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L'Ultima Religione
Informazioni su questo libro
L'ultima religione è una sorta di idolatria universale: la Fratellanza globale, il Buonismo globale, la dea Salute, l'ecologismo radicale, il sogno di un mondo trans-umano e, in definitiva, anti-umano. Una religione che si impone oggi ma che viene da lontano. Un processo – iniziato molto tempo fa – che giunge a compimento anche a causa della pandemia, agli investimenti di imprenditori a livello globale, alla resa della Chiesa. Questo libro descrive in maniera chiara, approfondita e documentata la storia di questa evoluzione – da Malthus a Singer, da Casaleggio all'OMS, e illustra gli scenari della rivoluzione del 2020 che si prefigge di realizzare un distopico mondo nuovo.
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Informazioni
Argomento
Teologia e religioneCategoria
ReligioneCapitolo 1
In principio era Malthus
Se vogliamo conoscere le vere radici di quel mondo (apparentemente) pluralista, verde e arcobalenato, annunciato dai “profeti” e sostenuto dai “poteri forti” del mondo contemporaneo, dobbiamo, in realtà, riandare con la mente ad un periodo storico e ad un contesto che sembrerebbe dominato da uno spirito ben diverso.
Il contesto di cui parliamo è quello dell’ultimo e più potente impero globale mai costruito nella storia umana: l’Impero britannico.
Tutto ha inizio con l’Impero britannico
Lo spirito che anima, tra Settecento e Ottocento, la più grande struttura statale mai concepita è, in realtà, almeno all’apparenza, diametralmente opposto da quello propugnato nelle prediche del pontefice di Santa Marta o nei sermoni della piccola Thunberg; l’Impero britannico è, infatti, essenzialmente basato su tre paradigmi fondamentali.
Il primo è il potere del denaro e la fiducia illimitata nelle “leggi naturali dell’economia” (la celebre mano invisibile dell’economista Adam Smith, secondo cui la ricerca del vantaggio del singolo beneficia necessariamente anche il resto della società).
Il secondo è il classismo, secondo il quale la “base della società” è costituita da elementi sostanzialmente “nocivi” o comunque “poco utili” al progresso, che sarebbe quindi necessario “contenere” numericamente.
Il terzo è il razzismo, che vede nella razza bianca – ma in particolare in quella anglosassone – un’emergenza d’eccezione nella storia umana: un razzismo che viene declinato in forme che vanno da un “benevolo” paternalismo rivolto verso i popoli “inferiori” fino alla pianificazione del genocidio, ma che coinvolge in un medesimo disprezzo tutti gli elementi in qualche modo “allogeni” rispetto al bianco british, dai vicini celti irlandesi alle brulicanti folle dell’India inglese fino agli aborigeni australiani.
D’altronde, la seconda metà del secolo XIX è per l’Inghilterra un periodo di grandiosa espansione coloniale, che la mette in concorrenza con le altre potenze europee, prime fra tutte la Francia in Africa e la Russia in Asia. Dal Cairo a Città del Capo si stabilisce una serie continua di domini inglesi che portano ad un diretto contrasto con le altre (e minori) potenze.
In Asia la Gran Bretagna si era già saldamente stabilita in India tra il XVII e il XVIII secolo, e la regina Vittoria aveva assunto, nel 1876, il titolo d’Imperatrice delle Indie. Dalla colonia indiana, l’Impero si sarebbe allargato verso la Birmania, l’Afghanistan, la Persia meridionale e il Tibet venendo così a contatto con l’Impero russo, in costante espansione verso sud.
L’Impero britannico era la prima superpotenza mondiale, dominando al suo apogeo su una popolazione di circa 500 milioni di persone, ovvero un quarto circa della popolazione mondiale, e misurando circa 36 milioni di chilometri quadri, il 40% delle terre abitabili.
Questa età dell’oro britannica avrebbe preso il nome dalla sovrana: epoca vittoriana. Nel corso dei suoi lunghi anni di regno, la popolarità di Vittoria presso tutte le classi sociali raggiunse i massimi livelli. Considerata un esempio di onestà, moralità, patriottismo e dedizione alla famiglia, Vittoria fu il simbolo vivente della solidità dell’Impero britannico.
La scena vittoriana è dominata dalla nuova architettura del ferro, del vetro e del cemento, dai mattoni corrosi e anneriti dalla fuliggine delle fabbriche. Le città come Londra, Birmingham, Liverpool, Manchester, diventano ora grandi metropoli per la massiccia immigrazione dei contadini impoveriti che fuggivano in massa dalle campagne, mentre le terre demaniali utilizzate dai contadini più indigenti venivano vendute dal governo agli imprenditori più ricchi.
Fu dunque un periodo che vede da un lato prosperità e progresso, dall’altro una grave povertà, disagi e profonda ingiustizia per le classi più disagiate, creando un binomio tra conformismo etico, filantropia, moralismo e corruzione, ricerca di denaro, avidità, che separava la vita privata dal più generale comportamento pubblico.
