capitolo 1
DA DOVE NASCE QUESTO TESTO
Avevo 21 anni, il 6 agosto del 1991, quando Sir Tim Berners-Lee (1), un allora sconosciuto ricercatore del CERN di Ginevra, mise online su internet il primo sito web della storia. Internet esisteva già da tempo, addirittura da prima che io nascessi. Era il 1969, infatti, l’anno dello sbarco dell’Apollo 11 sulla luna, quando l’Arpa (Advanced Research Project Agency, oggi DARPA) diede vita ad Arpanet, iniziando ad utilizzare quei protocolli che ancora oggi fanno funzionare internet: TCP/IP (Transfer Control Protocol/Internet Protocol).
Poi Arpanet fu perfezionata e, all’inizio degli anni ‘80, internet prese definitivamente il nome con cui oggi la conosciamo. Fu un parto lungo quasi 3 lustri, dagli ambienti militari di ARPA (che nel 1972 aggiungerà la D di Defense al suo acronimo, trasformandosi in DARPA) fino alla società civile, ma ci vorranno ancora una decina d’anni prima che questa tecnologia sia matura per arrivare davvero a tutti, infrastrutture permettendo.
Per arrivare a questo si dovette attendere il capolavoro di Berners-Lee: il World Wide Web (WWW), per il quale egli scrisse il primo server e il primo client nell’ottobre del 1990. A lui si deve inoltre la prima versione del linguaggio di formattazione di documenti, con i relativi collegamenti ipertestuali; quello che ancora oggi chiamiamo HTML e che ci permette di leggere le infinite pagine della rete e di navigare all’interno e all’esterno dei testi, link dopo link.
Avevo 21 anni, all’epoca, e forse ero già destinato a finire nel novero dei tanti operatori della rete, che in questi anni a vario titolo la popolano. Oggi chiamiamo “nativi digitali” (2) i nati nell’epoca del web, a partire dalla metà degli anni ‘90, ma tutto quello che oggi conosciamo e le tecnologie che utilizziamo sono figlie di un recente passato che ha sconvolto il pianeta e che ha origine proprio in quella Arpanet che i militari della (D)ARPA misero a punto negli anni della guerra fredda con i nemici dell’URSS e di quella “bollente” e devastante, in Vietnam.
In quel 1991 l’Italia era sull’orlo del baratro di tangentopoli, che l’anno successivo l’avrebbe inghiottita e stravolta. Anche il mondo era altro da quello che oggi conosciamo, sebbene avesse già visto la prima Guerra del Golfo, l’inizio del fenomeno che oggi chiamiamo globalizzazione e del terrorismo internazionale, che ora è al culmine della sua spinta distruttiva.
In quegli anni era presidente degli USA Bush padre (George Herbert Walker Bush) e in Italia era primo ministro Giulio Andreotti con la sua inossidabile DC (Democrazia Cristiana), uscita quasi indenne dagli anni di piombo e dalla parabola ascendente del PCI (Partito Comunista Italiano), bloccata dall’assassinio di Aldo Moro e definitivamente tarpata dalla inaspettata morte di Enrico Berlinguer, il cui cuore e le cui passioni avevano cessato di battere nel 1984, durante un comizio a Padova, a causa di un ictus.
Pochi mesi e anche la DC sarebbe stata praticamente spazzata via dal ciclone “mani pulite”, insieme alla prima repubblica e ai suoi vecchi e incancreniti partiti politici, sostituiti da carrozzoni ancor più ridicoli e da coalizioni schizofreniche e mutevoli. Il vecchio mondo iniziava ad affondare, ma la strada verso il nuovo non era e non è tuttora agevole e tanto meno breve.
Non fui tra i primi, lo ammetto, ad appassionarmi al World Wide Web, che negli anni ‘90 era un calderone caotico e disordinato, in cui nessuna azienda sembrava davvero interessata a sbarcare. I computer nelle case non erano moltissimi, almeno in Italia, e l’accesso alla rete era riservato per lo più alle aziende. Del resto, ancora nel 1996 si contavano appena 10 milioni di computer collegati alla rete, in tutto il mondo, che arriveranno a circa 70 milioni nel ‘98, a crescere fino al primo miliardo, nel 2009, cifra che triplicherà nel 2015.
