Sportivi e felici
eBook - ePub

Sportivi e felici

  1. 128 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Lo chiamano l'ormone della felicità. È l'endorfina e ci procura una piacevole sensazione di pace.Lo produce lo sport. Quante volte prima di un circuito o di una corsa ci sentiamo demotivati, ma ci imponiamo di andare avanti? E che cosa succede quando abbiamo finito? Che ci sembra di essere più carichi di prima. Questo libro arriva al termine di un periodo difficile per tutti e vuole condurre il lettore attraverso il come, il quando e il dove del buon allenamento: le schede, l'alimentazione, la scienza... Per essere sportivi e felici. Vengo da una famiglia disagiata. Con un padre alcolizzato
e violento. Ho passato un'infanzia travagliata. Ero arrabbiato
con il mondo. Da adolescente ho iniziato a drogarmi,
credevo che così sarei stato meglio. Dopo la naja mi facevo
di brutto. Ero un tossico. Poteva essere quella la mia vita?
Lo sport mi ha salvato, mi ha detto "esci dalla strada
e trova la tua strada". Avevo 19 anni.
A 20 sono andato in palestra. A 21 ho cominciato a combattere.
A 23 ero in nazionale. Ho completamente voltato pagina. Giacobbe Fragomeni
Campione del mondo dei pesi massimi leggeri WBC, nel 2008

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Informazioni

Anno
2021
eBook ISBN
9788863458923

Capitolo 1

Fenomenologia dello sport amatoriale

Li vediamo tutti i giorni: nei parchi, per strada, in montagna, al mare. Spesso i runner cominciano per gioco. Poi prendono sul serio il divertimento e alzano il tiro cimentandosi in competizioni sui cinque mila, sui 10mila, sulle mezze maratone e sulle maratone intere. È così anche per ultra sessantenni che partecipano a circuiti internazionali di gare di sci con risultati sbalorditivi, per professionisti, impiegati, studenti, operai, disoccupati, uomini e donne, che salgono sul ring e si pestano, con tattiche millimetriche, nel corso di tre defatiganti round, per praticanti di arti marziali come il karate shotokan che si allenano tre, quattro volte a settimana. Si può capire che cosa si nasconda nell’anima e nel cuore di chi, a un certo punto della sua vita, inizi a esercitarsi in una disciplina sportiva con determinazione, con costanza e con dedizione, dando un’occhiata al curriculum atletico di uno dei due autori del libro, Salvatore Ciconte, pugile, maratoneta, coach. La miglior definizione di “amatore” è la parte iniziale della sua storia.
Ciconte era un ragazzo nel pieno della adolescenza toccata, nel suo caso, da una perdita, da un dolore. Nel settembre del 1992 morì suo padre. Ed è assai probabile, lo racconta lui stesso, che fu proprio quel vuoto interiore la molla che lo spinse a cercare una palestra, per la prima volta. Chissà, uno sfogo, una ricerca istintiva di centralità, di equilibrio. Guardava i pesi, il primo contatto di tutti quando entrano in una sala per allenamenti. Però il clima e il contesto non erano esattamente quelli che si aspettava: palestrati, cyclette, preparatori atletici. Un bailamme, dove si scorgeva la fatica, è vero, ma non erano ben definite le finalità. O, forse, non erano quelle che il giovane Ciconte voleva perseguire. Volere è potere, suggerì la sua vocina interiore. Io voglio, io posso. E così trovò, in quel gran misto di circuiti, attrezzi, sacchi, fatica e sudore, il primo oggetto del suo amore: la Muay Thai.

Otto colpi e ascolta in silenzio

La Thai boxe è lo sport delle otto braccia. Quando nacque, in Thailandia, più di mille anni fa, si chiamava Siam. Vi chiederete: perché otto braccia? Ecco la spiegazione: due pugni, due gomiti, due piedi, due ginocchia. E fa otto: otto strumenti con cui colpire o con cui difendersi. La Thai è una pratica completa, sia dal punto di vista atletico e del training di allenamento, con circuiti intensi e molto faticosi, al sacco e a terra, con scatti e addominali, sia come difesa personale. La finalità è il combattimento sul ring. Ma è molto utile anche nella realtà della strada. La struttura tattica e posturale della Thai ricorda quella degli spadaccini: si colpisce con calci e pugni e si scappa. In alcune fasi si ricorre al corpo a corpo con l’uso, soprattutto, di gomiti e di ginocchia. Niente paura: i colpi ravvicinati fanno meno male di quelli portati da distanza.
Combattere è un’arte tra le più difficili. La buona riuscita amatoriale di attività marziali come la Thai boxe, dipende in gran parte dal clima che si crea durante gli allenamenti, da quando e da come si impara a portare i colpi, ad attaccare, ma anche a prenderle, parte fondamentale della strategia degli incontri, dei match. Due trucchi molto utili: stare zitti ed eseguire semplicemente quello che dice il Maestro. Si impara più in fretta e con maggiore profondità. Urla, telefonini che squillano, chiacchiericci, scenario tipico delle sale pesi, non sono permessi. Che fu la linea seguita da Ciconte in maniera rigorosa. Fino a quando il suo Maestro, un giorno, gli disse: «Hai delle belle qualità. Secondo me, in futuro, tu sarai un ottimo istruttore».

