Metromontagna
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Metromontagna

Un progetto per riabitare l'Italia

Filippo Barbera, Antonio De Rossi

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Metromontagna

Un progetto per riabitare l'Italia

Filippo Barbera, Antonio De Rossi

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«Se il mare, alzandosi di pochi metri, ricoprisse quel golfo di terra che è la valla padana, l'Italia sarebbe una sola e grande montagna», scriveva Meuccio Ruini nel 1919. In Italia, accanto ai problemi di latitudine, vi sono quelli di altitudine. Se letto attraverso queste lenti, il Nord – come l'intero paese – appare come il mosaico di una geografia policentrica composta da sistemi territoriali rugosi che intrecciano senza soluzione di continuità ampie zone pianeggianti, aree urbane estese, valli e montagne. Tipi di montagne e di pianure, intersecati con grandi città, ma anche con sistemi di città medie contornati da montagne. È il policentrismo metromontano del nostro paese, dimensione che richiede nuovi atlanti e nuove mappe che mostrino alla politica la possibilità di non governare con la montagna alle spalle e lo sguardo speranzoso alla sola pianura, come se la montagna non potesse generare ricchezza e benessere. Le politiche separano sulla base di confini che hanno natura amministrativa, in ossequio a criteri disegnati dai centri o in funzione della ricerca del consenso politico, e solo raramente accompagnano e valorizzano le interdipendenze funzionali, i flussi di risorse e le persone che vivono e lavorano a cavallo di questi confini. La valorizzazione del policentrismo richiede politiche di connessione tra territori capaci di generare nuovi mercati, di costruire reti e infrastrutture, di contrastare il depopolamento e gli effetti del cambiamento climatico. Questo nuovo studio dell'Associazione Riabitare l'Italia, dopo il Manifesto pubblicato nel 2020, interviene in una discussione pubblica quanto mai attiva sui possibili nuovi rapporti tra territori metropolitani e rural-montani, che è sempre più attuale in tempi di smart working e di ripopolamento dei centri minori in abbandono.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855222570

Terre alt(r)e

Dodici fotografie di Michele D’Ottavio
Metromontagna
Metromontagna
1. Ferriere Avigliana, entrata Valle di Susa.
Metromontagna
Valli urbanizzate
2. Sant’Ambrogio, bassa Valle di Susa.
Metromontagna
3. Sant’Antonino di Susa, bassa Valle di Susa.
Metromontagna
Pedemonti metrorurali
4. Pianezza, entrata Valle di Susa.
Metromontagna
5. Ciriè, basso Canavese.
Metromontagna
Commistioni e trame di natura
6. Riserva naturale La Vauda, basso Canavese.
Metromontagna
7. Rocca Canavese, alto Canavese.
Metromontagna
Sistemi di acque
8. Stura di Lanzo, basso Canavese.
Metromontagna
9. Parco La Mandria, basso Canavese.
Metromontagna
Cittadine metromontane
10. Lanzo, entrata Valli di Lanzo.
Metromontagna
11. Susa, media Valle di Susa.
Metromontagna
Fondali paesaggistici
12. Monviso.

I. Per una geografia metromontana dell’arco alpino italiano

di Giuseppe Dematteis e Federica Corrado*
Per «geografia metromontana» intendiamo una descrizione ragionata di possibili relazioni virtuose tra centri metropolitani e territori montani. Essa si basa su fatti oggettivi come i flussi di servizi ecosistemici, la chiusura di cicli, i differenziali climatici, i rapporti input-output tra le imprese, le risorse produttive naturali riutilizzabili, le filiere corte del cibo, la gravitazione per lavoro e servizi, le reti infrastrutturali e così via. Ma non solo. Fanno parte di questa geografia anche le interazioni immateriali, le immagini progettuali, gli scambi e le ibridazioni culturali città-montagna, le rappresentazioni e le valutazioni soggettive come, ad esempio, l’identificazione della montagna con un ambiente favorevole a nuove esperienze di vita individuali e comunitarie. I primi due paragrafi descrivono la trama ecosistemica e funzionale dei legami tra la montagna alpina e le reti urbane facenti capo alle metropoli padane. Nei due paragrafi successivi vengono trattate le componenti più soggettive, culturali e progettuali che stanno alla base delle relazioni metromontane.

