Capitolo I
Il Mutuo appoggio negli animali
La lotta per l’esistenza. – Il mutuo appoggio, legge della natura e principale fattore dell’evoluzione progressiva. – Invertebrati. – Formiche ed Api. – Uccelli: associazioni per la caccia e per la pesca. – Socievolezza. – Protezione reciproca fra i piccoli uccelli. – Gru; pappagalli.
Il concetto della lotta per l’esistenza come fattore dell’evoluzione, introdotto nella scienza da Darwin e dal Wallace, ci ha permesso di racchiudere un vasto insieme di fenomeni in una sola categoria, che divenne ben presto la base stessa delle nostre speculazioni filosofiche, biologiche e sociologiche. Un’immensa varietà di fatti: adattamenti, di funzione e di struttura, degli esseri organizzati al loro ambiente; evoluzione fisiologica ed anatomica; progresso intellettuale ed anche sviluppo morale, che una volta spiegavamo con tante altre cause diverse, furono riuniti da Darwin in un’unica concezione generale. Egli vi riconobbe uno sforzo continuo, una lotta contro le circostanze sfavorevoli, per lo sviluppo degli individui, delle razze, delle specie e delle società, che tendeva al massimo della pienezza, della varietà e dell’intensità di vita. Può darsi che, da principio, lo stesso Darwin non si rendesse perfettamente conto dell’importanza generale del fattore che egli allegò a bella prima per spiegare una sola serie di fatti, relativi all’insieme delle variazioni individuali all’origine di una specie. Ma egli prevedeva che il termine che introduceva nella scienza avrebbe perso il suo significato filosofico, il solo vero, se fosse stato impiegato esclusivamente nel suo stretto senso – quello di una lotta fra individui isolati, per la semplice conservazione della propria esistenza. Nei primi capitoli della sua opera memorabile, egli insisteva già perché il termine fosse preso in «senso largo e metaforico, comprendente la dipendenza degli esseri fra di loro, e comprendente inoltre (ciò che è più importante) non soltanto la vita dell’individuo ma anche il successo della sua discendenza» (Origine delle specie, cap. III).
Benché egli stesso, per i bisogni della sua tesi speciale, abbia impiegato principalmente il termine nel suo senso stretto, ha messo in guardia i suoi continuatori contro l’errore (che pare abbia commesso una volta anche lui) di enfatizzare l’importanza di questo ristretto significato. Nell’Origine dell’uomo ha scritto alcune pagine potenti per spiegare il senso proprio, quello ampio. Vi rileva come, nelle innumerevoli società animali, la lotta per l’esistenza fra gli individui isolati sparisca, come la lotta sia sostituita dalla cooperazione, e come questa sostituzione conduca allo sviluppo delle facoltà intellettuali e morali che assicurano alla specie le migliori condizioni di sopravvivenza. Dichiara che, in tal caso, i più adatti non sono i più forti fisicamente, né i più scaltri, ma coloro che imparano ad unirsi per sostenersi reciprocamente, tanto i forti quanto i deboli, per la prosperità della comunità. «Le comunità, egli scrive, che racchiudono il più gran numero di membri più simpatici gli uni agli altri, prosperano meglio e allevano il maggior numero di rampolli» (2a ed. ingl., p. 163). L’idea della concorrenza di ciascuno contro tutti, sorta dalla ristretta concezione malthusiana, perdeva così la sua ristrettezza nello spirito di un osservatore che conosceva la natura.
Disgraziatamente, questi rilievi, che avrebbero potuto divenire base di ricerche molto feconde, erano tenuti nell’ombra dal cumulo di fatti che Darwin aveva riuniti col proposito di dimostrare le conseguenze di una reale competizione per la vita. Inoltre, egli non provò mai a sottomettere ad una più rigorosa indagine l’importanza relativa dei due aspetti sotto cui si presenta la lotta per l’esistenza nel mondo animale, e non ha mai scritto l’opera, che si proponeva di scrivere, sugli ostacoli naturali alla sovrariproduzione animale, opera che sarebbe stata la pietra di paragone dell’esatto valore della lotta individuale. Molto più, nelle pagine stesse di cui abbiamo parlato testé, fra i fatti confutanti la ristretta concezione malthusiana della lotta, il vecchio spirito malthusiano riappare, per esempio, nelle osservazioni di Darwin sui pretesi inconvenienti che presenterebbe il mantenere «i deboli di spirito e di corpo» nelle nostre società civili (cap. V). Come se le migliaia di poeti, di sapienti, di inventori, di riformatori, deboli di corpo o infermi, e così pure le altre migliaia dei così detti «pazzi» o «entusiasti, deboli di spirito» non fossero fra le armi più preziose di cui l’umanità ha fatto uso nella sua lotta per l’esistenza – armi intellettuali e morali, come lo stesso Darwin ha dimostrato in quegli stessi capitoli de L’Origine dell’Uomo.
