Insegnanti in regola
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Insegnanti in regola

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Insegnanti in regola

Informazioni su questo libro

In classe, la spiegazione. L'atmosfera è silenziosa, se va bene. La voce di un professore che ripete meccanicamente frasi e istruzioni dette nello stesso modo a generazioni di ragazzini.Che noia!Il problema ha due rovesci.Il primo riguarda la competenza didattica del docente, la metodologia di insegnamento utilizzata, la sua capacità di ottenere, suscitare motivazione e attenzione per quanto insegnato.Il secondo riguarda la triade, noia-controllo-disciplina, cioè da una parte il modo in cui un docente opera per il raggiungimento di livelli di disciplina accettabili, in relazione al numero e all'età degli alunni, dall'altra il modo dei ragazzi di riconoscere, affrontare e rendere socialmente non troppo distruttivo, il sentimento di noia eventualmente provato.I due aspetti sono strettamente correlati. La competenza di un docente nell'agire sul grado di motivazione degli alunni ha un impatto rilevante sugli aspetti disciplinari. Meno una persona si annoia, più è stimolata verso scopi, obiettivi, attività, elementi di interesse e coinvolgimento, e meno sarà esposta alla possibilità di "inventare" una serie di attività alternative nelle quali convogliare la naturale energia presente nell'età della crescita.Come dimostrano queste pagine, ricche di riflessioni metodologiche e spunti esperienziali, una figura significativa, che agisca sulla motivazione e non solo sulla disciplina, che attribuisca senso e vita agli argomenti condivisi lungo il percorso scolastico, produce una ricaduta certa anche in termini comportamentali.Con questi docenti, gli studenti fanno cose decisamente differenti.