Dietro tutta questa visione dell’uomo e della società vi è, tuttavia, almeno un secolo di riflessione filosofica applicata alla realtà dello straripante impero. I fondamenti dell’ideologia britannica poggiavano sul liberismo di Adam Smith e sull’utilitarismo di John Stuart Mill e Jeremy Bentham, nonché sulle teorie di uno strano reverendo anglicano, studioso di matematica e di curve demografiche, Thomas Robert Malthus, che per primo avrebbe proposto la pianificazione delle nascite allo scopo di garantire il benessere sociale e l’ordine politico.
Ancor prima di costoro, già in pieno XVII secolo, Thomas Hobbes, aveva teorizzato il celebre principio del bellum omnium contra omnes, affermando che la società umana non sarebbe altro che un continuo scontro di interessi e di poteri dove non vi può essere alcun rapporto naturale di “empatia” tra i singoli.
Proprio le sue teorie ispirarono, in particolar modo, il malthusianesimo che, per tutto il XIX e XX secolo, sosterrà il ricorso al controllo delle nascite per impedire l’impoverimento dell’umanità: nel concreto, diminuire i commensali alla tavola piuttosto che aumentare la disponibilità di cibo, eliminare i poveri anziché la povertà.
L’opera di Malthus, An essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society (Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società) getterà infatti dei semi destinati a maturare nel futuro e non solo nell’Impero britannico. Anche il più celebre Charles Darwin, che nel 1859 pubblicherà L’origine delle specie, ne sarà infatti profondamente influenzato. Darwin, fondatore della teoria dell’evoluzionismo per selezione naturale elaborata sulla base di osservazioni su flora e fauna, da lui effettuate durante un viaggio intorno al mondo, sarà all’origine del resto non solo di una teoria scientifica ma, di fatto, di una dottrina sociale: e ancora una volta, vi si ritrova l’idea che la competizione e la prevalenza del più forte e del più adatto (un’ideologia perfettamente adatta per giustificare il colonialismo e il razzismo) sia il motore dell’evoluzione naturale e umana.
L’auspicabile depopolazione
Il pensiero di Malthus, che è necessario prendere in esame, è complesso e non sempre lineare, ma in esso si possono riconoscere tre elementi di fondamentale importanza:
- la popolazione è necessariamente limitata dai mezzi di sussistenza;
- a meno che non sia limitata da freni efficaci, la popolazione aumenta allorché aumentano i mezzi di sussistenza;
- questi freni e quelli che reprimono la maggiore capacità di sviluppo della popolazione e ne mantengono gli effetti entro i limiti dei mezzi di sussistenza, si riducono tutti al controllo morale, al vizio e alla miseria4.
Detto in modo più esplicito, questo significa che le risorse (specie alimentari) saranno sempre minori rispetto alla tendenza della popolazione a crescere e che quello dell’eccessivo aumento della popolazione dev’essere considerato il problema fondamentale a livello sociologico. La popolazione “eccessiva” di cui si parla è, per Malthus, essenzialmente quella a basso reddito: il riferimento più immediato è, evidentemente, a quelle grandi masse di poveri e diseredati che fanno da corollario allo sviluppo della Prima rivoluzione industriale in Inghilterra, ma anche alle masse contadine impoverite delle colonie. Il problema, per Malthus, non è nella cattiva distribuzione delle risorse ma nel fatto che i poveri siano letteralmente troppi.
Per risolvere questo problema, il sociologo e pastore anglicano non va tanto per il sottile: la questione può essere risolta solo attraverso carestie, epidemie, guerre o, in alternativa, attraverso il diffondersi del vizio. Una delle ragioni che spingerebbe i “poveri” a fare troppi figli, infatti, sarebbe la loro propensione ai matrimoni precoci: tale pratica può però essere diminuita o resa inefficace dal diffondersi a livello di massa di comportamenti sessuali che oggi definiremmo “ludici” o comunque “disgiunti dalla riproduzione”; è possibile infatti «una diminuzione della natalità mediante la diffusione di tutti quei comportamenti, tra cui l’adulterio, la sodomia ecc. che causano una diminuzione delle nascite»5.
Gli “i...
Indice dei contenuti
- Introduzione “IL TEMPO DEL PRECURSORE”: COME NASCE L’ULTIMA RELIGIONE
- Capitolo 1 In principio era Malthus
- Capitolo 2 “FARE FIGLI FA SCHIFO”:COME SI IMPONE UN NUOVO PARADIGMA
- Capitolo 3 GAIA: L’ULTIMA DEA
- Capitolo 4 L’ULTIMA RELIGIONE E LE RELIGIONI
- Capitolo 5 CATASTROFISMO ECOLOGICO
- Capitolo 6 L’ultimo popolo eletto:migranti e LGBT
- Capitolo 7 IL TEMPO DEL COVID
- Capitolo 8 LA DEA SALUTE
- Capitolo 9 LA CHIESA COLLASSADI FRONTE AL VIRUS
- Capitolo 10 NON AVRAI ALTRA CURA CHE IL VACCINO
- Capitolo 11 L’apocalisse atea dell’umanesimo
- Conclusione Le distopie realizzate