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L'assistente sociale 2.0. Politiche e lavoro sociale di comunità
Informazioni su questo libro
Questo testo è un invito a scoprire/riscoprire il rilevante ruolo dell'assistente sociale nei processi di prevenzione e di educazione, nell'emancipazione delle fasce più deboli delle comunità, nel rafforzamento delle pari opportunità fra esseri umani, nel ribaltamento delle tradizionali logiche tecnico-professionali, che impongono di guardare non solo ai bisogni dell'utente, ma anche alla comunità come risorsa, nella quale i cittadini esprimono tutte le proprie potenzialità.
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Informazioni
Argomento
Scienze socialiCategoria
Studi di generePARTE III
Metodi, Tecniche e Strumenti operativi per formare comunità competenti
La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nel processo di cambiamento, nell’uso delle risorse proprie e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione.
Codice deontologico dell’assistente sociale, 2009
8.
Essere “sociali” nel nome: quali metodologie
Questo testo è quasi completamente focalizzato sulla dimensione comunitaria del Servizio sociale professionale. Non è un caso. Come evidenziato anche in precedenza, al contrario di quanto comunemente si pensi, è nella comunità locale che il ruolo dell’assistente sociale esprime/può esprimere al massimo la propria specificità e originalità: mentre la reazione di aiuto con il singolo utente è un terreno comune che condividiamo con molte altre professioni socio-sanitario-educative, la dimensione comunitaria ci vede ancora fra i principali e pochissimi protagonisti.
Ma come accompagnare le comunità locali e la nostra stessa professionalità nel passaggio dai punti di debolezza/rischi ai punti di forza/opportunità, che come abbiamo visto, non sono certo esigui? Come cogliere i mutamenti nei temi giusti? Come facilitare la partecipazione delle comunità locali in un’ottica di welfare generativo? Come lavorare diminuendo i rischi professionali?
Abbiamo a disposizione metodi professionali tradizionali – che, tuttavia, necessitano di una re-interpretazione più attuale ed efficace – e metodi decisamente innovativi, tutti da apprendere e sperimentare.
Ho individuato quattro metodi da re-interpretare, approfondire, padroneggiare più e meglio di altre professioni, indispensabili e funzionali al lavoro di comunità: il networking, i processi partecipativi, la documentazione professionale e la valutazione.
8.1 IL LAVORO DI RETE/IN RETE O NETWORKING OGGI
Lavoro di/in/della rete
Com’è noto la “rete” è una metafora che indica un modello sistemico di organizzazione sociale. Contestualmente essa è anche un approccio metodologico complesso, che sottende gran parte del lavoro dell’assistente sociale e merita, quindi, un approfondimento particolare già nelle definizioni. Pertanto ritengo opportuno utilizzare anche qui alcuni contributi della sociologia e dell’antropologia culturale. Ad esempio, Fabio Folgheraiter afferma:
Diciamo allora che il soggetto vero, nel lavoro sociale, non è un operatore o una istituzione, ma è sempre una rete, cioè un insieme di attori collegati. […] Definiamo come lavoro di rete innanzi tutto questa azione di raccordo, uno sforzo diretto a facilitare i sincronismi, le sinergie, ecc. tra i molteplici poli – formali/informali – coinvolti concretamente nell’aiuto a una singola persona o a una categoria di persone con problemi. Accanto a questo sforzo di sincronizzazione degli aiuti sul singolo problema, il lavoro di rete prevede anche un’azione di supporto alle reti già esistenti […] e un’azione di estensione della rete, cioè lo sforzo di attivare […] nuovi soggetti disponibili a collocarsi nella rete come ulteriori poli per l’aiuto1.
Di seguito l’autore specifica che tali nuovi apporti sono da ricercare fra le reti informali della comunità locale, come le famiglie, i vicinati, le relazioni condivise nelle strade o nelle piazze, l’associazionismo. Le reti informali si contrappongono a quelle formali, nelle quali i punti (soggetti) sono collegati gli uni agli altri da vincoli non naturali/spontanei, ma stabiliti da codici ufficiali/imposti, come accade per le reti fra dipendenti di un’organizzazione o fra istituzioni diverse. Appare importante anche il seguente passaggio: “Il lavoro di rete prevede soprattutto che […] un notevole ruolo venga svolto dalle stesse persone portatrici del problema”2.
