È Weston a lasciare Tina, è vero. Ma è stata lei, molto prima, a “tradirlo” con il Messico. Italiana cresciuta in Austria, trapiantata in America, finalmente Tina sente di aver trovato in quel paese la sua casa. Qui sta bene. Aveva ragione Robo. Qui può crescere. Lo capisce sin dal primo sguardo. La gente è umile, interessante, vitale, rivoluzionaria nel senso più profondo del termine. Non la giudica, non la condanna. La accetta come signora De Richey al suo arrivo e la tratta poi come signora Weston. Senza fare domande, senza dare giudizi. La legittimità, qui, sembra risiedere semplicemente nell’azione. E Tina aveva bisogno di questo. Di questo e di molto altro. Il Messico sembra riuscire a rispondere a tutte le sue domande. C’è quell’atmosfera di crescita e diffusione che aveva colpito anche Robo. Qui l’arte si fa in strada – i murales – e in strada s’impara, grazie a laboratori di artisti. Non si crede alla trascendenza del talento ma a una ben più democratica pratica del segno e dell’espressione. Poi, certo, la capacità cambia da persona a persona, ma tutti devono avere spazi riservati alla comunicazione del sé, perché in modo grezzo o più sofisticato, tutti possono aver qualcosa da dire. Qui c’è una povertà che conosce, ma c’è pure la fierezza del lavoro. C’è una comunità operaia che è la realtà delle teorizzazioni sentite in casa, prima dal padre, poi dal marito. E c’è spazio per il suo essere donna, sola, con un amante sposato con figli e peraltro lontano.
Chi è la Tina “messicana”? È l’anticonformista, che apre la sua casa senza porsi domande, che accoglie e non giudica, che ascolta avida le “lezioni” della vita altrui. È la donna che indossa i jeans per potersi muovere con l’agilità di un uomo, fuma la pipa per farsi prendere seriamente alla pari e poi si spoglia, invece, iper-femminile in nome dell’arte. E dell’artista. È la donna che si lancia con entusiasmo in ogni impresa, ogni amicizia, ogni relazione, regalando all’attimo la vastità del dono di sé. Ma attenzione è un “ogni” ben mirato. Tina prende, golosa, tutto quello che di interessante, le venga offerto, di più tutto quello che di nuovo intravede nell’Altro, e lo ripaga, dando se stessa e lasciando apparentemente a chi le si avvicina la facoltà di scegliere in quale misura può sopportare un dono che è, di fatto, un’investitura. Un atto, intimo, di elezione. Tutto il contrario di ciò che sembrava, insomma. Perché Tina applica il suo diritto di selezione già all’inizio del rapporto, chiamando ciascun ospite a stupirla con il proprio essere. Tollera la banalità, ma fa coda di pavone delle proprie armi seduttive solo per chi riesce a meritare la sua attenzione, pur mantenendo la patina “democratica” di un accesso libero e non filtrato. Se sono gli altri ad avvicinarsi e a farsi stregare dal suo fascino, è perché lei ha già deciso di mostrarsi per la conquistatrice che sa di poter diventare. Una sorta di mantide intellettuale. E Tina, più che mai qui, è la giovanissima figlia di un socialista convinto, divenuta giovane moglie di un comunista militante, finalmente alle prese con la “realtà” delle infinite parole udite, ripetute, sostenute, condivise. Sognate.
È l’ideale a muovere gli artisti nel paese in quegli anni. Alla fine dell’Ottocento, filosofia e proclami di anarchici e socialisti si sono diffusi velocemente nei paesi dell’America Latina. Gli operai hanno cominciato a far sentire la loro voce. La rivoluzione messicana, iniziata nel 1910 per liberare il paese dalla dittatura di Porfirio Diaz, si è conclusa nel 1917 con l’emanazione di una Costituzione politica degli Stati Uniti Messicani, che riconosce, tra gli altri, come punti fondamentali il diritto alla libertà e alla libera espressione, nonché all’educazione. È la prima a riconoscere i diritti sociali dell’individuo, primo tra tutti un lavoro degno. E, più interessante ancora dal punto di vista della Modotti, la prima a parlare di cultura in un testo di legge:
I criteri che orienteranno questo tipo di istruzione dovranno essere basati sui risultati del progresso scientifico, combatteranno l’ignoranza e i suoi effetti, la servitù, il fanatismo e il pregiudizio. Inoltre: a) Dovranno essere democratici, considerando la democrazia non solo come struttura giuridica e regime politico, ma come un sistema di vita basato sul costante miglioramento economico, sociale e culturale delle persone; b) Dovranno essere nazionali nella misura in cui – senza ostilità o esclusività – si adopereranno per comprendere i nostri problemi, per sfruttare al meglio le nostre risorse, per difendere la nostra indipendenza politica, l’espressione della nostra indipendenza economica, la continuità e la crescita della nostra cultura; c) Dovranno aiutare a migliorare i rapporti umani, sia gli elementi che contribuiscono a rafforzare in coloro che apprendono, oltre al rispetto per la dignità e l’integrità della famiglia, la convinzione dell’interesse generale della società, sia per l’attenzione che dedicherà nel sostenere gli ideali di fraternità e uguaglianza dei diritti di tutti gli uomini, evitando privilegi di razza, religione, di gruppo, di sesso o individuali.
Il popolo chiede per sé e ottiene il diritto a un’educazione di qualità che è requisito per la comprensione del mondo e del vivere. Pretende una formazione culturale, intendendo la cultura come uno dei principi del sistema democratico, necessario per contrastare ignoranza, pregiudizi, razzismi e favorire lo sviluppo della comunità retta su eguaglianza e fratellanza. Nel 1919 viene fondato il Partito comunista messicano. I tempi, visti i movimenti degli studenti in altri paesi dell’America Latina, sembrano maturi. Il russo Mikhail Borodin Markovich, appena entrato in Messico con la prima missione dell’Internazionale Comunista, affiancato dall’indiano Manabendra Nath Roy, decide di fondare il Partito. È una scelta dettata dal momento più che da un’attenta analisi delle reali condizioni del Paese, dove ancora forti sono sindacati e anarchici. Un ostacolo forte alla formazione – immaginata – di un partito di massa. Ciò non significa che manchino sostenitori e militanti. Nello stesso anno, Josè Clemente Orozco anima una militanza di artisti decisi a fare la rivoluzione, anche armata, per affermare il diritto all’espressione culturale. È l’inizio del rinascimento murale messicano, di cui José Clemente Orozco sarà uno dei padri con Diego Rivera e David Alfaro Siqueiros, che insieme nel 1923 fonderanno il Sindacato rivoluzionario di t...