Sportivi si nasce e si diventa

Correre, sciare, salire sul ring. E tanto altro ancora nel mondo dello sport cosiddetto amatoriale. Occhio però a non sottovalutare l’impegno con l’alibi del tanto siamo “solo” amatori. Sarebbe imperdonabile, dannoso e renderebbe vani i vostri sforzi. Senza finalità non si va da nessuna parte. Allora, per capire, vediamo chi è il praticante amatore.
Intanto: è il cuore delle palestre. Senza amatori non ci possono essere i professionisti. Sono il motore principale di tutti gli sport. Le palestre esistono per loro. E loro per le palestre.
Rappresentano, inoltre, il lato produttivo ed economico dello sport diffuso. E sono il vessillo della serenità: nelle palestre litigare è difficile. Ci si iscrive per divertirsi, per prepararsi, per fare relazione. Perché prendersi la briga di cominciare, spinti da motivazioni multicolori, di farsi fare un badge per recarsi tot giorni alla settimana a prendere ordini da un preparatore che ci sottopone a sedute sempre più faticose? Beh, per esempio, perché ci fa scoprire capacità che non sapevamo di avere. Aiutandoci, quindi, a spostare verso l’alto l’asticella dei nostri limiti e a recuperare quell’autostima che, per qualche motivo, avevamo perduto o stavamo perdendo.
Una domanda semplice da un milione di dollari: perché allenarsi? Intanto per stare bene. L’allenamento produce l’endorfina, chiamato l’ormone della felicità. L’organismo umano dispone di serbatoi. Il primo, quello basale serve quando siamo fermi (se la frequenza cardiaca è sotto i 50-80 bpm – battiti per minuto), soprattutto di notte. È inefficiente durante il training e quindi non ha un aspetto aerobico. Il serbatoio lipidico, invece, entra in gioco con il movimento (oltre i 110 bpm e fino ai 135 bpm): la frequenza cardiaca si alza velocemente. In questa situazione il corpo inizia a consumare i grassi (contenuti nel serbatoio lipidico). Ecco perché per bruciare i grassi serve una corsa lenta. Il cardiofrequenzimetro è fondamentale per regolare il nostro sforzo fisico. In alternativa è possibile misurare le pulsazioni mettendo l’indice destro sul polso sinistro e contare il numero di battiti in un minuto. Se la misurazione fisica non coincide con quella effettuata dal cardiofrequenzimetro, quest’ultimo è tarato male e va cambiato. Oltre i 130 bpm e fino ai 160 bpm, si attiva il motore aerobico, da cui prende il nome l’allenamento: allenamento aerobico. È in questa fase che l’organismo consuma zuccheri. E, per dirla a chi tanto ci tiene alla linea, tutto ciò che è carboidrato contiene zucchero. Quando ci si riferisce agli zuccheri occorre sapere che se ne distinguono due categorie: lo zucchero veloce viene consumato istantaneamente (frutta e verdura); quelli contenuti in pasta, riso e pizza, invece, sono a lento rilascio. Superando la curva cardiaca di 163 bpm si sfocia nell’allenamento anaerobico che non consuma zucchero o ossigeno (iperventilazione) e crea acido lattico. L’acido lattico si forma sui tessuti muscolari quando si superano i limiti e ci crea disagio affinché ci si accorga che il nostro organismo non è preparato per sostenere uno sforzo di questa portata. A quel punto è necessario rallentare la performance.
Dunque gli aspetti aerobici dell’allenamento fanno lavorare il motore del metabolismo e la batteria del nostro organismo si autoricarica, creando endorfina. La circolazione di endorfina produce felicità. Che, però, possiamo mantenere a un livello apprezzabile se ci impegniamo a combattere eccessi e vizi: una buona via anche per ottenere migliori risultati sia in allenamento che in gara. Non mangiare troppi dolci, limitare i carboidrati, ridurre al minimo gli alcolici. Bandire totalmente le droghe. L’abuso di dolci, per esempio, comporta l’assunzione di zuccheri in eccesso che il nostro corpo, non riuscendo a eliminare (trasformandoli in zucchero muscolare), tramuta in grasso. Per smaltire un quadratino di cioccolato serve mezz’ora di corsa lenta. Più si consuma zucchero più il lavoro per smaltirlo cresce esponenzialmente, fino a essere impossibile da portare a termine. Resistere alle tentazioni è un buon lavoro mentale. La regola è applicabile anche ai carboidrati. L’allarme biologico che ci avvisa dell’esagerato consumo, per esempio, di pasta è la sonnolenza post-pasto. Il fegato è affaticato e, quindi, la sonnolenza è il suo modo per comunicarci che sta male. Infatti, quando il fegato è malato, ci si sente sempre stanchi. Seguendo una dieta ricca di vitamine e in equilibrio con carboidrati e proteine, cessano gli sbadigli fuori programma. Infine, l’alcol: è un altro veicolo che disturba le prestazioni, intaccando la resistenza e aumentando la fatica.