L’antropologia culturale ci ricorda che le reti sociali sono organizzazioni antichissime, proprie sia delle società semplici sia delle società complesse, e propone di definire rete “quel campo delle relazioni sociali, costituito dalla parentela, dall’amicizia e dalle conoscenze personali”3. Si tratta quindi di legami potenzialmente infiniti, concatenati gli uni agli altri, nei quali le persone giocano ruoli, status, sentimenti e manipolazioni.
Gli studi sulla rete/sulle reti e l’analisi sul funzionamento della rete (network analysis) sono di origini americane e nord europee. Numerosi sono gli studiosi e gli autori che si sono occupati di questo modello organizzativo, fra i quali spiccano J. Moreno, B. Malinowski, A. Radcliffe-Brown, C. Levy-Strauss, M. Gluckman, J.A. Barnes, E. Bott.
In particolare John A. Barnes grazie alla storica ricerca sul casostudio di Bremnes – una piccola comunità norvegese di pescatori e contadini – poté sperimentare la network analysis su una comunità civile, evidenziandone i legami di parentela, conoscenza, vicinato, amicizia, le differenze sociali, le relazioni, le interazioni. Dalla sperimentazione egli ricavò la definizione valida ancora oggi secondo la quale la rete è un insieme di punti congiunti da linee; i punti rappresentano persone e anche gruppi e le linee indicano quali persone siano in relazione con le altre. Personalmente, al termine “punto” preferisco “nodo”, che implica anche la complessità intrinseca dei punti stessi.
La network analysis utilizzata e perfezionata anche da altri autori, come Elisabeth Bott, ha consentito l’individuazione di alcuni caratteri costitutivi della rete, come la morfologia (in quale disposizione si trovano i punti della rete? E un punto particolare rispetto agli altri?), la connettività (quanto è intensa la rete?), l’informalità/la formalità (reti spontanee/reti codificate), la materialità/l’immaterialità (reti fisiche/reti virtuali), l’ampiezza (quanto è vasta la rete?), le interconnessioni ad altre reti, la settorialità, la chiusura/autoreferenzialità, il grado di complessità e di reciprocità.
Come muoversi all’interno di questo modello?
L’assistente sociale ha un forte ruolo nelle diverse modalità del lavoro con le reti (che l’inglese semplifica molto col termine networking). Tuttavia, come evidenziato anche da Folgheraiter, è corretto ed esaustivo distinguere il networking in questo modo: lavoro in rete, lavoro di rete e lavoro della rete. È opportuno ricordare che ogni intervento con la rete muove da una ricerca dei caratteri propri del territorio e della comunità nei quali operiamo: è necessario lavorare non solo “nel territorio e con la comunità”, ma nella storia, nella geopolitica, nei dati statistici, nei tratti culturali degli stessi. Tale ricerca produce la “mappa del territorio”, documento in continuo aggiornamento indispensabile per censire bisogni, risorse, servizi. Nella mappa sono annotati tutti i riferimenti, le ubicazioni, i recapiti utili, eventuali orari di apertura, qualità dei contatti, i feed-back ricevuti dai contatti, dai “nodi” della rete ossia dalle persone fisiche e dai servizi/agenzie del territorio: gli assistenti sociali più esperti conoscono bene le potenzialità di una buona “mappa del territorio” nelle fasi operative del proprio servizio.
Il lavoro in rete rappresenta il primo livello di coinvolgimento dell’operatore nella rete stessa, che in questa dimensione si muove “in orizzontale”, nodo fra i nodi, contribuendo con il proprio know-how al buon funzionamento della rete, rispettando i limiti del mandato istituzionale e la mission del proprio ruolo professionale.
Nel lavoro di rete l’assistente sociale assume un ruolo più “esterno” rispetto agli altri nodi: il professionista diventa una sorta di “regista”, che consente la facilitazione dell’incontro e degli scambi positivi fra nodi e reti diverse. Come evidenzia ancora Folgheraiter, esiste anche un funzionamento autonomo, auto-regolato, delle reti, che l’autore indica come lavoro delle reti, verso il quale l’assistente sociale può avere un ruolo di supervisione e, eventualmente, di rettifica.
