6. La Banca della terra. Donne in campo
Se cerchi la verità, puoi trovare conforto alla fine. Se cerchi conforto, non troverai né verità né conforto.
C.S. Lewis
Sono convinta che l’essere umano rinneghi periodicamente se stesso, le proprie innate qualità e aspirazioni, per ritornare poi ciclicamente sui suoi passi e rimpadronirsi del proprio destino, evolvendo nel contempo la società verso modelli migliorati e migliorativi.
Posso iscrivere nel mio pedigree di professionista la soddisfazione di aver subodorato l’inizio di una marcia silenziosa e al contrario (contro-trend), dalle città alle campagne, diversi anni fa.
In sordina, comparivano qua e là segnali di uggia e irrequietezza, che prendevano la forma di nuovi appetiti. Le retour à la terre, cominciavano a dire in Francia; Stadt auf flug, in Germania: volevano descrivere minuscoli fenomeni di ribellione gentile in cui alcuni cittadini bastian contrari, anziché confermare la propria lealtà eterna al modello di vita urbano, decidevano di trasferirsi in campagna e in montagna reinventando il proprio stile di vita.
Mentre il monolite della globalizzazione, spietato nella sua standardizzazione ma fiaccato dalle sue stesse contraddizioni, perdeva appeal, sempre più pensieri dissidenti cominciavano a raccogliersi ai suoi fianchi. Erano i pensieri dei breaker che osservavano, appostati come falchi di lato alla corrente, lontano dai palazzi di vetrocemento, rimuginando nuove ipotesi.
L’appetito per nuove forme di narrazione è cresciuto, fomentato dalla frustrazione di tanti giovani e non giovani, nella ricerca di reddito e lavoro stabile. L’istanza è rotolata sulle scrivanie dei policy maker, che hanno adesso una grande opportunità: facilitare un riequilibrio dei pesi tra campagne e città.
La Banca della terra
Allo stato attuale, comprare terreni coltivabili è più facile a dirsi che a farsi. Frammentazione, destinazioni produttive diverse, ingenti costi d’avvio da sostenere non rendono l’accesso al settore agevole. Era necessaria una piattaforma che riunisse e catalogasse le terre in vendita. La Regione Toscana ha fatto da rompighiaccio occupando proficuamente lo spazio delicato e strategico della smobilitazione di terre incolte nel proprio perimetro amministrativo.
Creata alla fine del 2013 e pienamente operativa da circa cinque anni, la Banca della terra della Regione Toscana ha rappresentato il primo esperimento, in Italia e in Europa, di ente strumentale istituito per gestire tutto il patrimonio agricolo e forestale di una regione e indirizzare le politiche fondiarie nella direzione del recupero e della valorizzazione del proprio patrimonio.
La Banca della terra è un inventario dinamico e costantemente aggiornato «dei terreni e delle aziende agricole di proprietà pubblica e privata che possono essere messi a disposizione di terzi, tramite operazioni di affitto o di concessione». Ma è anche, soprattutto, l’ente che promuove e gestisce i bandi di assegnazione di queste terre a chi ne fa richiesta, in modo da portare a compimento il passaggio dei terreni da incolti a produttivi.
Il meccanismo fa perno su due modalità: affitto produttivo e concessione. Nel primo caso l’imprenditore assegnatario pagherà un canone mensile all’ente o al proprietario della terra; canone da cui vengono poi scontati gli investimenti effettuati sulla proprietà. Con la concessione, invece, l’assegnatario non corrisponde alcun affitto ma si impegna a implementare un progetto o a effettuare un servizio, proprio come accade nella attribuzione della gestione dei rifugi di montagna. La durata delle concessioni varia da 9 a 20 anni.
Nella Banca della terra si trovano migliaia di ettari messi a disposizione da comuni ed Enti parco oppure appartenenti al Patrimonio agricolo forestale regionale; beni demaniali ma anche beni di privati. I bandi di assegnazione si susseguono mensilmente e mensilmente vengono assegnati.
Il percorso di investimento è poi supportato dai fondi europei del psr (Programma di sviluppo rurale), che sostengono queste start-up agricole corroborando i finanziamenti del privato con una compartecipazione che può anche arrivare al 60% dell’intero importo investito.
Le motivazioni che hanno animato l’avvio di questo prezioso meccanismo sono state sostanzialmente tre, oggi più attuali che mai: rafforzare le opportunità occupazionali e di reddito in aree rurali; promuovere il rinnovamento dell’imprenditoria agricola italiana, segnata da un pericoloso processo di senescenza; salvaguardare il paesaggio, la biodiversità e, in ultima analisi, il territorio stesso che, abbandonato a se stesso da decenni di spopolamento, rischia il dissesto idrogeologico oltre che l’inselvatichimento.
Non ci sono limiti di età per richiedere l’assegnazione di questi terreni: una scelta acuta e lungimirante, che anticipa il futuro di una popolazione sempre più matura, anziana, ma anche sempre più attiva e disposta a mettersi in gioco fino alla fine. Come dimostrano infatti i dati di più paesi europei, la nuova imprenditorialità di over 50 e anche over 60 è in aumento ovunque. In Inghilterra ha addirittura costituito quasi il 50% delle start-up nel 2018. Un fenomeno straordinariamente interessante quello degli old-preneurs, gli imprenditori senior. Ci torneremo.
