L’affaire Cristina non è l’unica causa dell’allontanamento di Frida e Diego. Rivera ha una visione aperta del matrimonio, soltanto però quando riguarda il suo campo d’azione. Ben diverso è il punto di vista quando a prendersi libertà è la moglie. Non discute delle sue passioni al femminile, che non lo fanno in alcun modo sentire messo in discussione e dalle quali, anzi, si sente parzialmente stuzzicato e perfino “protetto”, visto il grande appetito sessuale della giovane moglie. Ciò che non tollera è che Frida possa essere di altri. Il tempo, anche qui, opererà dei distinguo, tra dedizione e corpo. Ma Diego manterrà comunque di base il maschilismo tipico della cultura e dell’epoca, ritenendo Frida “sua”, nel senso più profondo e assoluto del possesso. Abituatasi alle relazioni extraconiugali del marito, Frida comincerà ad adottare un diverso atteggiamento verso il mondo, riscoprendo la “vocazione” al piacere che, con il matrimonio, per qualche anno sembrava aver sopito per concentrarsi sulla sua nuova situazione.
L’America non aiuta i Rivera. Diego è spesso impegnato. Frida, di conseguenza, spesso sola. Il Paese non le piace, troppo borghese per i suoi canoni da rivoluzionaria. E troppo freddo. I numerosi interventi, gli aborti, i lutti: tutto porta Frida a odiare gli States – malgrado nelle lettere alle amiche scriva che New York è splendida e piena di belle cose – Diego invece li ama come mera reazione all’entusiasmo che il Paese manifesta per lui. Frida lo asseconda, diventando agli occhi di stampa e società, la bambolina esotica che accompagna l’artista. Per un po’ sostiene il gioco, divertita dalle banalità dei personaggi, in particolare quelli femminili, che la attorniano, ma è stanca e desidera tornare in Messico, a casa, però non può e non osa chiederlo. Intanto, Diego, in quel nuovo ambiente, si concede qualche conquista. Sono sposati da circa un anno e Diego già la tradisce. A sedurlo è la bellezza di Helen Wills Moody, tennista dal viso d’angelo – ricorda quello di Cristina – e dal corpo atletico, che sceglie come modella per il suo murale Allegoria della California sull’edificio del Pacific Stock Exchange. Quale donna potrebbe resistere a una dichiarazione monumentale come quella? Helen non lo fa e presto diventa amante dell’artista. È bella, tonica, una campionessa – nel suo carnet, a fine carriera, spiccheranno 398 partite vinte, solo 35 perse, 19 titoli del Grande Slam, altri nove in doppio, otto affermazioni a Wimbledon, sette a Flushing Meadows e quattro a Parigi tra i quale un doppio oro olimpico – affascinante nello sforzo dei colpi, seducente nella dolcezza di taluni sguardi riservati. Anche lei determinata e forte, come piace a Diego. Anche lei amante delle arti e perfino esperta, visto che proprio in Belle Arti si laurea all’università di Berkeley. Anche lei pronta a fare le sue rivoluzioni e, come Frida, disposta a mettere a frutto la propria immagine – rivoluzionerà la “divisa” delle tenniste – per scardinare stereotipi. Il periodo in cui incontra Diego è uno dei più fortunati della carriera: Helen, o Little Miss Poker Face come la chiamano nell’ambiente per il suo sguardo indecifrabile, tra il 1927 e il 1932 otterrà ben 158 vittorie consecutive. E un Rivera.
I segnali di quella relazione sono evidenti e non solo per le misure dell’“omaggio”. Diego organizza le giornate in modo da trascorrere con lei il maggior tempo possibile. Si assenta a lungo. La scusa è sempre l’impegno del lavoro ma, in fondo, è una formalità, più che altro una consuetudine, in realtà non si preoccupa granché di non far insospettire Frida. Una moglie non può che accettare i capricci del marito. Diego lo sa bene. Anche Lupe, passionale, irruente e fortemente gelosa, non ha potuto fare altro che accettarli. Litigavano sì e le scenate erano violente e frequenti, ma alla fine Lupe abbassava la testa di fronte al temperamento del suo Diego e alle sue libertà mai messe in discussione. La sua “distrazione” non può passare inosservata, specialmente a Frida che non ha occhi che per lui, soprattutto in quel Paese che le appare così grigio, spento. Osserva il marito, intuisce la presenza dell’Altra, trova le prove. Non dice nulla, però. Tollera come infinite altre mogli prima e dopo di lei. Diego non è uomo di una sola, in fondo lo ha sempre saputo, ma la signora Rivera è lei. Unicamente lei. Quella sicurezza però non le basta. Non è più e non è solo questione di titolo. Frida ha bisogno di contatto, attenzioni, affetto. Amore. E se Diego non può darglielo, è inevitabile che finisca per cercarlo altrove.