Quali sono i problemi e le trappole in cui le reti possono cadere e che l’intervento tempestivo e competente dell’assistente sociale può contribuire a evitare?
La rete può fallire per molte ragioni. Le più ricorrenti sono: insufficienza quantitativa (non è sufficiente rispetto alla complessità del problema/del settore di intervento); insufficienza qualitativa (non è ben curata/manutenuta); insufficienza di connessione/interruzione/trasparenza (vi sono problemi di informazione, comunicazione, relazione fra due o più nodi); insufficienza di percezione (i nodi non sono stati adeguatamente sensibilizzati all’importanza della rete rispetto al tema); eccessiva rigidità (troppi “protocolli d’intesa”, procedure lunghe e complicate); eccessiva debolezza (spontaneismo, estemporaneità, emotività); squilibrio logistico (eccessiva concentrazione in uno dei settori della rete o in uno dei territori coinvolti o fra centro-periferia).
Negli ultimi anni, le tecnologie informatiche hanno contribuito a una potente e rapidissima diffusione del “concetto” di rete: basti pensare all’uso gigantesco di social media come Facebook, Twitter, Instagram, ecc.
Si tratta di reti che, benché immateriali, virtuali, rispondono/devono rispondere a precisi canoni come la fiducia, il rispetto, la tutela della privacy: esse stanno abituando le grandi masse, più o meno consciamente, a “ragionare per reti”, una modalità finora ristretta ad alcune specifiche categorie professionali. Indubbiamente questo rappresenta una grande rivalutazione del concetto di rete e, soprattutto, del capitale sociale che, in quanto componente essenziale della rete di relazioni, è la risorsa necessaria per mobilitare la comunità verso un obiettivo condiviso. Tuttavia è bene che l’assistente sociale sia consapevole anche delle principali distorsioni e dei rischi nei confronti dei quali può incorrere il cittadino più indifeso, come i minori, gli anziani, i disabili.
Inoltre, anche sul piano lessicale, è opportuno che queste reti siano definite correttamente con l’espressione “social media” e non con “social network” come erroneamente e purtroppo spesso si dice: il social network (lavoro sociale) è quello degli operatori, non quello che si fa nelle chat!
8.2 COMUNITÀ, EMPOWERMENT E PROCESSI PARTECIPATIVI
Comunità competenti ed empowerment
Per affrontare le metodologie di empowerment di comunità è necessario intendersi sugli elementi fondativi dell’idea di comunità. La letteratura filosofica, antropologica, sociologica sul concetto di comunità è immensa e ha radici molto lontane; non è questa la sede per spaziare nelle innumerevoli connotazioni della stessa. Tuttavia è necessario che assumiamo una definizione sintetica e preliminare, al fine di introdurre e descrivere le metodologie dell’empowerment e dei processi partecipativi.
Quindi, in questa sede, consideriamo la comunità come un sistema umano complesso e dinamico, di dimensioni variabili, nel quale i singoli individui condividono il medesimo contesto spaziale (ossia il territorio, i luoghi, le risorse naturali); il medesimo contesto temporale (ossia una storia comune); gli stessi fondamenti culturali, costituiti dalla storia, lingua, sistemi simbolici, riti, miti, arti, giochi; i sistemi di regolazione della convivenza civile, come le norme, i valori etici, il livello di capitale sociale, le strategie di sopravvivenza; il comune senso di appartenenza, di solidarietà, di reciproco ri...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Dedica
- Prefazione – Una sfida culturale, professionale e sociale
- Presentazione
- Introduzione – Una professione creativa e, soprattutto, sociale
- PARTE I – Cenni sulle politiche sociali in Italia
- PARTE II – Nuovi orizzonti e strategie del Servizio sociale di comunità
- PARTE III – Metodi, Tecniche e Strumenti operativi per formare comunità competenti
- Conclusioni
- Bibliografia
- Sitografia