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Informazioni su questo libro
Tutti conoscono le poesie di Giovanni Pascoli – uno dei nostri più grandi autori moderni, forse l'unico di statura veramente europea –, dalle
"Myricae" ai "Canti di Castelvecchio". Non tutti invece sanno che per molti anni scrisse su Dante e la "Commedia", dedicando ben tre libri al fondatore della lingua italiana. In anticipo sulle più recenti acquisizioni metodologiche, Pascoli volle indagare la struttura del capolavoro
dantesco, lasciando in sordina il commento estetico e quello in voga nel metodo storico, che sotto l'influenza del positivismo analizzava gli aspetti meramente testuali e storiografici, per mettere invece in risalto la filigrana concettuale della "Commedia", «sotto il velame» (espressione dantesca che divenne il titolo di uno dei suoi libri) del significato letterale, mostrando gli aspetti teologici, filosofici, biblici che sottostavano al grande affresco allegorico di Dante. In questo libro Bruno Nacci ha scelto e introdotto alcuni dei passi più suggestivi del Pascoli dantista, dal Conte Ugolino a Virgilio, da Matelda alla presentazione del Paradiso.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
Critica letteraria italianaNote
Introduzione
1 Giovanni Pascoli, Conferenze e studi danteschi, a cura di Maria Pascoli, Nicola Zanichelli, Bologna 1915.
Virgilio e Dante
* In Memorie della R. Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, 22 giugno 1910, poi in Conferenze e studi danteschi, cit., pp. 259-268.
1 Aen. VI, 8, 13.
2 Aen. VI, 238, 257, 259.
3 Ib. id. 179.
4 Ib. id. 638 sgg.
5 Pur. XXVII, 89 sg.
6 Ib. XXVIII, 106.
7 Aen. VI, 271.
8 Aen. VI, 739 sgg.
9 Ib. id. 889.
10 Pur. XXXIII, 4.
11 Aen. VI, 263.
12 Inf. II, 139 sg.
13 Aen. VI, 74.
14Pur. XXII, 57.
15 Aen. VI, 11 sg.
16Aen. VI, 65 sg.
17 Inf. I, 101 sg.
18 Ib. 130.
19 Ecl. IV ed Aen. VI
20 Aen. I.
21 Aen. VI, 83.
22 Inf. I, 22 sgg.
23 Aen. VI, 7.
24 Ib. id. 13.
25 Inf. I e XX, 127 sgg.
26 Aen. VI, 270.
27 Ib. id. 9.
28 Ib. id. 59.
29 Ib. id. 18.
30 Ib. id. 117.
31 Inf. I, 65.
32 Inf. I, 130.
33 Aen. VI, 115 sgg; V, 722 sgg.
34 Ib. VI, 686 sgg.
35 Inf. II, 52 sgg. 116; Pur. XXXI, 33 sgg.
36 Mon. I, 18.
37 Pur. XVI, 109.
38 Conv. IV, 3.
39 Par. XXVII, 23 sgg.
40 Aen. VI, 129 sgg.
41 Vulg. Et. II, 4.
42 Aen. I, 286.
43 Ib. VI, 792.
44 Ib. VIII, 678.
45 Inf. I, 110.
46 Pur. XX, 15.
47 Pur. XXXIII, 43.
48 Par. I.
49 Inf. XV, 77.
50 Conv. I, 5.
Colui che fece il gran rifiuto
* Apparso su «Il Marzocco» il 6 luglio 1902, poi raccolto dalla sorella in Conferenze e studi danteschi, cit., pp. 39-60.
1 Di questi Celestino ha si può dire, tutti i punti dai commentatori e interpreti d’oggidì, perché si tratterebbe d’uomo che a Dante doveva rincrescere personalmente e fece la rinunzia della più gran cosa che ci sia.