1. La metromontagna della prossimità geografica.

Le città, come ci ricorda Urlich Beck, hanno ali e radici. Così le metropoli, pur operando come nodi di reti globali (le ali), hanno un metabolismo che le lega a interazioni di breve-medio raggio con i territori circostanti (le radici). Nello stesso tempo chi vive e opera in questi territori, anche se può interagire con tutto il resto del mondo, continua a soddisfare gran parte delle sue esigenze economiche, sociali e culturali attraverso relazioni con le città e le metropoli vicine. Di conseguenza le zone montane che per la loro posizione geografica si trovano in un campo di relazioni urbano-metropolitane di breve-medio raggio presentano condizioni favorevoli alla formazione di sistemi territoriali metromontani, cioè di entità da progettare e organizzare a partire dai riscontri oggettivi e soggettivi sopra menzionati.
Negli ultimi decenni si osserva che al vecchio rapporto di dipendenza (tuttora in atto) della montagna dai poli urbani esterni si è affiancato e in parte sostituito un rapporto interattivo1 basato sul riconoscimento delle potenzialità ambientali, socio-culturali e produttive dei retroterra montani, che cominciano così ad essere percepiti come poli attrattivi, diversi nei contenuti da quelli metropolitani, ma complementari e interdipendenti nei valori2. Va precisato che il concetto di sistema territoriale metromontano non si riferisce a realtà già esistenti, ma a situazioni in cui ci sono le precondizioni per attuare politiche pubbliche rivolte a incrementare interazioni virtuose già in atto e a regolarle, anche con strumenti pattizi e di pianificazione strategica, nell’ambito di una governance multilivello3. Quindi sono sistemi territoriali da costruire4, che non hanno dimensioni né confini prestabiliti. La loro realizzazione è affidata a una visione comune di area che deve emergere «endogenamente dal confronto tra società e istituzioni»5.
In Italia le premesse più evidenti per la formazione di sistemi territoriali metromontani le troviamo in quelle città metropolitane (12 su 14) che comprendono territori montani entro i loro confini amministrativi. Ma questi confini, ereditati dalle precedenti province, non sono affatto vincolanti. Ci sono casi in cui l’interazione diretta con le metropoli li supera e altri in cui – come si vedrà nel paragrafo successivo – tale rapporto è mediato da città di vario rango. Queste situazioni sono numerose in Italia, dove sono una novantina i capoluoghi di provincia e i comuni con più di 50000 abitanti (di cui 25 superano i 100000) che distano meno di 15 km dal bordo di un’area montana. Anche nel resto dell’Europa sono numerose le metropoli e le città disposte lungo i margini di quel 30% del territorio comunitario classificato montano. L’importanza delle situazioni metromontane non è sfuggita alla Strategia macroregionale alpina (Eusalp), che nel suo primo pilastro (Developing Alps) raccomanda di «diversificare specifiche attività economiche nell’ottica di una mutua solidarietà tra aree montane e aree urbane».

