Il figlio del silenzio
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Il figlio del silenzio

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Il figlio del silenzio

Informazioni su questo libro

Non vivere soltanto la legge che vedi scritta o che odi pronunciare. Vivi secondo la legge che è in te, che è te stesso.Più profondamente, cerca più profondamente! Non ascoltare il tuo spirito: esso vede le cose dal di fuori. Ascolta il tuo cuore: esso sa tutto; esso è tutto. Vivi secondo il tuo cuore. Cammina al ritmo del tuo cuore.Uomo, tu lasci che il grano si sviluppi liberamente. Così, lascia che liberamente si sviluppino il tuo cuore e i tuoi gesti.

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Informazioni

parte prima
ferecide
Da due giorni, l’isola era in festa. Gli abitanti della città di Samos, e quelli d’Oinon la vinifera, e quelli di Draconum, e quelli anche delle borgate e delle campagne, come quelli di Narthekis e delle altre isolette vicine, mangiavano, bevevano, ballavano, dormivano, intorno al tempio di Hera. Alcuni, sulla spiaggia o nelle radure del bosco sacro, avevano innalzate contro il gran caldo e le sue violenze, delle tende leggere. Più numerosi erano coloro che s’accontentavano dell’ombra degli alberi, della brezza marina o della freschezza serpeggiante dell’Imbrasos.
Quel giorno, il terzo della festa, era la solennità più emozionante di tutte: la famosa ierogamia rinnovava le nozze di Zeus dalla larga fronte con Hera dai grandi occhi fieri.
Quanti non partecipavano alla pompa nuziale guardavano religiosamente svolgersi, sulla strada cosparsa di frasche, i meandri di preghiera e di gloria. Come le prime acque di una inondazione, s’avanzavano anzitutto, pesantemente, esitanti, i cento buoi dell’ecatombe. Ogni loro passo scuoteva sulla testa d’ognuno, come due pennacchi, i fiori che nascondevano le corna. Venivano poi dei giovani suonatori di flauto che modulavano allegramente l’ierakion.
Il carro era circondato dalle fanciulle più belle, che avevano corone d’agnus castus. Quello stesso fiore tremolava in grappoli azzurri, grigi o rosei intorno ai fianchi armoniosi, intorno alla gracile nudità delle braccia. A quando a quando tacevano i flauti, il corteo si fermava, e le vergini si volgevano verso la dea. Alcune alzavano le mani vuote, agitando sulle teste braccialetti floreali, e tutte cantavano:
— O Gloriosa, nata sotto gli agnus castus che fiancheggiano l’Imbrasos!
Oppure:
— O Gloriosa, divenuta, sotto gli agnus castus dell’Imbrasos, sposa di Zeus dalla larga fronte.
Altre prendevano a manciate, nelle ceste, petali, corolle e calici, e gettavano quelle forme delicate, quei colori splendidi, sotto lo scalpitare dell’attacco e sotto le ruote del carro. I profumi grondavano nell’aria tesa e crepitante come un metallo di fuoco.
Nel carro, la statua si ergeva altissima, ma i candori del suo marmo scomparivano sotto vesti di sposa. Un vezzo delle più sontuose gemme le scendeva sul petto, e la sua veste faceva splendere nei raggi i colori dell’oro e della porpora. Dietro di lei, ondeggiava una capigliatura stranamente lunga, larga e folta. Erano, biondi, bruni, castani, ruvidi o morbidi, fini o grossolani, tutti riservati per la gloria di quel giorno, i capelli delle vergini morte durante l’anno. Un grosso cerchio d’oro, che scendeva sulla fronte e cadeva quasi sulla nuca, stringeva quella chioma molteplice, fermava sulla testa dell’immortale le spoglie strappate alla tomba. Più stretta e più leggera, un’altra corona, cappello di fiori, stava sul sommo della testa: l’agnus castus della dea v’intrecciava i suoi lunghi steli ribelli con le flessibili erbe di Afrodite, sesamo e papavero.
Dietro al carro, fino ai fiori e ai frondosi rami schiacciati, quattro pavoni lasciavano scendere, come lo strascico d’un manto regale, i loro sontuosi colori. Eccitato dal rumore, dal calore, dagli occhi innumerevoli della folla, talora l’un d’essi sollevava l’opulenza di una coda che s’incurvava e fremeva; come un’adorazione, volgeva verso la dea l’arco gloriosamente vibrante che, nel suo tremante sfolgorio, spargeva un mormorio metallico.