Il boom era lontano, ma non ci misi molto a comprendere le potenzialità di internet e del web. Un computer in casa l’ho avuto sin dai tempi del VIC 20 e del Commodore 64, che in fondo questo erano, e ben presto la mancanza di collegamento alla rete iniziò a pesarmi. L’era dei motori di ricerca mi vide già connesso. Ricordo la nascita di Lycos, di Altavista, di Arianna, di Virgilio. Tanti motori americani, ma anche tanto web made in Italy, fino all’arrivo di Yahoo! e di Google, che in breve avrebbe travolto quasi tutto, come uno tsunami.
Ecco, per me la vera nascita del web risale a quegli anni, dal 1998 in avanti, quando il caos iniziò a trovare un suo pur minimo ordine e la passione per questo nuovo mondo prese davvero a bruciarmi dentro. Eravamo nel pieno dell’era dei “telefonini” cellulari, che all’epoca detestavo cordialmente. Se ben ricordo il primo che ebbi risale al 2003, un Nokia 3310 dismesso da mio padre e di sicuro ancora oggi funzionante, da qualche parte e in qualche modo, magari in un cassetto impolverato.
Lo accettai più che altro perché i miei non concepivano che non ne avessi uno, sempre in giro com’ero, ma lo ritenevo davvero un oggetto poco attraente e per nulla stimolante. Ecco, all’epoca non avrei mai immaginato, quanto poi mi sarebbero piaciuti gli smartphone, di cui peraltro non fui un early adopter, forse soltanto per via della mia proverbiale parsimonia.
Avevo 21 anni e mi appassionavano di più le automobili, che oggi non mi danno più nessuna emozione, in attesa della rivoluzione di un settore rimasto alla preistoria. Vivevo ancora a Roma, nel 1991, nella stessa casa in cui ero nato nel 1970, dopo lo sbarco sulla luna e dopo Arpanet. Andavo via spesso, soprattutto per lavoro, ma il mio addio definitivo alla capitale era ancora lontano da venire, nel 2004, a seguito del mio primo matrimonio.
In quel decennio o poco più il mondo cambiò in modo definitivo, infilando una serie di avvenimenti sconvolgenti. Il più terrificante di tutti, per noi occidentali, avvenne l’undici settembre del 2001, negli USA, con il crollo delle Torri Gemelle a New York e un attacco al Pentagono, che tornò a dare fiato alle trombe di guerra suonate già dieci anni prima dal padre del secondo presidente Bush (George Walker Bush), che nel 2003 tornò in battaglia contro l’Iraq, nella cosiddetta seconda Guerra del Golfo, culminata con la deposizione del dittatore Saddam Hussein e con la sua impiccagione.
Guerra, attentati, globalizzazione, crescita smisurata della popolazione mondiale (eravamo 6 miliardi nel 1999 e 7 miliardi nel 2011, con prospettiva di superare gli 8 miliardi nel 2024); ma soprattutto progressi tecnologici inarrestabili, grazie alla spinta abilitante della rete mobile che, a partire dalla seconda decade degli anni 2000, ha consentito lo sviluppo e la definitiva diffusione dei dispositivi mobili (smartphone, tablet, altri).
Avevo 21 anni nel 1991, avevo un PC in casa (se ben ricordo un assemblato Intel i386), non avevo e nemmeno volevo avere un telefono cellulare, ma sul lavoro mi costringevano ad utilizzare un odioso cercapersone, che suonava mostrandomi il numero di chi mi stava cercando, da ricontattare dopo aver trovato una cabina telefonica disponibile. Avevo una fidanzata napoletana, un paio di gatti e un pappagallo, uno strepitoso occhiale da sole marcato Romeo Gigli, che mi era costato una fortuna e che non mi stava nemmeno troppo bene. E avevo una Fiat Panda 30 rossa, con lo stemma della Ferrari su entrambe le fiancate e i sedili completamente reclinabili, da poterci dormire dentro, se solo fossi stato un po’ più avventuroso. O anche per farci altro, ovviamente...
Avevo tutto questo ma non avevo ancora internet, che in meno di dieci anni mi avrebbe cambiato la vita per sempre. In queste pagine non torneranno più, quei venti anni che hanno stravolto il mondo e l’umanità, ma se siamo la civiltà che oggi conosciamo, nel bene e nel male, un buon 60%, io credo, lo dobbiamo a quegli anni incredibili, che mio malgrado ho avuto la fortuna di vivere.