2. La metromontagna alpina italiana.

Il versante meridionale della catena alpina (cfr. anche le mappe nel capitolo di Lanzani e collaboratori) ricade nell’area di influenza di quattro città metropolitane: Genova, Torino, Milano e Padova-Venezia. Queste città sono anche capoluoghi di regioni che comprendono vasti territori alpini. Le loro relazioni con questi territori sono di tipo diretto per quanto riguarda i servizi ecosistemici di approvvigionamento idrico (le acque superficiali e le falde sotterranee a cui attingono sono in gran parte alimentate dai deflussi montani), la regimazione dei corsi d’acqua e i servizi ecosistemici detti culturali. Per il resto sono largamente mediate da rapporti funzionali e istituzionali con centri urbani situati sui bordi o all’interno della catena. Ad esempio Milano, in quanto sede della Borsa valori dove è quotata la Banca popolare di Sondrio, ha un rapporto indiretto – mediato appunto da Sondrio – con i comuni della Valtellina e della Valchiavenna, sedi di succursali di questa banca. In tutte le Alpi troviamo aziende che si valgono di servizi offerti da centri intermedi, assieme ad altri presenti nei centri metropolitani. Ad esempio la S.p.A. Acque Sant’Anna ha una sede legale e produttiva nel comune montano di Vinadio in provincia di Cuneo e una sede commerciale a Torino. Non mancano anche importanti relazioni metromontane dirette: ad esempio, l’Università della Montagna (Unimont) che ha sede a Edolo in Val Camonica è un’emanazione dell’Università di Milano. La sede operativa di Luxottica è ad Agordo, nella montagna bellunese, ma il suo quartier generale è a Milano. E gli esempi potrebbero continuare.
In questo modo tutto l’arco alpino meridionale può considerarsi in varia misura metromontano, in quanto intrattiene relazioni dirette e indirette con i centri metropolitani antistanti. La trama di queste relazioni fa da sfondo a una geografia a supporto di azioni, strategie e politiche miranti a ridurre le dissimmetrie tra le condizioni di vita montane e metropolitane. Essa può essere sinteticamente delineata a partire da due caratteri tra loro correlati: il rapporto più o meno diretto dei territori montani con i centri metropolitani e il loro grado di autonomia funzionale e istituzionale. La prima registra situazioni di fatto stabili nel breve-medio periodo. La seconda ci informa sulla forza contrattuale degli attori collettivi montani nei confronti dei poteri metropolitani.
Nella mappa 1 la prima condizione è messa in evidenza dalla distribuzione dei centri urbani di diverso livello gerarchico. La seconda dipende dal livello istituzionale e funzionale delle reti urbane interne. Mentre la conformazione pianeggiante della pianura favorisce le reti urbane non gerarchiche, estese in tutte le direzioni attorno alle grandi concentrazioni urbane e periurbane del pedemonte, la morfologia valliva della montagna ha ristretto le interazioni non gerarchiche allo sbocco di alcune valli e ad allineamenti più o meno ramificati lungo gli assi di fondovalle, per cui in essi l’offerta di servizi ha conservato nell’insieme una distribuzione geografica centro-lineare di tipo gerarchico (figura 1).
Metromontagna
Mappa 1. La rete metromontana delle Alpi italiane.
Fonte: elaborazione grafica di Ettore Donadoni.
Metromontagna
Figura 1. Reti di offerta e domanda di servizi in Piemonte e Lombardia.
Fonte: Dematteis - Emanuel 1992.
Alla scala dell’intera metromontagna alpina italiana questa gerarchia si articola in cinque livelli6. Partendo dall’alto abbiamo: I) i capoluoghi metropolitani; II) i capoluoghi di regioni o province autonome; III) i capoluoghi di province ordinarie e montane7 comprese almeno in parte nella zona alpina; IV) le città minori di livello sub-provinciale8; V) principali comuni montani con alcune funzioni di rango urbano9.
In termini di autonomia si distingue anzitutto una metà circa del territorio alpino (53,2% della superficie, con il 49,7% della popolazione) occupato da sistemi che possiamo chiamare endocentrici in quanto dotati di autonomia politico-amministrativa e anche funzionale grazie alla presenza di reti e filamenti urbani interni, facenti capo a capoluoghi di regioni e province autonome (II livello) e a capoluoghi di province montane (III livello).
Nel restante territorio alpino si riscontrano due situazioni principali. La più comune (presente su circa un terzo del territorio alpino italiano) è quella di valli e conche lacustri che hanno forti legami con centri pedemontani di III o di IV livello situati al loro sbocco, formando con essi sistemi che possiamo chiamare sub-centrici10. Molte di queste valli si possono considerare anche debolmente endocentriche, in quanto hanno al loro interno uno o più centri di IV o V livello11, che in alcuni casi sono a capo di reti e urbanizzazioni assiali interne di livello corrispondente. Rimane infine un 15% circa del territorio alpino privo di centri urbani interni o di sbocco pedemontano, che gravita su centri per lo più di III livello posti a una certa distanza nella pianura padana o sulla costa nel caso della Liguria.
Per quanto riguarda l’integrazione metromontana, hanno particolare importanza le situazioni vallive sub-centriche per il ruolo svolto dalle città poste al loro sbocco come centri di servizi e di opportunità di lavoro. Nel secolo scorso gli interessi di queste città si sono rivolti soprattutto verso l’avampaese pedemontano, più popolato ed economicamente forte. La nuova centralità ambientale e socio-culturale della montagna può ridurre questa dissimmetria e i sistemi vallivi sub-centrati possono diventare territori oggetto di politiche fondate su alleanze pattizie con le città e le metropoli vicine (come nel caso di Cuneo illustrato più avanti), tanto più nei casi in cui essi possano appoggiarsi a una rete urbana minore al loro interno.

