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I misteri di Napoli
Informazioni su questo libro
Sulla cartina della città di Napoli l'autore ha scelto dieci luoghi. Sono luoghi che definisce "magnetici", luoghi che attraggono tutti coloro che, come lo stesso autore, almeno una volta nella vita li hanno vissuti in prima persona. Luoghi che esercitano un incredibile fascino e la cui natura è, in parte, del tutto misteriosa. Le spiegazioni razionali sono già sufficienti a spiegare questa attrazione, ma Melissi ritiene ci sia di più: qualcosa che sfugge, legami invisibili, influssi segreti che hanno il potere di intervenire sulle sinapsi, di condizionare la vita dell'individuo stesso, di determinare lo stato dei suoi pensieri. Questi luoghi, e altri ancora, raccontano la città di Napoli, la sua storia, ma prima di tutto la sua "essenza".
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Informazioni
Argomento
BusinessCapitolo 1
Napoli è una Sirena
Come si fa a descrivere Napoli, ridondante per eccellenza, a costringerla nella forma della pagina? Napoli che è troppa storia, troppi monumenti, troppa letteratura, troppa bellezza, troppo vulcanesimo, troppa arte, e ingorghi, disoccupati, repubblica abortita, sangennaro, invasioni, maradona, mariomerola, scampia, viceré, terremoti, commedia, pizze, canzoni, camorra, spaghetti, stereotipi, pienzasalute, miracoli, festa farina e forca, quartierispagnoli, guarracini, pulcinella, benedetto croce, tammurriate, sangue sciolto e versato, bombardamenti, cartomanti, borse false, defilippo, emigrazione, fattura che non quaglia, italsider, achillelauro, speculazione edilizia, masaniello, speranze, turisti.
Quando torno a Napoli devo fare i conti con una necessità faticosa. Il treno s’infila nella curva che si chiude nella Stazione Centrale: a sinistra si vede il Vesuvio, a destra l’insegna del Discount di Giuseppina, e ha inizio l’esigenza di contenere l’abbondanza, lo straripare della città ma anche della memoria legata ai luoghi. È come se fosse necessario, ogni volta, attivare un rituale in grado di riprendere le fila, ricostruire, riannodare, dare ordine.
Per questo ci sono i percorsi. Sì, i percorsi, mai gli stessi in ogni occasione: camminare per la città, seguendo itinerari precisi, altro che flanêrie, che tocchino i luoghi necessari, quelli che sono iscritti, con il loro carico di memorie, nella mia storia personale. Per contenere la città, per far fronte al suo eccedere. Ogni luogo, al “camminarlo”, si risveglia, e riporta a galla, fedelmente, immagini, ricordi, pensieri, sensazioni. Sono tutti chiusi lì nella pietra dei palazzi, nei mattoncini di pietra lavica che lastricano la pavimentazione delle strade, incisi sulle superfici dei palazzi, nei chiostri, nelle chiese, nelle scale ripide che attraversano la città collegandone i livelli. Gli occhi e le suole delle scarpe li risvegliano.
Uno dei percorsi è quello che si articola lungo le strade del Quartiere Chiaia, in cui sono cresciuto, dove le memorie si addensano con forza: piazza dei Martiri con la colonna e i leoni intorno scolpiti dal mio bisnonno (dove da qualche anno c’è una Libreria Feltrinelli, che non è ancora entrata del tutto nella mia mappa personale), la Villa Comunale di fronte al mare (snaturata dai lavori di ristrutturazione) dove si andava a giocare a pallone, la Scuola Media Carlo Poerio (mi ricordo che scambiavo messaggi scrivendoli sul banco con una ragazzina che frequentava il turno pomeridiano che si firmava Loira), viale Gramsci (ma sempre viale Elena) dove c’è (?) la radio in cui ho lavorato.