Seppure, nello stilare la classifica dei candidati, gli under 40 e con professionalità agricola avranno la meglio, la Regione non ha posto come condizione particolari requisiti di professionalità, anche in questo caso anticipando un futuro in cui i percorsi professionali diventeranno quanto mai mutevoli e cangianti, un futuro in cui non molti potranno sviluppare storie lavorative perfettamente lineari e coerenti e si troveranno a passare da un settore all’altro.
La Banca della terra nasce dunque per offrire un’opportunità a tutte le persone interessate a trovare terreni da mettere in produzione; chiunque può partecipare ai bandi e agli avvisi per la selezione dei conduttori dei terreni e delle aziende, senza alcuna limitazione di età o di professionalità.
È interessante notare come, in entrambi gli ambiti, la Regione abbia correttamente intercettato l’essenza del nostro tempo e i trend in via di formazione. Infatti, non solo nei cinque anni di attività la Regione ha registrato un interesse forte e composito, proveniente da persone con molteplici storie di vita e professionalità, ma ha anche registrato un bilanciamento quasi equanime tra «giovani» imprenditori (ovvero al di sotto dei 40 anni), che compongono il 50% degli assegnatari, e imprenditori sopra i 40 anni di età, che compongono l’altro 50%.
Una cosa ha colto di sorpresa anche i funzionari coinvolti nell’operazione: il volume di domande che continuano ad arrivare alla loro unità operativa. Simone Sabatini, il responsabile del servizio, lo definisce «sorprendente». In cinque anni il grande successo di questa iniziativa ha portato a mettere a bando 154 lotti di terreno e ad assegnarne il 70%, creando così 105 start-up agricole con un appezzamento medio di 1300 ettari, per un totale di 6256 terreni assegnati e resi produttivi.
Terreni forestali, seminativi, vocati al pascolo o alla silvicoltura: la richiesta è robusta su tutto il ventaglio di tipologie a disposizione. È importante notare che la Regione predilige la messa al bando di terreni che abbiano al loro interno anche un fabbricato che consenta, una volta restaurato, l’insediamento dei nuovi coloni.
Fino a oggi, 125 dei lotti assegnati contenevano fabbricati notevoli che, riportati a nuova vita, rappresentano adesso un’àncora di ripopolamento e, non di rado, di ospitalità per escursionisti e turisti.
La Toscana dispone ancora di 110 000 ettari di terreno boschivo o seminativo del Patrimonio agricolo forestale regionale (pafr), uno dei più estesi in Italia. Insomma, c’è ancora molto da fare per la Banca della terra, soprattutto nella direzione della smobilitazione di terre di privati, lasciate incolte e sospese in un limbo difficile da risolvere.
Secondo la legislazione regionale, infatti, si considera «abbandonata» una terra quando non viene utilizzata e gestita per tre anni consecutivi. I comuni dovrebbero procedere a un censimento al fine di porre rimedio, ma ovviamente questo non succede a causa della mancanza di risorse e della impopolarità che azioni amministrative volte a smobilitare queste terre avrebbero sui cittadini-elettori.
Ma chi sono i nuovi coloni? Molti sono laureati; molti provengono da percorsi formativi non collegati all’agricoltura. Per ora con una prevalenza dei maschi sulle femmine per un rapporto di circa 70 a 30, avviano produzioni di alta qualità, di nicchia, e spesso mescolano agricoltura e turismo, aprendo le porte a piccoli numeri di avventori. Salendo di livello, in investimenti di calibro superiore, sono famiglie già impegnate da tempo, anche da generazioni, nel settore agricolo, che espandono e diversificano la loro attività, non di rado spingendo le nuove leve ad avviarne una loro.
Sabatini conferma il ruolo della crisi economica e della vana ricerca di lavoro stabile e ben retribuito come uno dei moventi principali nella domanda di terra. Se nei cinque anni precedenti i picchi di domande avevano già colto di sorpresa i funzionari del pool, dopo la pandemia di Covid-19, dicono, «siamo tartassati di telefonate».
La terra è, in fondo, un bene rifugio, che garantisce l’autosostentamento, offrendo una soluzione radicale e autogestita al problema del lavoro, saltandolo, anzi, a piè pari. Non si deve più lavorare per acquisire reddito, per acquisire ciò che serve per vivere. Il nuovo colono si dà casa – e cibo, e sicurezza – da solo. Anzi, ne produce in più, anche per gli altri. Se ci pensate, è uno straordinario salto di paradigma.
All’avvio della Banca della terra in Toscana è seguito il cosiddetto «Decreto Mezzogiorno ii», che ha previsto l’istituzione di enti strumentali simili anche in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il principale risultato atteso da questo progetto è la creazione di un volano per l’occupazione giovanile attraverso la smobilitazione e valorizzazione del patrimonio pubblico immobiliare delle terre. Ma anche Veneto, Lombar...