Il primo conforto che cerca – e trova – è nell’abbraccio femminile. Frida è attratta dalle donne forti, lo è sempre stata, le piace legarle a sé in rapporti profondamente emotivi e non di rado passionali, amicizie più profonde della norma, spesso ambigue, fatte anche di quel contatto di cui Frida ha bisogno come metro di affetto e relazione. Il suo corpo, così bistrattato, ferito, profanato, è uno strumento di conoscenza ed esplorazione del mondo. Il più sincero e fedele forse. È attraverso il corpo che Frida racconta di sé e pure delle proprie emozioni. È attraverso il corpo che “conosce” ed esplora l’unico orizzonte che realmente le interessi, quello interiore. Dopo la prima esperienza saffica in biblioteca, Frida si è fatta “conquistare”, in realtà conquistandole, da altre donne. Quando Alejandro Gómez Arias era lontano, in Europa, ha conosciuto e frequentato la russa Aleksandra Kollontaj, ambasciatrice in Messico dal 1925 al 1927. Più grande di lei e più forte, Aleksandra era un “modello” importante per la giovane Frida. Ha sposato un cugino per liberarsi dalla minaccia di matrimoni combinati, anche con uomini molto più anziani – la sorella diciannovenne era andata in sposa a un sessantenne – solo per il bene e il benessere della famiglia. Donna di cultura, si è fatta “voce” della rivoluzione, anche al femminile, tra agitazioni e stampa clandestina, fino ad arrivare nel 1918 all’organizzazione del primo Congresso delle Donne Lavoratrici Russe che contribuì al riconoscimento alle donne del diritto d’istruzione, voto, elezione, salario eguale a quello degli uomini, divorzio e aborto. Tanta fermezza aveva attirato la giovane artista, affamata di personalità determinate e di rilievo, fino a spingerla forse a sperimentare l’amore di quella donna.
Poi c’è stato il legame con la Modotti.
Ora in America, si guarda intorno. Non può non farlo. Cerca conforto ma anche rivalsa. Forse, vendetta. La sua prima amante americana è lady Cristina Hastings, nata Casati. Un’italiana emigrata, come Tina Modotti. E soprattutto la moglie di uno dei nuovi amici di Diego, Jack Hastings, appunto, Conte di Huntingdon che si presenta però come pittore e comunista, che chiama Rivera “maestro” e diventa suo assistente. Cristina è attraente, di una bellezza esotica, dai colori decisi, che all’epoca, sembrava affascinare l’America. È alta e molto magra, ha un fisico longilineo che le conferisce un’aura d’innata eleganza. L’incarnato pallido è la perfetta cornice per i capelli neri e gli occhi scuri, profondi. È distante da ogni donna che Jack abbia incontrato fino a quel momento. Il fascino latino di Rodolfo Valentino ha fatto breccia e scuola. E ogni italiana sembra l’icona della sensualità mediterranea. Non a caso, la stessa Modotti si troverà facilmente protagonista di più film. Cristina, figlia unica, nel 1919 viene mandata a Oxford per migliorare il suo inglese. Nel 1923, al termine degli studi, conosce Jack. Si vedono, per la prima volta, a un pranzo al Savoy. È un colpo di fulmine. Sono entrambi giovani, eleganti, belli ma anche tanto diversi da affascinarsi. La famiglia sarebbe contraria a quella relazione, Jack ne è pienamente consapevole. Il suo futuro è scritto, sin dalla nascita: istruzione a Eton e Oxford, matrimonio con un’ereditiera per dare al titolo i “lussi” che la famiglia non può più permettersi, una carriera di prestigio nella City e qualche “ozio” tradizionale, tra caccia, tiro e pesca. Una donna come Cristina, straniera, cattolica e senza lignaggio o dote, non è ipotizzabile. Jack però non ha alcuna intenzione di conformarsi al modello. Da quando ha incontrato quella ragazza italiana la sua vita è uscita dalla visione di quell’unico possibile e incontestabile destino. Lei gli regala un nuovo sguardo su mondo e vita. E, con questo, delle prima impensabili, ora irrinunciabili, possibilità. Così porta avanti la relazione clandestinamente, finendo in questo modo per attribuire al legame ancora più mistero e fascino. I genitori non intuiscono cosa sta accadendo e Jack gioca la parte del giovane indolente, pigro, disinteressato alla carriera e alle responsabilità. Anche questa attitudine è mutuata da Cristina, che non ha gli stessi obblighi o le stesse pressioni del fidanzato, ma neppure le stesse opportunità. Lei non sa ancora cosa farà, ma invece di ostentare il peso del dubbio mostra a Jack la sorpresa del prendere – e perdere – tempo. È una sorta di magia che lo strega. Jack si concede l’esperienza di un viaggio in Italia, attardandosi e dedicandosi alla pittura, un’attività inadatta secondo il padre che gli dimostra come il figlio non abbia alcuna fretta di farsi uomo. In realtà è Cristina, anche lei con ambizioni artistiche, a sostenerlo in quella nuova presa di posizione. La famiglia mal interpreta quel sentimento d’indecisione e tenta di correre ai ripari. Allontana il figlio dall’Italia, suggerendogli di andare in Australia. Agli occhi dei genitori quell’indolenza non può che derivare da un problema “maschile”: il figlio ha bisogno di divertirsi, o meglio di correre la cavallina come si soleva dire, prima di iniziare a porre solide basi per il suo futuro. È la madre, per paradosso, non il padre di Jack a suggerire quella soluzione, convinta che, dato sfogo all’eccesso di pulsioni e ormoni, poi il ragazzo riprenderà a condurre la sua esistenza come stabilito.
Quando la coppi...