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INTERVISTA A CLAUDIO MAGRIS
Informazioni su questo libro
In questa recente intervista inedita, Claudio Magris, l'autore di Microcosmi (Premio Strega) e più volte candidato al Nobel per la Letteratura, tratta molti degli argomenti che ne caratterizzano il pensiero, l'indagine e la scrittura; così affrontando problematiche d'attualità (la globalizzazione e l'informazione), sociali (l'identità nazionale), umane (il rapporto con la Storia e la natura) oltre che letterarie, come per esempio la scrittura diurna e quella notturna.
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Informazioni
Argomento
SozialwissenschaftenCategoria
Sozialwissenschaftliche BiographienEdizioni Historica
Collana I SAGGI
© Edizioni Historica
www.historicaweb.com
1a Edizione cartacea – Aprile 2010
ISBN 9788896656464
In copertina | Claudio Magris
Progetto grafico e impaginazione | [email protected]
Creazione eBook | www.micheleponte.com
SERGIO SOZI
INTERVISTA A CLAUDIO MAGRIS

L'INTERVISTA
Nel parlare del Monte Nevoso (Snežnik) in ''Microcosmi'' (1997), lei cosà riflette sulla foresta che lo ricopre: ''(…) Dapprima austriaca, poi italiana, jugoslava e infine slovena, irrideva quel mutare di nomi e di confini, non apparteneva a nessuno; semmai erano gli altri che le appartenevano, almeno per quel poco che si può appartenere a qualcuno o a qualcosa (…)''. Piú avanti, precisa ulteriormente il pensiero: ''Il bosco è insieme esaltazione e cancellazione di confini. Una pluralità di mondi differenti e contrapposti, pur nella grande unità che li abbraccia e dissolve.''. Dunque l'uomo, in questa situazione ambientale-esistenziale, è un animale estraneo, un viaggiatore o proprio uno degli alberi, una molecola pensante di questa polimorfica folla vegetale?
RISP. Sono lieto di parlare del Monte Nevoso, che è un luogo fondante, mitico della mia vita, della mia esistenza, proprio dei tempi della mia vita: è come se quegli alberi, quelle stratificazioni di terra contenessero tante cose essenziali della mia vita e della mia vita condivisa. C'è forse in Microcosmi una pagina, nel capitolo sullo Snežnik, con quella figura femminile che sparisce dietro la nebbia e poi ritorna, che credo sia l'essenziale di quel libro e anche di tante cose che ho scritto; e credo che in questo caso proprio questa pienezza e questa epicità della foresta, che ho cercato di descrivere, aumenti il rapporto contraddittorio di sempre fra l'uomo e la ''cosiddetta'' natura. L'uomo che si sente inserito nella natura e contemporaneamente, nella sua riflessione, in qualche modo quasi estromesso, quasi che abbia tagliato il cordone ombelicale. Io non credo che questo significhi essere estromessi dalla natura, perché dell'infinita varietà di forme della natura fa parte anche quella sua specie, quella sua breve apparizione che siamo noi e in cui naturalmente fa parte del nostro pensiero anche il riflettere sulla natura, così come fa parte di una rosa aprirsi quando viene la luce e chiudersi quando viene il buio. Ho sentito molto, anche, nello Snežnik, una certa continuità fra Storia e natura ed ho sentito tanta Storia depositata lì: non Storia illustre (lo Snežnik non è la Cappella Sistina) ma proprio Storia umana, mista, di confini. Confini che non sono solo quelli fra le realtà politiche ma anche quelli del bosco, fra l'appassire e il fiorire, fra il nascere e il morire. In questo senso.
Il suo personale stile, soprattutto nelle opere saggistiche, facilita la fluidità della scrittura intrecciando sapientemente suggestioni e citazioni letterarie di varie provenienza ed epoca con cenni storici e ponderate riflessioni etiche ed esistenziali in genere (e di ciò non è esente neanche il romanzo ''Alla cieca'' del 2005, dove la condizione umana odierna si confronta spesso con le tracce del passato: ''Gli antichi avevano capito che mettersi per mare è un'empietà , una violazione dei sacri confini e dell'ordine dell'universo.'' A pag. 288; ''Vivere è credere; è la fede che fa la vita…'' a pag. 109). Ciò detto, vorrei sciogliere un mio personale dubbio: lei considera presenti nella sua scrittura anche degli sprazzi di vero e proprio lirismo, di poesia in forma di prosa?
RISP. La parola ''lirismo'' non la sento molto congeniale perché, forse in una mia sbagliata accezione, qui non si tratta di qualcosa di ''poetizzante'', come di qualche cosa che improvvisamente voglia avere degli effetti poetici. Certamente io credo che ci sia nella nostra vita la continua mescolanza anche di epifanie, dell'Essenziale, del Sacro, e quindi anche del poetico. Naturalmente il grosso problema è questo: credo che ci sia una forte differenza tra le mie opere saggistiche o anche narrative, come Illazioni su una sciabola o Danubio - in cui la prospettiva diurna rende piú facile la lettura perché ogni particolare, anche il particolare piú tragico, oscuro, buio, viene collocato nella totalità del tutto e allora acquista un suo senso - e la scrittura notturna, come in Alla cieca e La mostra, in cui c'è la violenza, qualche volta tenebrosa, durissima, dell'istante: se in questo momento qualcuno mi scottasse con un oggetto rovente, io potrei solo urlare e non potrei in questo momento interessarmi della sanità , della democrazia, eccetera. Allora io credo che la letteratura, contemporaneamente, debba esser capace di situare anche questo dolore nell'ambito del tutto ma anche di rendergli testimonianza e giustizia in questa assolutezza. Allo...
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