Tra cento anni quel periodo, che oggi ci sta lanciando in orbita verso il futuro, sarà probabilmente ricordato come la Terza Rivoluzione Industriale, o piuttosto come la Rivoluzione Digitale, un’epoca di incredibili mutamenti, in cui tutte le tecnologie dei secoli precedenti hanno trovato nuova linfa e nuove strade grazie alla rete mobile e ad inimmaginabili progressi, dalle nanotecnologie ai nuovi materiali, dalla robotica avanzata all’intelligenza artificiale e a molto altro ancora.
Un salto nel futuro difficile da gestire, sia per le aziende che per le persone e che darà i suoi veri frutti nei prossimi anni, se saremo stati capaci di assecondare questo cambiamento epocale, piuttosto che frenarlo, come in troppi stanno facendo in questi anni. Quante aziende sopravvivranno a questa deflagrazione? Quanto di quello che oggi conosciamo avrà ancora un senso? Chi traghetterà i resti di questo vecchio mondo verso il nuovo? Alcuni dei miei colleghi sembrano genuinamente convinti di essere stati investiti di questo compito, ma io comincio ad avere qualche dubbio, in merito.
Negli ultimi anni non si è fatto altro che parlare di web marketing e delle sue enormi opportunità, ma il passaggio dal vecchio al nuovo ha lasciato per strada, io credo, pezzi importanti di informazione e di esperienza, che troppe aziende non hanno metabolizzato e che oggi mi spinge a rivedere le mie convinzioni sul ruolo dei (web)marketer e dei cosiddetti esperti della rete.
Molti di noi si sentono “evangelizzatori”, altri vengono definiti “guru”, ma la verità, io credo, è che la maggior parte di noi ha solamente visto mezzo metro avanti e compreso determinate dinamiche, che ha cercato di imporre ai propri clienti senza quasi mai curarsi dell’aspetto più importante, che consiste nella trasmissione di questa visione, piuttosto che nella vendita di consulenza, formazione, servizi e prodotti pronti a viaggiare verso il domani.
In queste pagine cercherò quindi di accendere una luce, sulla mia visione del digitale e del futuro, sperando che qualche imprenditore, qualche manager e qualche professionista possano abbracciarla e farla propria, mettendoci del loro e comprendendo che il cambiamento che stiamo vivendo non consiste nel fare cose vecchie in un modo nuovo, ma nel ridefinire completamente tutta la filiera, sfruttando al meglio la rete e i suoi strumenti senza aspettarsi che questi possano compiere miracoli.
Chi per entusiasmo, chi per genuina convinzione, chi per ingenuità e chi (purtroppo non pochi) per far soldi e per sfruttare il momento, infatti, molti dei miei colleghi e delle loro aziende hanno venduto sogni e illusioni, negli ultimi 10 anni, rallentando di fatto un futuro che forse sarebbe già qui, se non ci fosse stata la smania e l’urgenza di monetizzare competenze e progettualità.
Abbiamo venduto siti, app, software, tecnologie, consulenza, formazione, eventi e qualsiasi genere di prodotto e servizio, in un nuovo mercato senza regole e senza punti di riferimento sicuri e con risultati altalenanti, incerti, spesso più simili a una scommessa, che non ad una vera e propria strategia.
Abbiamo venduto noi stessi, trasformandoci in brand e scalando le vette della popolarità in rete, perché chi parte per primo ha un vantaggio competitivo enorme e perché, occorre sottolinearlo, in rete non è difficile pompare la propria immagine e il proprio ego, apparendo un po’ più di quello che si è, come del resto fanno quasi tutte le aziende con la pubblicità da decenni.
Ma non è questo che avremmo dovuto fare, io credo. Non avremmo dovuto illudere i nostri clienti che esistesse un marketing nuovo, web based, ma spiegargli in modo chiaro che il marketing come lo conosciamo è morto, sepolto dal tempo e da quello che ci ostiniamo a definire il web 2.0, con i suoi blog, con i social network, con le app, con la rete mobile.
Il web marketing è una mera illusione, l’anestetico con cui stiamo drogando i nostri clienti per fargli sopportare meglio la sofferenza di un cambio radicale, netto, irreversibile, che non soltanto ha messo in crisi un sistema già debole, vecchio e morente, ma ha del tutto stravolto le sue dinamiche, dandogli una scossa illusoria prima della tomba.
