Ciro Amendola
NON CI CREDO,
MA È VERO
Storie di ordinaria burocrazia
historica
La vita ministeriale
Decalogo delle cattive abitudini del pubblico impiegato
Nell’ultratrentennale esperienza ministeriale, il dott. Ciro Amendola era diventato un attento osservatore dei comportamenti dei pubblici impiegati (superiori o subordinati che fossero).
Questa analisi era stata condotta con rigoroso metodo scientifico, in quanto il dott. Amendola aveva avuto la fortuna– dal suo punto di vista– di non aver mai cambiato ufficio. Sempre lo stesso Ministero, lo stesso piano, lo stesso corridoio. Avanzando di stanza soltanto in occasione delle periodiche promozioni.
La conservazione del medesimo punto di osservazione, gli aveva consentito di sviscerare– settimana dopo settimana– le abitudini, le andature, gli abbigliamenti, gli atteggiamenti, le assuefazioni con cui si consumava la vita degli impiegati. Una vita improntata non al senso di servizio per lo Stato, ma piuttosto alla proficua occupazione delle ore da trascorrere in ufficio.
Quante volte il Direttore aveva sentito ripetere: “Noi abbiamo venduto il nostro tempo allo Stato. Ne siamo diventati servitori. In cambio siamo entrati nel tunnel verso la pensione e la morte. Un tunnel confortevole che ci proteggerà fino alla tomba. Un tunnel dove saremo pagati per tutta la vita. Pagati poco, ma sempre pagati.”
Era l’approccio più comune del ministeriale medio. Che pensava di aver acquisito una specie di reddito di cittadinanza. Reddito che includeva il diritto a non far nulla (o, quanto meno, poco).
Con il vitalizio economico assicurato, le ferie pagate, la malattia pagata, lo straordinario pagato (poco), panettone e bottiglia a Natale, le prerogative per coniuge e figli, la 104 e le cure termali a carico dello Stato (bei tempi!) diventava indispensabile sapersi organizzare, da due punti di vista.
Da un lato, bisognava eludere i vagoni di pratiche che ogni giorno transitavano per i corridoio in maniera da offrire il proprio contributo operoso, ma senza prendersi (alcuna) responsabilità (il rischio di una causa dinanzi alla Corte dei Conti era uno spauracchio serio).
Dall’altro, era indispensabile ritagliarsi qualche ora al giorno per dedicarsi alle cose che veramente interessavano. Altrimenti la vita ministeriale diventava insopportabile. E non restava che ammalarsi a lungo o farsi nominare rappresentante sindacale per fruire di cospicui permessi. Il dott. Amendola, invece, ogni giorno produceva in maniera intensa e operosa. Controllava, vigilava e smistava. E non mancava di stigmatizzare i subordinati e di trasmettere note di segnalazione ai superiori, per quanto di competenza, al fine di avviare procedimenti disciplinari avverso i più fannulloni.
Comunque, accanto al senso del dovere, il Direttore aveva sviluppato quel particolare spirito di osservazione che gli consentiva di cogliere e sintetizzare abitudini e comportamenti. Come un etologo che osserva con pazienza le sue farfalle.
Il distillato di questa attenta analisi aveva portato alla limpida enucleazione di un vero e proprio decalogo delle (cattive) abitudini del pubblico impiegato.
Per anni il dott. Amendola si era limitato a tenere a memoria i punti salienti. Poi aveva sentito il bisogno della scrittura. Come Mosè quando ricevette i comandamenti. La tradizione orale era divenuta insufficiente. E così il dott. Amendola si era procurato un apposito taccuino tascabile per averlo sempre a portata di mano. Per annotare un aggiornamento, un’aggiunta, una rettifica.
Era venuto fuori un piccolo capolavoro. Il vero distillato della vita ministeriale. Sintetizzata in dieci principi fondamentali.