C’è il percorso del Centro Storico, il cuore greco della città diviso ancora in Cardini e Decumani. Da piazza Dante, passa per Port’Alba, la via dei librai, sbuca in piazza Bellini dove si vedono resti delle mura greche, passa per il Conservatorio e la Libreria Colonnese, si allarga in piazza Miraglia e si restringe in via Nilo, piega verso il “fulcro” di piazza del Gesù, luogo di liceo e di uscite serali, da cui si diparte l’altro percorso per Spaccanapoli, piazza San Domenico, via Mezzocannone, dove la memoria personale, liceale e universitaria, quella delle manifestazioni e della musica, si fonde con quella della Storia: Santa Chiara, la Cappella dei de Sangro, Palazzo Corigliano. E la Pasticceria Scaturchio, il cui babà nella storia un po’ è entrato.
Un altro percorso è quello che scende dalla mezza collina del corso Vittorio Emanuele (su cui a metà degli anni ‘70 passava il carrettino di un rigattiere e uno di un impagliasegge, il riparatore di sedie), tagliando le strade e i vicoli ripidi dei Quartieri Spagnoli, per uscire su via Roma (via Toledo).
Percorsi o no, comunque, ogni volta che torno a Napoli mi trovo anche davanti a un dissidio: lo scarto tra ciò che ricordo essere Napoli quando vi abitavo e la Napoli di oggi. E mi trovo a inseguire questa linea in movimento, questo orizzonte. Ma Napoli è davvero cambiata? Sono io che, con uno sguardo diverso, la vedo diversa da prima? Cosa è cambiato davvero dietro le facciate dei palazzi rimessi a nuovo, dietro le oasi pedonali, dietro i turisti che finalmente la visitano? Me lo chiedo sempre, mi do noia da solo. Eppure la domanda rimane. E provo a rispondermi con altre domande. E se non fosse, invece, che la città in quanto tale, che i napoletani stiano cambiando? Mi spiego, e riporgo la domanda. E se i napoletani stessero perdendo, poco alla volta, la loro identità? Poi mi chiedo: Ma cos’è l’identità? È ciò che contraddistingue una cittadinanza, in questo caso, rendendola proprio quella? E i napoletani la stanno perdendo? Cosa rende, oggi, napoletano un napoletano? E poi, se pure la stessero perdendo, ne acquisterebbero un’altra. Sempre identità è, no?
È l’interrogativo che scorre sotto traccia nel bel mezzo dei pensieri che accompagnano un percorso: nel Quartiere Chiaia, attraversando i Quartieri Spagnoli, a piazza del Gesù, a Montesanto, alla Sanità. Perché, a pensarci bene, ogni volta che torno a Napoli provo un po’ di spaesamento. Un cambiamento palese, quantificabile segnerebbe irrevocabilmente una perdita: la città in cui abitai, in cui fui, che ricordo.
Ogni volta che vado a Napoli me lo chiedo, se è cambiata. Un mistero su cui mi interrogo mentre il treno, uscito dalla Stazione Centrale, imbocca la curva dalla quale si vede a destra il Vesuvio, e a sinistra l’insegna del Discount di Giuseppina. È il mistero di Napoli-Sirena inafferrabile.
Capitolo 2
Partenope & San Gennaro
Un essere mitologico e un santo vegliano su Napoli e ne rappresentano, nella maniera più profonda, lo spirito e la storia.
La Sirena
«Parthenope non è morta, Parthenope non ha tomba, Ella vive, splendida giovane e bella, da cinquemila anni; corre sui poggi, sulla spiaggia. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori, è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene (…) quando vediamo comparire un’ombra bianca allacciata ad un’altra ombra, è lei col suo amante, quando sentiamo nell’aria un suono di parole innamorate è la sua voce che le pronunzia, quando un rumore di baci indistinto, sommesso, ci fa trasalire, sono i baci suoi, quando un fruscio di abiti ci fa fremere è il suo peplo che striscia sull’arena, è lei che fa contorcere di passione, languire ed impallidire d’amore la città. Parthenope, la vergine, la donna, non muore, non muore, non ha tomba, è immortale …è l’amore.»