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Informazioni

Educare o mediare

Essere o non essere

La camminata decisa, quasi frenetica lungo il corridoio che porta alla sala professori, lo sguardo teso, rivolto verso il basso. La mano tesa in avanti prende con forza la maniglia della sala, e dopo un attimo la porta si richiude sbattendo.
I professori presenti in sala sono disseminati nei vari posti: schedario, macchinettà per il caffè, scrivania, e all’ingresso improvviso e rumoroso, rivolgono il viso con lo sguardo stupito verso il nuovo entrato. Tutti sono in silenzio, ma lo sguardo che gli rivolgono, è interrogativo, sembra chiedere: “Cosa è successo?”.
“Fanculo, non li reggo più quegli stronzi… Non li posso più vedere… Non li voglio più vedere! Ma dai… non, non, non ha nessun senso, non serve a niente, sono lì che ti guardano… come… come fossi una sedia, intanto che cerchi di insegnarli un… un minimo di qualcosa… Ma che ci restino nella merda! Stiano dove stanno che io non li vado a cercare… figurati …”
I colleghi si avvicinano lentamente quasi con senso di accudimento, di utero protettivo.
“Ma sono di una cattiveria… sono di una malafede… e sempre lì a cercare di fregarti… E andate ragazzi, andate. Restate lì nei vostri quartieri di merda. Per tutta la vita, restateci, che questo è quello che meritate! E adesso vado dal preside e gli dico che in quella classe, io non c’entro più fino alla fine dell’anno. Questo è. Niente più tecnica da qui a fine anno, chiuso… tanto… la tecnica… sono tre mesi che ho cominciato e non hanno fatto nemmeno un secondo… nemmeno un secondo hanno fatto tecnica. No, ma… le avete viste le cose che fanno in cortile… non lo so… sembrano in calore… si saltano addosso e urlano come delle bestie selvagge… se ne fregano loro… e pure a lezione, pure a lezione… ho Kevin che passa tutta l’ora a fare yeh, yeh, yeh, (storpia la bocca da un lato con suono da cornacchia) … mai vista una cosa così in cinque anni che insegno, mai vista. Eh… basta… cioè… mica siamo dei cani alla fine…”
Lo sguardo fisso sul pavimento, fa una lunga pausa di silenzio, nella quale vengono inquadrati i volti dei colleghi. Le loro espressioni sembrano dibattute tra la comprensione del collega, e il ricordo di quanto accade a loro, nelle classi.
“Scusatemi… è che sono… che idiota…”.
Gli si avvicina un collega, con l’espressione del viso che manifesta tutta la comprensione per lo sfogo e prendendolo affettuosamente per un braccio gli dice: “Usciamo un po’… ti va?”.
Il brano in questione è una trascrizione letterale di un passaggio del film francese “Entre les murs – La classe”, che ripresenta in modo più o meno fedele gli avvenimenti di una vera storia di classe in un istituto superiore francese.
Il linguaggio è crudo, ma molto rappresentativo dello stato d’animo che alberga in situazioni simili nell’animo di un professore. Non è cosa rarissima che avvenga.
Film molto interessante, per vari motivi. Il primo è che, pur essendo una ricostruzione, ripresenta in modo abbastanza fedele ciò che nella realtà avviene con sempre più frequenza nelle scuole. Qualcosa di molto simile al racconto di inizio libro, quello del docente che, nel Centro di Formazione Professionale, impiega un intero anno per costruirsi le condizioni minime per insegnare alcune informazioni della disciplina.
In secondo luogo, offre molte occasioni per riflettere e osservare, come in uno specchio, il modo di agire dei docenti, correlando il loro operato ad un aumento o ad una riduzione della quantità e della qualità delle problematiche presenti nella dinamica di una classe a rischio.
Il film offrirebbe molte più occasioni di apprendimento di tutte quelle griglie sugli stili di conduzione della classe presenti su testi universitari o su articoli e pubblicazioni varie, che nessun docente si prende la briga di fare e approfon-dire come analisi professionale su ruolo e competenze, o personale su atteggiamenti, orientamenti e schemi di riferimento. In genere, tali tabelle, servono solo a chi le studia o fa ricerca. È molto evidente, osservando e ascoltando le situazioni, frase per frase, come il comportamento del docente influisca in misura rilevante su ciò che avviene.
E se leggendo il brano tratto da questo film, qualcuno pensasse che quello rappresentato è un “caso estremo”, sarebbe proprio fuori onda. È molto più frequente di quanto si pensi. Ecco un altro caso di “emergenza educativa”.
Ma il problema, in questo caso e spiace dirlo perché il contrario farebbe molto più comodo, non sono i ragazzi di quella classe, è la storia di un tessuto sociale che si è modificato nel tempo e che ha subito alcune influenze di tipo rilevante, che hanno cambiato il mondo educativo adulto. Lì sta una parte rilevante del problema. Un tempo i bambini e i ragazzi non avevano diritto di parola. Questo “golpe”, era per gli adulti giustificato dalla loro carente esperienza di vita.
Un tempo i bambini e i ragazzi ascoltavano disciplinati, soprattutto per timore delle conseguenze, per paura.
Un giorno, un bel giorno, si decise di dare loro maggiore attenzione, si decise di ascoltarli maggiormente, si tolse ogni tipo di strumento per incutere paura. Un gesto di diritto riconosciuto, libertà e democrazia.
Oggi, chi ha concesso questa libertà, si lamenta in modo rilevante del cattivo uso che bambini e ragazzi fanno del dono che gli è stato fatto.
Tutte le figure rappresentative, da questo punto di vista, sono in crisi. Persino i medici di medicina generale (il medico di famiglia, per capirsi), lamentano il fatto che i pazienti “non sono più quelli di una volta”: esigono, contestano, esercitano diritti su tutti i fronti, anche quando non ne hanno affatto.
Il diritto al certificato di malattia è sacrosanto, anche se falso. Il diritto ad una prestazione specialistica è sacrosanto, e guai al medico che contesta con suo parere professionale la richiesta. Per molti pazienti, il medico è diventato come un distributore di preservativi, per lo meno così molti di loro si percepiscono.
Un tempo, silenzio, rispetto, disciplina e ascolto, erano atteggiamenti e comportamenti di tipo “gratuito” che una classe attuava, frutto di una strutturazione sociale adulta maggiormente omogenea e garante da questo punto di vista. Oggi è tutto “da guadagnare”, con sudore, fatica, dispendio di energie.
Da qui l’accumulo di tensioni e stress, oggi più che mai presente a livelli di guardia nel nostro sistema scolastico. Da qui lo sfogo del professore, che potrebbe dar voce a molti altri lettori identificatisi nella situazione.
Oggi guadagnarsi ciò che un tempo era gratuito richiede maggiore competenza. La semplificazione prodotta in questo testo, riduce la questione della competenza a due concetti: contenimento e carisma.
Se il guaio è un uso disfunzionale della libertà concessa o acquisita da parte degli studenti, la soluzione non è nel biasimo, nella riprovazione, nel giudizio di bambini e ragazzi, attori inconsapevoli di queste riflessioni. La soluzione è nel recupero della capacità di contenimento del mondo educativo adulto.
Se il guaio è la mancanza di rispetto e confine, di ruolo, di contesto, la soluzione è nell’aumento di competenza della dimensione “carismatica” di un educatore, nella capacità di rappresentare figura significativa, non utilizzando appositamente per ora il termine “autorevole” per quanto di riduttivo comporta, e che verrà ripreso nel capitolo “Una scuola carismatica”.
“Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d’animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell’iniqua fortuna, o prender l’armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli.”
“Obbedienza o responsabilità, questo il dilemma: se sia più saggio sopportare i disagi, le sofferenze, le fatiche del crescer discenti combat-tenti, sperando nel futuro e nel destin che crescer li faccia, o prender l’armi contro un mare di furie scatenate, e combattendo render la plebe docile e obbediente.”
Inutile continuare a sostenere la validità di uno dei due approcci (legale e morale), in alternativa o in opposizione all’altro, e battagliare ideologicamente per l’una o l’altra prevalenza. Piuttosto si tratta di capire come far sì che il matrimonio iniziale si trasformi in una felice unione nel quotidiano, banco di prova sul quale tutte le coppie si cimentano.
I due sposi sono già citati: contenimento e crescita, obbedienza e responsabilità, motivazione estrinseca e motivazione intrinseca, approccio legale (normativo), e approccio morale (educativo).
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Fig. 12 - “Siamo qui” nello schema di riferimento
Senza “contenimento” (approccio legale) le cose si mettono male. Senza “crescita” (approccio morale) le persone diventano oggetti.
Del contenimento se ne è occupato il capitolo precedente, che ha trattato l’approccio legale, cioè il modo di gestire e organizzare le sanzioni in funzione di eventuali trasgressioni di regole. Della crescita, cioè della possibilità di operare in termini di responsabilità, favorendo la disciplina come gesto di scelta personale e mosso da una motivazione di tipo interiore, tratteremo in questo capitolo, incontrando differenti figure. Le prime tre, Predicatore, In-Segnante, Maieuta, saranno collocate nell’Area di Prescrizione, come possiamo ricordare dallo “Schema di riferimento”. La quarta, il Mediatore, sarà collocata nell’Area di Discrezione.