* * *
1. Tieni le carte a posto
Nell’enorme massa di carte, leggi, regolamenti, decreti e circolari la forma prevale sempre sulla sostanza. Il punto veramente importante consiste nel rispettare le procedure. Pedissequamente. Senza perdere tempo a capire il reale interesse pubblico che si persegue.
Ad esempio, rispetto alla richiesta di autorizzazione ad aprire una nuova pizzeria, non bisogna cercare di capire se il richiedente abbia davvero diritto a farlo. L’importante è condurre un’istruttoria dettagliata e completa, che riesca a raccogliere tutti i possibili pareri delle autorità competenti, senza mai rischiare di prendere una decisione affrettata o, peggio, autonoma.
Insomma, ogni pratica va sempre corredata da tutte le pezze di appoggio possibili. Senza preoccuparsi di quale sia la finalità che si persegue in concreto.
Ecco, allora, che per esaminare la richiesta di apertura di una nuova pizzeria diviene opportuno:
– Richiedere il parere della ASL competente per territorio, riguardo agli aspetti igienico-sanitari;
– Consultare la Camera di Commercio per appurare la posizione nel registro delle imprese;
– Scrivere all’Ufficio tecnico del Comune e pure della Provincia per verificare la conformità statica e urbanistica;
– Sentire i Vigili urbani, la Polizia e i NAS dei Carabinieri per i profili di competenza;
– Effettuare una verifica alla Soprintendenza dei beni culturali, ove mai si trattasse di pizzeria collocata in immobile di pregio storico;
– Raccogliere l’avviso dell’Ufficio del catasto, per scongiurare la presenza di ipoteche sull’immobile e verificarne l’esatta ubicazione;
– Compulsare l’Agenzia delle Entrate e anche Equitalia circa la posizione fiscale del richiedente;
– Senza dimenticare il nulla osta INPS e INAIL sugli aspetti previdenziali e infortunistici (la prudenza non è mai troppa!).
Se, poi, proprio la questione sembra troppo agevole, un parere della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la sempre utile Antitrust, non guasta mai.
Sempre meglio un parere in più che un parere in meno. Perciò vanno tenuti in conto anche i Vigili del fuoco, il Garante della Privacy e la Ragioneria generale dello Stato che consentono di completare l’esame del prisma prospettico nei diversi aspetti di competenza.
Certo, forse in questo modo si dilatano i tempi, ma si sta pur certi di non aver dimenticato nessuno dei possibili aspetti rilevanti. E altrettanto sicuri che nessuno potrà imputare mai alcunché allo scrivente ufficio che ha condotto un’istruttoria accuratissima. Di troppo zelo non è mai morto nessuno. Di superficialità molti. L’importante è tenere le carte a posto. Sempre.
Per la stessa ragione conviene anche abbondare con copie conformi, timbri, bolli, visti, nulla osta, protocolli e firme autenticate. E non lavorare mai sugli originali, per evitare di perderli o rovinarli. È sempre meglio una fotocopia in più.
2. Applica con rigore il mansionario
Così riuscirai a fare soltanto ciò che è rigorosamente di tua competenza, cioè il meno possibile.
Nelle grandi organizzazioni lavorative è sempre molto complicato capire chi deve fare cosa. Non basta certo affidarsi alla buona volontà dei singoli. All’improvvisazione. Ecco che, allora, tutto viene minuziosamente disciplinato:
– Organigrammi per differenziare le competenze degli uffici;
– Piante organiche per collocare all’interno di ogni ufficio il giusto numero di dirigenti, funzionari e impiegati;
– E, finalmente, il mansionario che individua esattamente cosa può fare ogni singolo impiegato in base alla qualifica.
Il mansionario è una sorta di rebus scritto in burocratese stretto nel quale ciascuno può trovare ciò che vuole e il suo esatto contrario. Nemmeno fosse il responso della Sibilla cumana!
Il dott. Amendola ebbe piena contezza di cosa fosse il mansionario soltanto dopo alcuni anni di serena vita ministeriale, quando pensò inopinatamente di chiedere un paio di fotocopie a uno degli ausiliari dell’ufficio, il rag. Esposito. Quest’ultimo fino ad allora era sempre stato gentilissimo e si era interessato soltanto alle vicende calcistiche del Calcio Napoli, su cui era preparato in maniera enciclopedica.
