1. Nota introduttiva
Voglio qui richiamare l’esperienza della Sinistra cristiana, di quel movimento cioè, formato da studenti e da operai cattolici, che ha operato soprattutto a Roma nell’arco di tempo che va dal 1937 al dicembre 1945 e che ha avuto parte rilevante nella lotta clandestina contro il regime fascista prima, e poi, durante la guerra contro le forze nazi-fasciste con azioni di propaganda e di lotta armata.
In questo movimento era maturato il tentativo originale di agganciare il mondo cattolico a quello marxista, battendo una strada del tutto diversa da quella imboccata da Gramsci e dai suoi continuatori.
Tale esperienza presenta un ulteriore motivo di interesse per il fatto che è stata condotta da cattolici convinti, almeno in quel contesto storico, di compiere un’operazione politico-culturale di vitale importanza non solo per il cattolicesimo, ma ritenuta anche un essenziale sviluppo del marxismo stesso.
È bene dire subito che questo movimento ha avuto varie sigle e che a ogni cambiamento di etichetta è seguita sempre una nuova fase di maturazione. Agli inizi nel 1938, troviamo manifesti-volantini firmati da “cattolici di sinistra”; nel 1941 il movimento si definisce “partito cooperativistico sinarchico”; dal 1941 al 25 luglio del 1943 si chiama “movimento dei comunisti cristiani”, quindi “sinistra giovanile cattolica”, poi “movimento dei cattolici comunisti”; infine, dal 3 settembre 1944 al dicembre 1945 “partito della Sinistra cristiana”, proprio quando il congresso del partito decise inaspettatamente il suo scioglimento, lasciando i propri membri liberi sulla via da seguire.
Ricordo infine che i suoi dirigenti confluirono nel PCI.
2. I contenuti dei documenti del movimento
Dato che non desidero dilungarmi in considerazioni di carattere storico, non fondamentali per l’economia di questo lavoro, cerco di esprimere in termini essenziali i contenuti di quei documenti del movimento che, pur essendo legati alle vicende storico-politiche di quel periodo, sono anche significativi per una comprensione teoretico-filosofica dei suoi principi ispiratori.
Il primo di essi è costituito dall’ ”appunto Pecoraro” stilato nel 1931 nella sottofederazione Roma-sud di Azione Cattolica, che rappresenta dal punto di vista storico l’atto di nascita del movimento. Il documento, compilato da Paolo Pecoraro, era il frutto delle discussioni avvenute nel gruppo formato da Ossicini, Coccia, Leporati, Massimi: i primi leaders del movimento.
Tale “appunto” riportava i seguenti cinque punti: “1. l’A. C., da dopo il 1931, può rappresentare l’unico organismo di massa per educare i cattolici all’antifascismo; 2. bisogna però discendere dal piano della protesta morale a quello della lotta politica; 3. la lotta politica clandestina con tutti i mezzi e con tutti i rischi può salvarci come cattolici da drammatiche responsabilità (razzismo, guerre) e avviare l’unica cosa da fare: abbattere il fascismo; 4. per far questo, pur non rompendo col passato (PPI) bisogna distinguersi da esso per la rottura che esso rappresenta di fatto nella unità delle forze popolari (salvo poche eccezioni) e per la resistenza e passare dalla protesta morale a quella politica di lotta quotidiana attiva; 5 bisogna in questa lotta senza quartiere sfatare il mito dell’unità politica di tutti i cattolici sfruttati e sfruttatori promuovendo un movimento di sinistra cristiana”.
I momenti più interessanti, che emergono da questo primo documento mi paiono essere i seguenti: l’analisi reale della società con l’accettazione della lotta di classe e il rifiuto dell’unità politica dei cattolici, con l’abbandono della pregiudiziale integralista da un lato e, dall’altro, la preoccupazione di carattere religioso e apologetico di salvarsi come cattolici, dati questi che caratterizzeranno tutta l’esperienza della Sinistra cristiana.
Frattanto, nel 1938, si verifica il collegamento del gruppo dei “cattolici di sinistra” col circolo “La scaletta”, frequentato da studenti cattolici del liceo Visconti di Roma, di cui era presidente Franco Rodano.
Questo è senz’altro il collegamento più importante sia dal punto di vista ideologico che da quello storico, in quanto si ha una fusione fra due esperienze diverse: quella di Rodano e del suo circolo a carattere più intellettuale e l’altra più attivistico-sociale dei “cattolici di sinistra”.
In entrambe le componenti era però presente il medesimo entusiasmo rivoluzionario, la stessa ansia religiosa e l’identica esigenza di riscattare, in una prospettiva politica non solo teorica, il mondo cattolico italiano dalle complicità col fascismo per ridargli poi una guida dopo il regime.
