos, facendo sì che tu divenissi per me un altro figlio e forse, se mi è concesso dirlo, il più prezioso dei miei discepoli. Ecco, ti ho aperto il mio cuore come non ho mai fatto con nessuno. Il resto della storia già lo sai».
Era chiara l’intenzione di terminare qui il racconto. Hippokrátes era pallido, curvo, aveva gli occhi spenti.
Pòlybos si spaventò, cercò di scuoterlo con altre domande. Tante cose ignorava ancora, e avrebbe voluto sentirle dalle sue labbra. Vi era in particolare un lungo viaggio, che il maestro aveva fatto già in tarda età, di cui mai a nessuno aveva voluto rivelare nulla.
Decise di provare: «Maestro, leggendo il tuo trattato Sulle arie, le acque e i luoghi mi sono fatto l’idea che tu abbia viaggiato molto più di quanto sei solito narrare. Anche quando già ero sposo di Melissa e tuo discepolo, ti assentasti per lunghi periodi, ma di questi viaggi non ho saputo poi molto».
«Se tu ragionassi, prima di parlare, capiresti da te che non tutti i viaggi intrapresi mi rivelarono cose degne di essere riferite. O forse che non fu sempre mio desiderio raccontare», disse brusco.
Ma poi sembrò cedere.
Con la guancia poggiata sul palmo della mano e un’espressione assorta, disse: «Sì, è vero, viaggiai ancora a lungo; ma i numerosi viaggi della mia maturità si ripetevano spesso simili ai precedenti, senza troppe variazioni in ciò che mi accadeva, in ciò che apprendevo o facevo, nei luoghi che visitavo. Avevo raggiunto l’età dell’equilibrio, della completa conoscenza? Ebbene, così pensavo. Avrei scommesso di avere davanti a me gli anni in cui nulla vi è più di nuovo. Ma mi trovai in effetti, con i capelli e la barba già screziati di bianco, ad affrontare un viaggio in cui ancora una volta il destino mi sorprese, e mi portò lontano dalla mia casa e dalla mia famiglia, nonché dalle mie certezze e convinzioni.
Capitolo quarantatreesimo
La favorita
Tutto cominciò un mattino, alla fine dell’inverno; giunse da me un ragazzo, poco più che adolescente, di nome Tanis. La pelle olivastra, il naso arcuato, le labbra carnose mi davano l’idea di un giovane egiziano, ma vestiva abiti persiani: calzature di cuoio morbido e calzoni all’orientale, di stoffa leggera; una tunica al ginocchio bordata da un ricamo. Giungeva dal porto, trafelato, a chiamarmi.
«Chaîre, iatrós – salutò, in greco, ma con un forte accento forestiero. – Benvenuto. Cosa ti porta qui da me?», gli risposi in persiano. Mi ero ritrovato spesso a viaggiare nei territori costieri del Gran Re e conoscevo qualche parola di quella lingua.
«Vengo da Sardi, dal palazzo del principe Ciro, satrapo di Lidia, Frigia e Cappadocia», declamò con fare altisonante. Aveva ancora il fiato corto.
Tra il divertito e l’irritato risposi: «Ebbene?».
«Ciro ti chiede, iatrós, di recarti presso il suo palazzo, a Sardi, perché necessita dei tuoi servigi. Avrai in cambio argento, oro e tutto quello...».
«I ricchi doni dei persiani non mi interessano – tagliai corto. – Né mi interessa, in tutta onestà, guarire i barbari, nemici della Grecia. Sono certo che abbiate buoni medici per curare il vostro principe».
«Ma, iatrós, nessun medico è riuscito a capire di che malanno si tratti. E non ha colpito lui, ma una donna. La sua favorita, una donna greca».
A quella notizia, tacqui pensoso. In passato mi ero sempre rifiutato di prestare la mia opera ai persiani. Ora però si trattava di una donna, e per di più di sangue greco.
Riflettei frettolosamente. Era da un po’ di tempo che non mi spostavo da Kos, forse cambiare aria mi avrebbe fatto bene. In fondo, era un piccolo tratto di navigazione sotto costa e qualche ora a cavallo.
Lasciai Tanis nell’atrio ad aspettarmi. Preparai la sacca con i medicamenti e lo strumentario; salutai mia moglie, promettendole che sarei rientrato entro qualche giorno.
«And...