Il corteo, fiume superbo dalle sponde viventi, scorreva dapprima, fra i fremiti della folla, dal tempio sino all’Imbrasos. Raggiungeva l’insenatura su cui il fiume, tra erbe ondeggianti e folti alberi, nasconde le sue onde più fresche e più pudiche. Qui, spesso, una fanciulla samese, nel mattino del matrimonio, andava a fare il bagno simbolico; qui, ella si sforzava di lavarsi, perché scorressero lungo la superficie del fiume e annegassero nella vastità del mare, le indecise emozioni di un cuore che si ridesta e tutti i ricordi che non erano animati dallo sposo.
La dea, svestita dalle vergini, venne immersa nelle acque purificatrici; poi le mani pie delle fanciulle asciugarono la sua bellezza altera e nuovamente la vestirono.
Si ritornò verso il tempio. Fino alle estreme profondità del monumento, il sole calante, dalle porte largamente aperte, precipitava in un’inondazione di luce e di fiamma. Nell’emozione crescente della moltitudine, i giovani gettarono rumorosamente le loro armi e le vergini intonarono il più sacro degl’inni.
In cima alla scalinata, il gran sacerdote, avvolto dagli splendori di Elio, aspettava. Teneva davanti a sé, mostrandolo al popolo, un lungo virgulto di edera, simbolo dei vincoli che Kronos non potrà consumare. I portatori presero la statua dal carro e si diressero lentamente verso di lui. Allora, dopo che il suo gesto imperioso e le sue parole solenni ebbero fatto chinare tutte le fronti, pose l’edera nelle mani della dea. Poi, traendosi a parte, permise ai portatori di far entrare Hera nella gloria della sua nuova vita.
I sacerdoti immolarono le vittime. Un fiume di sangue, in larga, lenta, viscida tovaglia, cadeva dai gradini del tempio, e pareva portasse i rossi lamenti d’agonia verso il rossore del sole morente. Frattanto i sacerdoti chini esaminavano le viscere. Si rialzarono, infine, e il loro capo, rivolto al popolo, proclamò, con formule gravi e rituali, che il cielo era favorevole all’imene.
Nel fondo del santuario, dei rami di salice formavano l’alcova nuziale. La dea, spogliata delle corone e delle ricche stoffe, avvolta soltanto nelle capigliature delle vergini morte, fu stesa sul letto sacro.
— Favorite gli dèi col vostro silenzio! Gridò il gran sacerdote.
Il tempio si vuotò senza rumore. Con tremanti precauzioni vennero chiuse le porte, i cui cardini erano stati oleati la vigilia; e tutti si allontanarono rispettosamente, gravi di pensieri misteriosi.
Ma la notte cadeva. Il bosco e la spiaggia si illuminarono di torce. I Samesi, a famiglie o a gruppi d’amici, seduti sulle erbe e sulla sabbia, cominciarono a banchettare.
Due uomini si erano, per tutto il giorno, isolati dalla folla. Se una preoccupazione unanime non avesse fatto sì che gli sguardi del popolo fossero prigionieri di un unico spettacolo, ciascuno li avrebbe visti attraverso trenta stadii d’una luce pura fino alla crudezza.
Figure rimpiccolite ma non dileguate nella lontananza, essi stavano ritti lassù, sul promontorio di Poseidone, bianchi sull’intensità turchina del cielo, dietro all’intensità turchina del mare.
Discorrevano. Di tanto in tanto guardavano ai loro piedi la città, cortigiana stesa lungo l’acqua, ma la cui testa indolente si sollevava secondo un ritmo di pigrizia per coprire di un disordine sparso il primo sforzo della montagna, incerto ancora e quasi cadente come un’onda.
Più spesso, oltre le case, i loro sguardi – raggi d’intelligenza e di disprezzo – andavano fino alla spiaggia, fino al tempio e alle tende, fino a quel vasto paesaggio di cui amavano la nobile ...

Indice dei contenuti

  1. CoverImage
  2. 0.Han_Ryner_il_figlio_del_silenzio
  3. 1.Ferecide
  4. 2.I_Misteri
  5. 3.L_Egitto
  6. 4.Babilonia
  7. 5.Il_Pitagorismo