Perché rincresceva personalmente? Perché lasciò la via libera a Bonifacio. Piace – ai nostri giorni – figurarsi un Dante cattivo, maledico, ingiusto. Così è uomo, e aggiungono, forte, e dovrebbero dire, debole. Sia. Ma vediamo ciò che dice Benvenuto, avvertendo che i più antichi commentatori riferiscono quest’opinione come del volgo, e poco accettevole. Benvenuto (trad. Tamburino) dice dunque: «La comune opinione vuole, che l’autore avesse di mira Celestino V chiamato fra Pietro de Moroni, perché usò delle parole il gran rifiuto e così per antonomasia doversi intendere del papato. Aggiungono altri che Celestino poteva più meritare nella somma dignità di quello che nella quiete ed ozio dell’eremo, il perché S. Pietro Ap. dice – lavorai, non fruttificai – e sarebbe bastato al bene dell’anima che avesse lavorato, quand’anche non avesse ricavato molto frutto. Non gioverebbe a scusarlo l’animo puro e schietto con cui rifiutò, perché il rifiuto avrebbe sempre in sé stesso la massima viltà. Secondo per altro la mia opinione, sostengo che Dante, qui non parli, né parlar possa di Celestino, che mi pare facesse il rifiuto non per viltà, ma invece per magnanimità. Se vogliasi parlare senza passione Celestino fu magnanimo prima del papato, nel papato, e dopo il papato; prima perché sentita appena la sua elezione tentò fuggire col suo compagno e discepolo Roberto Salentino; ma circondato dalla moltitudine festante, gli fu impossibile ridurre ad effetto il suo desiderio; nel papato, imperocché giunto all’apice della dignità e potere, si fece costruire una piccola ed eremitica cameretta nell’ampio palazzo papale, nella quale, ed in ciascun giorno per molte ore stavasi in santa contemplazione, e parlava con Dio fra tante cure, fra strepiti degli armati, e fra tanta pompa e solennità; visse dunque umile nell’altezza, solitario fra innumerevoli persone; povero fra le ricchezze, e con tanta maggiore magnanimità quanto la rinunzia e il rifiuto erano di cose maggiori. Anche S. Pietro primo vicario di Gesù Cristo abbandonò la piccola sua navicella; ma questo successore di S. Pietro rinunciò a massima e ricchissima nave, in tempo in cui era pregio maggiore il ritenerla, cioè quando per ismisurata ambizione si cercava da tutti. Fu più magnanimo nella rinuncia, di quello che fosse Bonifacio nel cercare a tutta possa di possederla, e sotto della quale doveva poi infelicemente morire. Conosceva Celestino di essere incapace, anzi inutile a tanto incarico, che contro voglia aveva accettato, e perché inesperto degli interessi del secolo, tolto al mondo da tanto tempo, isolato nella contemplazione nelle selve: non isperava trarre alcun frutto dalle sue cure papali in vantaggio della Chiesa, specialmente perché conosceva esservi nella Chiesa persone incorreggibili ed insaziabili, che non avrebbe potuto allontanare dalle simonie, ed altre cupidità alle quali erano con tutto l’animo intenti. Fu magnanimo anche dopo il papato. Deposta infatti la somma dignità, quasi gravissimo peso, ricercò ardentemente la prima vita solitaria, come prigioniero liberato dal più orribile carcere. Narrano quei che lo videro, tornare con tanto gaudio ed allegrezza da non sembrare liberato da un peso, ma che avesse tolta la testa di sotto la scure. Egli sapeva dove tornava, e più non ignorava donde partiva. Partiva come da un inferno, e ritornava al paradiso de’ viventi, se non si fosse opposta l’astuzia di Bonifacio, che fattolo prigione, lo chiuse in dura carcere, sotto rigidissima guardia, dove se mutò luogo, l’animo non cambiò. Passato infatti al bacio del Signore, la di lui anima apparve al suo discepolo Roberto, e lo persuase a star fermo nella santa solitudine insino alla morte. E in un momento la fama del discepolo si sparse per tutta Italia, e l’ordine fondato etc. Ma chi fu dunque il tristissimo che rifiutò? Rispondo che secondo i migliori interpreti fu Esaù, etc.».
Del non potere e del non sapere bene sé menare, le più volte non è l’uomo vituperato; ma del non volere è sempre, perché nel volere e nel non volere nostro si giudica la malizia e la bontade. Conv. II, 33.
Celestino mancò per non potere e non sapere, o per non volere? Fu ingannato. E Dante lo sapeva. Era nel senio. E Dante dice che nel senio altro uomo non può che rimaritarsi a Dio. (Nota aggiunta in tempo più recente).
2 Bene il can. Giuseppe Roselli, autore d’una Discolpa di Dante (Pisa 1896), che non m’avvenne di leggere; ma conosco l’Appendice (Roma 1898); nella quale rispetto al giovine di S. Matteo (XIX, 16 sgg.), proposto dal Roselli come «esempio che presentasse praticamente i caratteri di riconoscimento dell’innominato cattivo», si cita, tra altri, questo commento: Il giovine era buono perché agli altri non noceva, ma non era buono perché agli altri non sovveniva... per pusillanimità.