Definiamo un territorio

Per non rimanere solo e sempre in una dimensione di tipo teorico, cerchiamo di vedere l’applicazione delle differenti figure, ad una tematica specifica.
Considerato che la finalità dell’Area di Prescrizione è la seguente: Giustificazione della regola cioè favorire l’interiorizzazione di valori e orientamenti che motivano la regola, puntando così sulla responsabilità e sulla capacità di bam-bini e ragazzi di operare scelte, riprendiamo un tema caldo che ben si presta all’esperimento in corso, tema descritto parlando di sanzioni collettive.
Legalità, dunque, soprattutto vincolata alla responsabilità personale su fenomeni di bullismo, atti vandalici, cittadinanza attiva. Nel particolare il motto o l’atteggiamento da promuovere è l’esatto contrario dell’omertà: vedo, sento, parlo.
Come già detto, è molto difficile che un insegnante, come una normale persona, si metta a leggere un libro come questo o un articolo di rivista, e metta in pratica gli esercizi proposti: osservare il proprio operato con una griglia di lettura, scegliere e descrivere il proprio stile di insegnamento, tenere un diario di bordo per comprendere la gestione di eventi di crisi e quant’altro.
Però, se il lettore non vuole farlo per iscritto, almeno provi a pensare per qualche minuto, a quali sono le cose, le parole, le occasioni che offrirebbe alla sua classe, in qualsiasi ordine e grado di scuola svolga la sua attività, per promuovere le tre parole: vedo, sento, parlo.
“Se io volessi promuovere nella mia classe le tre parole, sento, vedo, parlo, farei o direi …”
Ora che il territorio è definito con precisione, che gli elementi dell’esperimento sono stati pensati dal lettore, che l’attenzione e la motivazione di chi sta leggendo sono leggermente salite, possiamo dar via alla danza dei tre moschettieri: incontrarli, conoscerli, riconoscerli nel proprio modo di fare e dire, e comprendere se quello maggiormente gettonato non possa esser accompagnato dagli altri, in modo da aumentare le possibilità di vittoria: “Tutti per uno, uno per tutti!”.