Belli, sani e forti

Combattere i vizi si può. Il primo allenatore siamo noi. Se riusciamo a moderarci, da soli, evitiamo problemi fisici. Il secondo coach è il coach vero e proprio, il quale impedisce all’atleta l’abuso di questi agenti che intaccano la prestazione, fino al giorno della prova. Il terzo preparatore è chi ci sta vicino, che ci richiama all’ordine quando esageriamo.
Si va in palestra anche per sudare così poi ci si può concedere un aperitivo in più. In fin dei conti è una forma di equilibrio, a suo modo. In sostanza: è possibile riuscire a non ingrassare. Sudare, sudare…
La sudorazione è importante perché il nostro fisico, sotto sforzo atletico, cerca di mantenere l’omeostasi termica: una temperatura di 36 °C. Quando ci si allena, la temperatura tende ad aumentare. Il sudore è il meccanismo fisiologico per mantenere i livelli di temperatura. La mancanza di sudorazione, dovuta probabilmente a una cattiva alimentazione, può comportare l’innalzamento della temperatura. Per dimagrire è utile effettuare allenamenti sotto soglia aerobica, in frequenza lipidica (dai 120 ai 140 bpm, in termini di pulsazioni cardiache). È importante ricordare che l’allenamento in sé, non fa dimagrire, semmai dà una mano al dimagrimento. Serve, piuttosto, per tonificare la muscolatura, che va poi alimentata con la proteina. Il muscolo è fatto di tante fibre, composte di aminoacidi che, per risanarsi dopo un allenamento, hanno bisogno di proteine (carne, pesce, uova, legumi e per i vegani la vitamina B12). Il vero sprint per il dimagrimento è il training a tavola. Chi si allena alle prime ore della mattina, spesso non mangia o mangia poco (frutta secca), pasto veloce che non innesca la digestione. È una dieta indicata per un allenamento medio (tipo corsa veloce). Se si fa sport a metà mattina, invece, è utile fare colazione con fette biscottate con marmellata o con una fetta di crostata e il thè al limone. È meglio mettere il fisico sotto sforzo atletico almeno due ore dopo aver mangiato, così da evitare problemi di nausea. Allenarsi con il cibo nell’organismo, infatti, provoca conati perché la maggior parte del sangue risulta concentrata nello stomaco per il processo digestivo (trasformazione del carboidrato in glicogeno e della proteina in aminoacido) e manca, di conseguenza, nei settori sotto sforzo. Il nostro organismo, in pratica, ordina al sangue, occupato nel processo digestivo, di recarsi nei settori sotto sforzo, dove è necessario. In questo modo lascia scoperto l’apparato digerente, anche lui bisognoso di sangue. Il conato di vomito, dunque, è l’impulso fisiologico volto a terminare una delle attività (in questo caso la digestione) per concentrare il sangue dove più serve. È lo stesso motivo per cui occorre aspettare due ore prima di fare il bagno. Una buona dieta per dimagrire, dunque, è così composta: la mattina i carboidrati. A pranzo ancora carboidrati per integrare l’allenamento. La sera proteine con carboidrati vegetali a rilascio veloce (verdura, patate). La formula per non sbagliare è: proteine dopo l’allenamento; carboidrati prima dell’allenamento; proteine dopo una giornata di lavoro; un bicchiere di acqua all’ora per mantenersi idratati.
In palestra o a correre si va, confessiamolo senza false timidezze, anche per vanità. Spinti da una ricerca estetica: i muscoli, il fisico asciutto, essere in forma. Occhio, però, alle esagerazioni maniacali, estendendo il concetto di allenamento a tutti gli aspetti della propria vita con eccessi nelle limitazioni. Spesso si commettono due errori: limitare troppo l’alimentazione, rischiando la spossatezza fisica e sottoporsi a circuiti esagerati, andando incontro a probabili incidenti. In questi casi, l’amatore entra nell’overreaching (l’anticamera dell’overtraining). L’overreaching è una fase di affaticamento che causa spossatezza, inappetenza, disturbi del sonno. Questi piccoli sintomi sono degli allarmi di autotutela da parte del fisico. L’overtraining è più pesante: prevede la mancanza di energia e infiammazioni muscolari. È di fondamentale importanza, quindi, saper ascoltare il nostro corpo che ci parla sempre, che ci avverte dei rischi e dei pericoli a cui stiamo andando incontro.
Il primo messaggio del nostro organismo, difficile da captare, è l’aumento della frequenza cardiaca quando siamo a riposo. Il secondo è l’inappetenza: mancanza di appetito. La terza fase, che di solito va a braccetto con la seconda, è l’insonnia: non abbiamo sonno. Succede questo quando il nostro fisico vuole dirci che è necessario rallentare con l’allenamento. Si può anche fare questa prova: indossare un cardiofrequenzimetro e correre velocemente fino alla stanchezza. Una frequenza di 140/138 bpm, al posto di 150/160 bpm, è sintomo di overtraining. Se dunque la frequenza cardiaca non sale, soprattutto sotto sforzo, sopra una certa soglia, è arrivato il momento di fermarsi. Tutto si risolve con il riposo e una buona alimentazione.
Gli altri piccoli disagi a cui va incontro lo sportivo sono le tendiniti, le periostiti, i dolori alle gambe o alle braccia. Morale della favola: se non avete ancora le conoscenze giuste e le esperienze sufficienti per dialogare con il vostro corpo, imparate ad ascoltare almeno il vostro coach, che vi porta sulla strada più giusta, cioè verso l’allenamento migliore.