Antonino Esposito era da tutti ritenuto una persona squisita. Anche se non faceva praticamente nulla nella giornata lavorativa.
Quella mattina di autunno, a fronte della sacrosanta richiesta del dott. Amendola, il rag. Esposito si irrigidì: “Direttore, sono spiacente, ma le fotocopie proprio non rientrano nelle mie mansioni di assistente.”
E tornò dopo qualche minuto con due copie del “Mansionario per la qualifica di assistente”, tratto dal contratto collettivo del Comparto Ministeri, applicabile al triennio in corso, in forza di apposita proroga.
Una copia la consegnò al dott. Amendola e l’altra la iniziò a declamare con maestria (a dimostrazione che, molte volte, l’aveva già ripetuta).
Assistente
Collabora alle attività amministrative e contabili, per l’informazione e la comunicazione conformemente alle direttive ricevute, nell’ambito di operazioni di processo, attraverso metodologie o procedure consolidate o predefinite o soggette a normale variabilità.
Elabora dati e situazioni complesse anche con utilizzo di applicazioni e strumenti di automazione d’ufficio conformemente alle direttive ricevute. In particolare:
– Provvede alla tenuta, aggiornamento e utilizzazione di banche dati, di altri supporti documentali e informatici (mediante l’uso integrato di strumenti tecnologici e supporti applicativi e multimediali), adeguando il contenuto ed il risultato informativo finale alle specifiche dei progetti, con eventuale redazione di manuali operativi;
– Assicura l’efficienza e l’interoperabilità degli strumenti e dei supporti informativi e applicativi utili alla gestione dei flussi informativi anche in via telematica tra le linee progettuali interne e\o in rete con le istituzioni formative e con altri soggetti;
– Collabora all’esecuzione operativa di progetti multimediali ed editoriali finalizzati a pubblicazioni anche su supporti ottici o in linea, utilizzando strumenti applicativi per il trattamento grafico, di editoria elettronica, di composizione multimediale e di catalogazione.
Il ragioniere aveva scandito riga per riga modulando la voce e concedendosi pause teatrali. Nemmeno fosse ad un provino.
Terminata la recitazione, dopo una ennesima pausa, si schiarì la voce: “Come il mansionario chiaramente mette in evidenza, gentile Direttore, l’effettuazione di copie fotostatiche e/o fac-simile non rientra in alcun modo nelle mie mansioni di assistente. Pertanto, me ne torno a lavorare. Non amo perdere tempo, io.”
Il dott. Amendola restò in silenzio per alcuni lunghi secondi. A stupirlo non era certo stata la recitazione, quasi da attore. Piuttosto l’ostentazione di sicumera con cui il ragioniere, pur sempre un subordinato, lo aveva trattato. Quell’atteggiamento scostante, di presuntuosa superiorità, discendeva dalla condizione del rag. Esposito di avere il pieno e legittimo diritto di non fare assolutamente nulla in ufficio.
E il mansionario era la miglior garanzia possibile di quel diritto.
3. Chi copia non sbaglia
L’Amministrazione si regge su abitudini e prassi consolidate da decine di anni. Talora da centinaia. Per fare il meno possibile ed evitare di assumersi ogni responsabilità, conviene non lasciare mai il solco tradizionalmente segnato.
Nel tempo si è consolidata la regola fondamentale del non decidere, del non innovare. Regola che consente a tutti di non prendere nessuna decisione (e nessuna responsabilità connessa).
Così, in ogni pratica, va sempre cercato il precedente in maniera da poterlo ampiamente consultare, verificare e, per quanto possibile, copiare.
Il dott. Amendola si era accorto che l’abitudine di allegare il precedente (da cui si era copiato) consentiva sempre di giustificare la propria decisione addebitandola al predecessore. In questo modo si restava tranquill...