3. Il caso di Torino.

La montagna alpina nord-occidentale soggetta all’influenza della metropoli torinese (nella parte orientale condivisa con quella di Milano) presenta tutta la gamma di situazioni sin qui descritte. Essa comprende una regione autonoma (la Valle d’Aosta), una provincia montana (Verbano-Cusio-Ossola), vari sistemi vallivi sub-centrici, tra cui alcuni con al loro interno centri urbani minori. Inoltre nei confini amministrativi della città metropolitana di Torino ricade un vasto territorio montano i cui legami diretti con la metropoli torinese rendono possibile la formazione di un sistema territoriale metromontano. Una parte di tali legami è stata oggetto di una ricerca svolta dall’Associazione Dislivelli12. In particolare, si è ricostruito l’interscambio di beni e servizi tra due territori in cui è stata divisa la città metropolitana: la parte montana, che conta 150 comuni con circa 280000 residenti, e l’area urbanizzata antistante (qui di seguito chiamata «città»), che ha pressappoco altrettanti comuni, in cui risiedono circa due milioni di abitanti.
Sotto l’aspetto economico le voci di questo interscambio (tabella 1), in ordine decrescente d’importanza, sono: il lavoro pendolare, i beni e i servizi che la città fornisce ai residenti e a imprese ed enti vari della montagna, la villeggiatura e i servizi turistici, i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento, l’acqua utilizzata dalla città (quasi tutta di provenienza montana). Scarsa incidenza ha invece la produzione mineraria ed energetica della montagna (in quanto prevalentemente destinata ad altri territori) e quella del legname, a causa del sottoutilizzo delle risorse forestali. I dati dell’interscambio mostrano un saldo di 276 milioni di euro a vantaggio della città e questo disavanzo risulterebbe ancora maggiore se tenessimo conto di flussi intangibili, difficili da rilevare, come quelli mediati da istituzioni e imprese finanziarie (banche, assicurazioni ecc.), i profitti e le rendite degli investimenti della città in montagna ecc.
Tabella 1. Città metropolitana di Torino.
Valori medi annui dei principali scambi di beni e servizi tra l’area montana (montagna) e il restante territorio metropolitano urbanizzato (città) (in milioni di euro).
...
Principali voci dello scambio
Dalla «città» alla montagna
Dalla montagna alla «città»
Scambi della montagna con altri territori
Lavoro
979
344
4%
Beni e servizi per le famiglie
661
21%
Beni e servizi per le imprese
572
26%
Turismo e villeggiatura
213
36%
Produzioni agro-pastorali
56
75%
Acqua
32
57%
Prodotti di cave e miniere
16
75%

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