3 Bull. della S. D. I. Nuova Serie, Vol, I, 1893-94, pag. 26. M. Barbi che del miro gurge conosce non solo tutti gli abissi ma e tutte le increspature, dubita che il Mazzoni sia l’unico ad aver proposto Pilato. Soggiunge poi che il Mazzoni aveva ed ha molti argomenti in pro della sua tesi, i quali il Barbi stesso consigliò di omettere in quella recensione.
In più recente occasione d’un commento al III Inf., Guido Mazzoni fece ammenda di quello sproposito... (Aggiunta posteriore a questa nota).
4 Matth. 27, 24.
5 Luc. 23, 23.
6 Ioan. 19, 4.
7 Ioan. 19, 8.
8 Ioan. 19, 12.
9 Matth. 27, 24 e 19.
10 Matth. 27, 23; Marc 15, 14 e 22.
11 Luc. 23, 4 e 14 e 22; Ioan. 19, 6.
12 A quelli che hanno letto i miei libri Sotto il velame e la Mirabile visione, raccomando di aggiungere questa ineccepibile riprova del fatto che il principale e tipico peccatore di Malebolge, Caifas, è reo d’invidia. Ipocrisia è il delitto speciale, la frode cioè invidia, è il peccato generale: invidia, che è contro gli uomini: unus homo.
13 Marc. 15, 10.
14 Evv. passim.
15 Matth. 27, 22.
16 Ioan. 18, 38.
17 Ioan. 18, 36 e 19, 20.
18 Ioan. 19, 5 e 14.
19 Mon. II, 5 e 13.
20 Vedile in A. Graf, Roma nel M. E., I., 345 sgg., 370 sgg. App. A. B. C. Miti, Leggende e superstizioni del M. E. pp. 143-166.
21 Ioan. 19, 12.
22 In E. Du Mèril, PPL du MA, pag. 340 sgg. 368.
23 Par. V, 19 sg.
24 Un egregio critico, G. Fraccaroli, chiede dove avrebbe Dante messi i pagani che si fossero trovati nella condizione di questi invano redenti. Potrei rispondere: Che ne so io? Potrei rispondere: Mi figuro che Dante non ammettesse che di questi cotali ce ne potesse essere prima e in fuori della redenzione. Certo si è che un non battezzato, anche se parvolo innocente, passa l’Acheronte.
25 Dalla lezione dei Vangeli derivarono due ordini di leggende: nell’uno, Pilato è affermato confessore e persin martire del Cristo; nell’altro, il più perverso degli uomini. Vedi i libri citati di A. Graf.
26 Vedi La Mirabile visione a pag. 321, 456, 2°, edizione Zanichelli.
27 Vedi A. Graf, Roma nel M. E., I, pag. 345 sgg. pag. 370 sgg. Appendici A. B. C. Cfr. Du Méril PPL (Paris 1847) a pp. 340, 368, 454.
28 Vedi passim nei libri citati.
29 Mon. II, 11.
30 Pur. XX, 86 sgg.
31 Cfr. Holtzmann, Wilhelm von Nogaret.
32 Si disse impossibile che Dante cristiano ponesse il signum crucis avanti i dannati: cosa non apparsa impossibile a Michelangelo. Mio Dio! I critici avevano dimenticato l’ignobile crocefisso della bolgia sesta!
Il Conte Ugolino
* Il capitolo su Il conte Ugolino è tratto dall’Appendice in Minerva oscura2 (prima edizione 1898), Raffaello Giusti Editore, Livorno 1917, pp. 161-178.
Matelda
* Apparso nel numero unico «Nell’ottavo centenario del Concilio generale di Guastalla», Edizioni L. Battel, Parma 1906, poi in Conferenze e studi danteschi, cit., pp. 247-258.
1 Cfr. Inf. II, 102: mi sedea con l’antica Rachele, e Par. XXXII, 8: siede Rachel.
2 Mon. III, 16.
3 Inf. XI, 106.
4 II, 16.
5 Ib. 15.
6 Summa Ia 2ae 57, 3.
7 Summa 2a 2ae 181, 1.
8 Ib.
9 Mon. III, 16.
10 Uso la magnifica edizione del Davoli il quale benissimo traduce il rozzo ma importante poema.
11 II, I, 89. Qui dico, insieme con Donizone, re colui che prima chiamai imperatore. Invero, quando andò a Canossa, il re Enrico era patrizio di Roma, designato perciò all’ impero ma non anche incoronato.
12...
Indice dei contenuti
- L'autore
- Introduzione
- I
- Virgilio e Dante
- II
- Colui che fece il gran rifiuto
- III
- Il Conte Ugolino
- IV
- Matelda
- V
- Prolusione al Paradiso
- Note
- Indice