Le ferite aperte
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Le ferite aperte

Vent'anni dopo Genova, una riflessione sul monopolio della violenza, da Bolzaneto a Santa Maria Capua Vetere

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Le ferite aperte

Vent'anni dopo Genova, una riflessione sul monopolio della violenza, da Bolzaneto a Santa Maria Capua Vetere

Informazioni su questo libro

giorni del G8 2001 di Genova vent'anni dopo restano una ferita aperta. Questo breve e pregnante scritto dell'ex magistrato Roberto Settembre, estensore della sentenza d'appello sui fatti di Bolzaneto, spiega come quella sospensione della democrazia non fu un fulmine a ciel sereno e perché è ancora attuale domandarsene la ragione. I fatti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (2020) dimostrano che quelle ragioni sono ancora attuali, nonostante i processi, nonostante le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo contro l'Italia, nonostante i trattati internazionali e le Carte dei diritti, nonostante la legge sulla tortura del 2017.
L'autore non cauterizza queste ferite ma le lascia sanguinare, osservando che la "giustizia", per essere tale, deve concludere il suo percorso e giungere al giudizio, cosa che non è successa per la maggior parte dei crimini commessi al G8 2001 di Genova, in primis per l'uccisione di Carlo Giuliani.
In poche vigorose pagine Settembre affronta il tema aperto del monopolio della violenza delle "forze dell'ordine" e del "tradimento della Costituzione" da parte di chi ha infierito su persone inermi cantando canzoni fasciste o affermando "Li abbattiamo come bestiame". Un pamphlet stringato quanto necessario che invita ad avere cura della cultura democratica. Roberto Settembre
Roberto Settembre è nato a Savona nel 1950. È entrato in magistratura nel 1979, percorrendone tutta la carriera fino al collocamento a riposo nel 2012, dopo essere stato il giudice della Corte di Appello di Genova estensore della sentenza di secondo grado sui fatti della Caserma di Bolzaneto in occasione del G8 2001. Dopo di che ha scritto per Einaudi "Gridavano e piangevano", pubblicato nel 2014. Roberto Settembre si è sempre occupato di letteratura, pubblicando racconti, poesie, recensioni sulle riviste Indizi, Resine, Nuova Prosa, La Rivista abruzzese e il Grande Vetro. Con lo pseudonimo di Bruno Stebe ha pubblicato nel 1992 il romanzo "Eufolo" per Marietti di Genova e nel 1995 "I racconti del doppio e dell'inganno" per la Biblioteca del Vascello. È stata pubblicata nel mese di aprile 2018 la quadrilogia "Pulizia etica" per Robin edizioni e nel 2020 Virus e Cherie con la Rivista Abruzzese. È attualmente collaboratore di Altreconomia.

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Informazioni

Anno
2021
eBook ISBN
9788865164280
Categoria
Sociologia

Vent’anni dopo

di Roberto Settembre

Riparlare del G8 2001 di Genova vent’anni dopo non significa affatto riaprire una vecchia ferita, perché quella ferita non si è mai richiusa; ma soprattutto significa prendere consapevolezza che quella sospensione della democrazia non fu un fulmine a ciel sereno, e che è ancora opportuno domandarsene la ragione poiché quelle ragioni sono ancora attuali, nonostante i processi, nonostante le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) contro l’Italia, nonostante la legge sulla tortura del 2017, nonostante la prima sentenza della Cassazione del 2019. E i fatti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere del 2020, giunti in questi giorni alla cronaca, lo dimostrano.
Tuttavia, per quanto rimemorare quegli eventi possa essere utile per impedirne la rimozione dalla memoria collettiva, i piani sui quali vent’anni dopo pensiamo sia doveroso procedere alla loro disamina, attengono ad aspetti che trascendono quegli eventi, su cui deve esercitarsi il giudizio in termini di senso.
Deve cioè chiarirsi come, sebbene gli eventi del G8 2001 conservino tuttora i lati oscuri delle complicità supposte tra Black bloc e forze dell’ordine deviate, tra progetti finalizzati alla disfatta del movimento “no global” e legami internazionali che mostrarono la loro ombra a Göteborg e a Genova, tra la mattanza nelle strade della città, quella alla scuola Diaz e le torture inflitte per giorni interi alle centinaia di cittadini inermi nel carcere di Bolzaneto e le ragioni del senso di impunità dei loro carnefici, oggi, vent’anni dopo, è opportuno e necessario cercare di capire come mai ciò accadde, e accadde in quel modo, e perché fatti analoghi, come abbiamo appena detto, si sono ripetuti e temiamo continueranno a ripetersi in futuro, in barba ai trattati internazionali, alla Dichiarazione universale dei diritti umani, alla convenzione di New York, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea di Nizza del 2000, tutti ratificati dall’Italia, dalla citata legge nostrana sulla tortura, dall’apparente unanime consenso intorno all’esecrazione di quei misfatti.

Detto questo, essendo di pochi giorni fa un interessante e stimolante intervento scritto della ministra della Giustizia Marta Cartabia con il quale veniva affermata dottamente l’importanza della Giustizia come strumento riparatore delle rotture dell’ordine su cui si fonda il convivere civile, che deve respingere l’ansia di vendetta delle vittime, confinandola nello spazio dei singoli, poiché la Giustizia deve, per sua natura, sanare le ferite della collettività -così come Atena ebbe ad argomentare con le Erinni infuriate al termine del processo conclusosi con l’assoluzione di Oreste per l’uccisione della madre- raccontato nelle Eumenidi di Euripide, è indispensabile chiarire che la Giustizia, per essere tale, deve concludere il suo percorso e giungere al giudizio, in mancanza del quale la frattura non può essere sanata.
E tanto è accaduto per la maggior parte dei crimini commessi al G8 2001 di Genova, portati davanti al loro giudice naturale, dichiarati estinti per prescrizione, o archiviati perché ignoti gli autori del reato. Si noti un punto fondamentale: l’estinzione del reato è cosa affatto diversa dall’estinzione della pena. Mentre l’estinzione della pena, che avviene con l’indulto, mantiene la valenza nefasta del delitto, per cui il reo, sottratto alla esecuzione della pena, può riprendere, pur con il marchio della condanna, il suo posto nel consesso civile, l’estinzione del reato elimina l’antigiuridicità della condotta e, perciò, non consente l’opera riparatrice della Giustizia così come invocata dall’intervento della ministra Cartabia.
Deve cioè evidenziarsi che la dichiarazione di estinzione del reato, per qualsiasi ragione avvenga, lascia aperta una ferita, perché la Giustizia ha disatteso il suo mandato.

Tutto ciò, comunque, ancora non spiega perché quegli eventi si fossero manifestati in quel modo, e perché i cittadini abbiano assistito a repliche quasi identiche, repliche che, deve affermarsi con fermezza, non attengono a manifestazioni individuali e circoscritte di violenza, anche estrema, poste in essere da appartenenti alle forze dell’ordine, come nel caso Cucchi, ad esempio, ma all’estrinsecazione della violenza collettiva da parte di coloro ai quali ne viene appaltato il monopolio sul piano istituzionale, come se questo appalto prescindesse da un secondo, quello inscritto...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le ferite aperte
  3. Indice dei contenuti
  4. Biografia dell'autore
  5. Vent’anni dopo