Il Predicatore

La stanza è abbastanza piccola, ma affollata, cinque metri per cinque, una ventina di genitori. All’epoca sono direttore di una Comunità di Recupero per Tossicodipendenti, verso la fine degli anni ‘80, una delle tante che in Italia sono sorte sull’onda del fondatore, don Mario Picchi, deceduto nel maggio 2010 ideatore del percorso con nome “Progetto Uomo”.
Oltre alle attività che vengono svolte con i “ragazzi” residenti, ne vengono fatte altre di collaterali, ad esempio con i genitori, nelle varie fasi del programma terapeutico.
Da poco tempo c’è stato un nuovo ingresso in comunità e, come normalmente avviene, l’inserimento è graduale e fatto di piccoli passi di introduzione al “lavoro personale”. La conoscenza è il caposaldo di questo “inserimento”.
Mi capita con frequenza di parlare con Antonio, e in uno dei tanti momenti di dialogo, emerge l’argomento genitori, madre in particolare. La cosa che mi colpisce di quel racconto, è quanto nella sua memoria la madre sia rimasta impressa per il suo modo di esprimersi, ovviamente in ter-mini non proprio positivi.
Nelle cose che dice, nelle frasi che nel tempo hanno fatto da sfondo alla loro relazione, Antonio descrive una persona che non può fare a meno di citare proverbi. Per ogni frase che dice, declama il proverbio opportuno e adeguato. Per lui la cosa è risultata nel tempo assai pesante, per vari motivi personali.
Ora sono in quella stanza e per la prima volta nel gruppo dei genitori, sono presenti proprio la mamma e il papà di Antonio. Due simpatiche persone.
Non mi ricordo subito di quanto sentito dal racconto del figlio pochi giorni prima. Saluto, scambio le solite battute un po’ con tutti, poi, quando il gruppo è un po’ avviato, do il benvenuto ai nuovi arrivati, e li invito, se vogliono, a condividere questo momento di distacco, visto che nella prima parte del programma terapeutico il figlio rimane tutto il giorno in famiglia, mentre all’arrivo in Comunità c’è un distacco che dura anche diversi mesi.
Per primo parla il padre, che racconta qualche aneddoto e scambia due parole anche con gli altri genitori che conosce già da tempo, poi, invitata, inizia a dire qualcosa anche la madre.
“Cosa volete che vi dica, se siamo in ballo, balliamo. Ormai è un bel po’ di tempo che stiamo soffrendo, ma la speranza è l’ultima a morire. Ce ne ha fatte passare tante sto figliolo, ma come diceva mia nonna, non c’è mai un male che non sia un bene, per questo sono contenta di essere qui, è una cosa che non avrei mai fatto, non avrei mai conosciuto tanta gente e avuto tanta solidarietà. L’ho sempre detto a mio figlio parlando delle sue compagnie: chi va con lo zoppo, impara a zoppi-care, ma lui non mi ha mai voluto ascoltare, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.”
Rido ancora oggi che queste cose le scrivo, a distanza di più di vent’anni. È micidiale, non può farne a meno, aveva proprio ragione Antonio, è un proverbio vivente questa donna. Non vorrei darle nuovamente “il là”, ma tocca proprio, è un compito e anche un piacere sostenere queste persone in un passaggio di vita delicato, quale l’essere genitore di un figlio tossicodipendente, quindi le chiedo: “E com’è ora con la casa vuota… Vi spiace che sia andato immagino…”.
“Beh, un pochino, ci eravamo abituati ad averlo ancora con noi, però è meglio così, occhio non vede, cuore non duole. E poi è giusto che la cosa vada per gradi, sarebbe stat...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione
  3. La gestione della classe
  4. Il tempo delle regole
  5. Prescrizione e discrezione
  6. Trasgressioni e sanzioni
  7. Educare o mediare
  8. Una Scuola “carismatica”
  9. Patto educativo di corresponsabilità: dall’Io al Noi
  10. Bibliografia