Matilde Serao
Napoli. Neapolis. Partenope. All’origine del nome della città sta quest’ultimo nome, il primo. Con questo nome la città fu fondata nell’VIII secolo a.C. da coloni greci di Cuma. Il termine significa “Vergine”. E Partenope era la Sirena che viveva sul litorale napoletano, e che secondo la leggenda, sarebbe morta di dolore o suicida per il rifiuto di Ulisse, di cui era innamorata (ma esiste anche una versione della sua morte legata agli Argonauti e al suono della cetra di Orfeo). Esiste poi un’altra versione della leggenda, secondo la quale fu lo stesso Apollo a spingere i coloni di Cuma a recarsi sul litorale partenopeo, per cercare la sepoltura della Sirena e fondare in quel punto la futura città.
Dall’antichità ci giunge una notizia frammentaria: in epoca Greca a Napoli si celebrava la Sirena Partenope in occasione delle Lampadedromie, in pratica una corsa con le fiaccole che si compiva in suo onore. Queste gare risalgono al 425 a.C., e furono istituite dall’ateniese Diotimo, e consistevano in una vera e propria corsa a staffette a squadre, che si passavano il testimone, costituito da una fiaccola la cui fiamma doveva eseere conservata accesa durante tutto il percorso. Vi prendevano parte degli efebi, che venivano allenati e retribuiti dai sacerdoti cui la cerimonia era affidata. La corsa prendeva le mosse dall’attuale Piazza Municipio e doveva concludersi alla tomba della Sirena.
Eppure, la traccia della Sirena Partenope non è rimasta solo nel nome antico della città, soppiantato poi dal Neapolis del nuovo insediamento. Sappiamo che Partenope fu venerata in loco come dea protettrice della città, ma il mito si fa oscuro intorno al luogo della sua sepoltura. Indicando differenti possibilità e risposte.
Una versione leggendaria indica Megaride, l’isolotto dove sorgerà Castel dell’Ovo, come il luogo della sepoltura della Sirena. Qui sarebbe giunto il suo corpo senza vita, trasportato dal mare. Poi, è Boccaccio, nel 1341, a citarla nel suo Ninfale d’Amleto, spiegando che i Greci di Cuma avrebbero trovato sul litorale, mentre scavavano per fondare la città, una tomba di grandi dimensioni segnata da questa iscrizione:
QUI PARTENOPE VERGINE
SICULA MORTA GIACE
Ma, in passato, studiosi come il Pontano e il Celano, che esplorarono il mito della Sirena, misero in evidenza l’iscrizione visibile nella chiesa di San Giovanni Maggiore:
OMNIGENUM REX AITOR SCS
LHS PARTENOPEM TEGE FAUSTE
che significa: “O sole che passi nel segno del mese di Gennaio, generatore di tutti i beni, proteggi felicemente Partenope”.
Una versione che però non soddisfa tutti. Anzi. C’è chi è convinto che la tomba si trovi nelle viscere della chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, soprattutto dopo la scoperta, sotto la navata centrale, di antiche architetture greche, portate alla luce da un bombardamento avvenuto nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Ancora oggi, infatti, è visibile una copia del cosiddetto busto di “Donna Marianna” (l’originale è visibile presso Palazzo San Giacomo), ovvero la “testa di Napoli”, individuata come rappresentazione della Sirena, e facente parte di un’opera di età greca collocata originariamente nei pressi dell’odierna Piazza Mercato. Quella testa fu a lungo oggetto di culto da parte del popolo napoletano, e addirittura “cristianizzata” nel 1800, con il nome di Marianna.
Ma ci sono altri luoghi che tradizione o leggende vogliono essere quelli dove fu sepolto il corpo di Partenope. Come la zona di Sedile di Porto, o l’attuale chiesa di Basilica di Santa Lucia al Mare, chiesa che sorgeva un tempo direttamente sulla spiaggia di Chiaia. Una chiesa che avrebbe voluto lo s...
Indice dei contenuti
- Capitolo 1 Napoli è una Sirena
- Capitolo 2 Partenope & San Gennaro
- Capitolo 3 Luoghi magnetici
- Capitolo 4 Luoghi leggendari
- Capitolo 5 Presenze misteriose
- Capitolo 6 Napoli e la letteratura