Il marketing è spacciato e non sarà in qualche modo salvato dal web, che al contrario gli ha dato il colpo di grazia, anche se ancora sono in pochi ad essersene accorti. Le dinamiche che hanno funzionato prima della rete, in un mondo in cui reperire informazioni era difficile e bisognava uscire di casa e andarsele a cercare, negozio per negozio, sono state stravolte dalla rete, che non soltanto ha reso disponibili in un click ogni genere di informazioni, ma ha anche dato la possibilità agli utenti, potenzialmente tutti, di contribuire con le loro opinioni, le loro impressioni e le loro esperienze, oltre che con le loro competenze.
Se un tempo bastava bombardare la gente con slogan e ritornelli ipnotici, oggi non basta neppure saturare i media con ogni genere di contenuto, perché le persone hanno perso fiducia e rispetto nelle aziende, colpevoli di aver abusato della loro posizione dominante e dell’opportunità di comunicare in modo unidirezionale, di cui hanno goduto per troppi anni, prima della rete.
Oggi tutto questo non basta più, viene etichettato come spam e non porta alcun frutto, perché la gente sta imparando ad acquisire informazioni in modo differente, interattivo, partecipe. Le persone non vogliono più essere oggetto, ma pretendono di diventare soggetto, protagonista e fulcro di un mercato nuovo, in cui al metodo push dei vecchi messaggi sia sostituito il pull di contenuti e di azioni che attraggono e che permettono interazione, coinvolgimento e partecipazione diretta.
Questo significa, in estrema sintesi, che le aziende devono cambiare radicalmente pelle, testa e cuore, prima di cercare in rete nuove opportunità e nuove inutili illusioni. E questo dovrebbe essere il compito principale di chi fa il mio mestiere o i mille altri che adesso si avvicinano, spesso sovrapponendosi: aiutare le aziende a trovare una strada nuova, senza aspettarsi miracoli dalla rete e dai suoi mezzi, per potenti che siano.
Occorre lasciare i miracoli ai santi e sintonizzarsi sul cambiamento, su quel futuro che a molti sembra ancora lontano ma che è già presente, anche se in troppi tardano ad aderirvi. Non manca molto alle automobili che si guidano da sole e che non inquinano, perché mosse da energie pulite e rinnovabili, ad esempio; ma tutti ancora posseggono automobili a benzina o a gasolio, che cambiano in media ogni cinque anni e che non contemplano in nessun modo di abbandonare.
Online è già possibile fare qualsiasi cosa, ma la gente si ostina ad uscire di casa e a mettersi in fila presso uffici ed istituzioni, lamentandosi del tempo perso e tenendo in vita passato, presente e futuro al tempo stesso, aggravando una crisi che è piuttosto la conseguenza inevitabile di questo stallo. Uno stallo che ci ostiniamo a chiamare crisi e dal quale non usciremo, senza aver dato vita ad un modello nuovo.
Ma (ri)partiamo dalle basi...
capitolo 2
COS’È LA RETE?
Se esiste qualcosa di cui abbiamo sottovalutato l’impatto e la portata, in questi ultimi decenni, quel qualcosa è di sicuro la rete e la rivoluzione che essa ha comportato. Il passaggio intercorso tra le dinamiche dei media offline, della TV, del telefono, ovvero dalle modalità classiche di relazione tra le persone, già “aumentate” dalle grandi invenzioni del XIX e del XX secolo, fino al gigantesco balzo in avanti rappresentato dal web.
La maggior parte delle persone, prima i più giovani, poi tutti gli altri, si sono gettati su queste innovazioni come se non aspettassero altro, da sempre. Come se fosse del tutto naturale, senza nessuna sorpresa nell’accogliere qualcosa che era ormai maturo per il debutto. E probabilmente è proprio così. Le aziende invece, in molti casi, l’hanno subita passivamente, adeguandosi senza troppa convinzioni ai trend del momento, in cerca di nuovi mercati, di nuovo business e di nuove opportunità.
Del resto, rispetto a quanto era avvenuto sino alla fine del XX secolo, i cambiamenti sono stati troppi e sono avvenuti troppo rapidamente. Dall’era del computer in ...