Gli anni 1939 e 1940 sono densi di incontri sempre più frequenti; si arriva così al 1941 durante il quale sono stilati due documenti: uno entro la prima metà dell’anno intitolato “La proprietà”, il secondo, del luglio dello stesso anno, è privo di titolo. Sono testi importanti, perché attraverso essi si colgono i problemi, che hanno assillato in quegli anni i membri del gruppo, i riferimenti culturali ricercati per risolverli e risulta chiaro pure il tentativo di costruzione di una teoria sociale e politica denominata “corporativismo sinarchico”.
I documenti sono stati scritti da Franco Rodano, ma sono il frutto dei dibattiti, degli incontri e del lavoro collettivo dell’intero gruppo durante i due anni precedenti.
Il documento “La proprietà” è indirizzato al clero italiano e con esso si cerca di interpretare le direttive date dal papa Pio XII circa la ricerca della pace, i punti di accordo delle nazioni, i diritti della famiglia, la salvezza della piccola proprietà, intesa quest’ultima diversamente dalla sociologia cattolica tradizionale, in chiave cioè comunitaristica, dando rilievo al personalismo e in decisa antitesi col comunismo.
Il secondo documento invece, molto più articolato e vasto, rappresenta la carta programmatica del “partito cooperativistico sinarchico”. In esso si dà ampio spazio all’analisi politica fino a tentare la costruzione di uno stato cattolico, che avrebbe dovuto instaurarsi alla caduta del fascismo. Gli elementi più interessanti del documento mi sembrano i seguenti: da un lato, si sottolinea la necessità improrogabile dell’azione nell’opposizione al regime da spingersi sino all’abbattimento del tiranno – resa legittima questa sulla base di testi di Tommaso d’Aquino – e dall’altro si diversifica l’impostazione dell’indagine e il metodo, entrambi assai diversi dal primo documento. Ora cioè si muove dall’analisi storica della realtà e da essa si risale ai principi, contrariamente a quanto invece si riscontra nel primo documento, dove gli strumenti d’analisi e il linguaggio sono ancora sostanzialmente quelli aristotelico-tomisti, con in più arricchimenti tratti dalla concezione personalistica di Maritain e comunitaristica di Mounier; nel secondo documento si assume la concezione storico-marxiana come nuovo strumento e in chiave classista sono analizzati la rivoluzione francese, il risorgimento italiano, la prima guerra mondiale, l’affermazione del fascismo, dando rilievo alla rivoluzione sovietica senza per altro accettarne completamente gli esiti, in particolare per quanto riguarda i diritti della persona. Si recepisce inoltre la terminologia marxista e sul piano operativo si decide di accettare la collaborazione dei comunisti. Sono ancora compiute alcune timide critiche sulla politica vaticana, del tutto assenti nel primo documento, e si separa la categoria della politica dalla religione, rendendola libera da ogni richiamo metafisico o morale e basandola esclusivamente sull’analisi dei fatti.
Gli ultimi mesi del 1941 e i primi del 1942 vedono dunque i giovani del partito “cooperativistico sinarchico” impegnati su questi temi e su queste discussioni che rivelano il desiderio del gruppo di conoscere il mondo comunista con la sua ideologia, e l’ipotesi dell’incontro con esso risultava critica e stimolante allo stesso tempo.
Il risultato di queste analisi storico-dottrinali sfocia in conclusione non solo in incontri sempre più frequenti nei quartieri e nelle parrocchie con comunisti, ma si stabiliscono anche rapporti organici con personaggi molto rappresentativi del PCI, quali Ingrao e Alicata, con i quali Rodano e Ossicini, in rappresentanza del movimento, nel dicembre del ’42, costituirono una centrale antifascista unitaria tra cattolici e comunisti.
Ciò fu possibile anche per l’atteggiamento assunto dalla gerarchia cattolica, che aveva cominciato a prendere le distanze dal regime. E il fatto che veramente ebbe a incoraggiare il gruppo di Ossicini e di Rodano a proseguire su questa strada fu la forte suggestione esercitata su di loro dal messaggio natalizio di Pio XII nel dicembre del 1942.
3. L’unità operativa antifascista
Si giunge così alla costituzione di un’unica direzione politica, formata da Alicata, Lombardo Radice, Ingrao, Rodano e più tardi Ossicini, che comportava un’unica disciplina nella attività cospirativa per entrambi i gruppi, pur nel rispetto delle elaborazioni ideologiche e delle organizzazioni rispettive. In questo modo si realizzava l’unità operativa antifascista, salvando nello stesso tempo le rispettive concezioni e superando lo scoglio del problema religioso.
È proprio nel dicembre del 1942 che i gruppi capeggiati da Ossicini e da Rodano assumono la denominazione di “comunisti cristiani”, a significare anche nel nome l’unità di azione con i comuni...