La teoria di Darwin ebbe la sorte di tutte le teorie che trattano dei rapporti umani. Invece di svilupparla secondo gli indirizzi a lei propri, i suoi continuatori la restrinsero ancora. E mentre Herbert Spencer, partendo da osservazioni indipendenti, ma molto analoghe, tentava di allargare la discussione mettendo innanzi questo grande problema: «Quali sono i più adatti?» (in modo particolare nell’appendice della 3a ed. dei Principi di Etica), gli innumerevoli continuatori di Darwin riducevano la nozione della lotta per l’esistenza al suo più ristretto significato. Essi giunsero a concepire il mondo animale come un mondo di eterna lotta fra individui affamati, assetati di sangue. E fecero risonare la letteratura moderna del grido di guerra Guai ai vinti, come se fosse quella l’ultima parola della biologia moderna. E, per degli interessi personali, elevarono la «lotta senza pietà» all’altezza di un principio biologico, a cui l’uomo deve sottomettersi sotto pena di soccombere in un mondo fondato sul reciproco sterminio.
Lasciando da parte gli economisti, che non sanno delle scienze naturali che qualche parola presa a prestito dai volgarizzatori di seconda mano, bisogna che riconosciamo che anche i più autorevoli interpreti di Darwin fecero del loro meglio per mantenere queste idee false. Infatti, se prendiamo Huxley, che è considerato come uno dei migliori interpreti della teoria dell’evoluzione, egli ci insegna, nel suo articolo «Struggle for Existence and its Bearing upon Man», che: «giudicato dal punto di vista morale, il mondo animale è presso a poco al livello di un combattimento di gladiatori. Le creature sono trattate molto bene e mandate al combattimento; in cui le più forti, le più vivaci e le più astute sopravvivono per combattere un altro giorno. Lo spettatore non ha nemmeno da abbassare il pollice, perché non è dato alcun quartiere».
E, più avanti, nello stesso articolo, ci dice che, come fra gli animali, anche fra gli uomini primitivi, «i più deboli e i più stupidi erano schiacciati, mentre sopravvivevano i più resistenti e i più astuti, coloro che erano i più adatti a trionfare delle circostanze, ma non i migliori sotto altri rapporti. La vita era una perpetua lotta aperta, e, a parte i legami familiari, limitati e temporanei, la guerra di ciascuno contro tutti, di cui parla Hobbes, era lo stato normale dell’esistenza». (Nineteenth Century, febbr. 1888, p. 165)».
Il lettore vedrà dai dati che gli saranno presentati nel resto di quest’opera, a qual punto questo modo di vedere la natura sia poco confermato dai fatti, in ciò che riguarda il mondo animale e l’uomo primitivo. Ma possiamo notare fin d’ora che il modo di vedere di Huxley aveva così poco diritto ad essere considerato come una conclusione scientifica, quanto la teoria contraria del Rousseau che non vedeva nella natura che amore, pace ed armonia, distrutti dall’avvento dell’uomo.
Basta, del resto, una passeggiata nella foresta, uno sguardo gettato su una qualsiasi società animale, o anche la lettura di una qualsiasi opera seria che tratti della vita animale (d’Orbigny, Audubon, Le Vaillant, o di chiunque altro), per portare il naturalista a tener conto del posto che occupa la sociabilità nella vita degli animali, per impedirgli, sia di non vedere nella natura che un campo di strage, sia per non scoprirvi che pace ed armonia. Se Rousseau ha commesso l’errore di sopprimere dalla sua concezione la lotta «col becco e con le unghie», Huxley ha commesso l’errore opposto; ma né l’ottimismo del Rousseau, né il pessimismo di Huxley possono essere accettati come un’imparziale interpretazione della natura.
Quando studiamo gli animali, non soltanto nei laboratori e nei musei, ma nelle foreste e nelle praterie, nelle steppe e sulle montagne, ci accorgiamo subito che, benché vi sia nella natura un’elevata somma di guerra fra le specie diverse, e soprattutto fra le differenti classi di animali, vi è altrettanto, o fors’anche più, del mutuo sostegno, dell’aiuto reciproco e della mutua difesa tra gli animali appartenenti alla medesima specie o, almeno, alla stessa società. La sociabilità è una legge della natura tanto quanto la lotta tra simili. Sarebbe senza dubbio molto difficile valutare, anche approssimativamente, l’importanza numerica relativa a queste due serie di fatti. Ma se ci appelliamo ad una testimonianza indiretta, e domandiamo alla natura: «Quali sono i più adatti: coloro che sono co...