Migliorare nello sport, migliorare nel lavoro

Per capire fino in fondo lo spirito del buon praticante amatoriale, per valutarne il senso più profondo, ecco la testimonianza di un imprenditore italiano che svolge la sua attività professionale all’estero.
«Sono stato fortunato. Ho trovato un bravo coach. E ho conosciuto aspetti di me stesso, reconditi per la mia mente. Mi segue dal 2007 e il suo approccio è del tutto simile a quello che serve nella mia professione di manager: capacità di cambiare e miglioramento continuo. Per vivere delle giornate piene di significato occorre lavorare costantemente per migliorarsi raggiungendo i propri obiettivi nel lavoro come nello sport.
Nella mia professione la filosofia del miglioramento continuo si traduce nell’imparare costantemente anche con l’aiuto di un mentore e nello sport migliorarsi significa allenarsi con la guida di un bravo trainer. Mi sono accorto che il mio allenatore negli anni ha affinato il suo metodo, segno di grande professionalità. Si è aggiornato, ha lavorato su se stesso. E posso dire senza essere smentito che è stato capace di scoprire l’importanza di adattare i programmi alle esigenze delle persone, e come i recuperi facciano parte dell’allenamento e servano anche per minimizzare i rischi d’infortunio. L’esperienza aiuta nello sport come nel lavoro e così anche io ho imparato a dedicarmi ai progetti in cui credo valorizzando i miei collaboratori.
La pandemia ci ha messo tutti alla prova, ma se abbiamo resistito all’isolamento, alle restrizioni e ai molti eventi tristi è anche grazie alla disciplina che insegna lo sport che è fondamentale per il nostro equilibrio mentale. Chi aveva dei dubbi oggi sa che allenarsi è un elemento chiave che aiuta anche a superare le proprie sfide lavorative».

Con i suoi record ha trovato la gioia e battuto il dolore

Claudio Alghisi ha 65 anni ed è un pensionato che fa molto sport. Di professione è un pubblicitario. Fu tra i comunicatori del progetto-tormentone dell’ice-bucket-challenge. Ricordate? Era il 2014. La doccia fredda dell...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Descrizione
  3. Biografia
  4. Frontespizio
  5. Copyright
  6. Indice
  7. Introduzione. Muoversi bene per stare bene
  8. Capitolo 1.Fenomenologia dello sport amatoriale
  9. Capitolo 2.Diventare professionisti
  10. Capitolo 3.Forti come i maschi. O quasi
  11. Capitolo 4.Protocollo Cicca. La pratica ammazza la grammatica
  12. Capitolo 5.Allenarsi per dimagrire. Dimagrire per allenarsi
  13. Capitolo 6.Sesso e sport. Nessun problema
  14. Capitolo 7.Quanto e, soprattutto, come spendere per lo sport
  15. Capitolo 8.Gli acciacchi dell’atleta, come prevenirli, come curarli
  16. Capitolo 9.Il senso della scienza per lo sport
  17. Capitolo 10.Com’è strano quello sport
  18. Capitolo 11.Tre storie, tre interviste
  19. Gli autori