Genova e Bisanzio nel XII secolo
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Genova e Bisanzio nel XII secolo

Affari, famiglie, crociate, intrighi

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Genova e Bisanzio nel XII secolo

Affari, famiglie, crociate, intrighi

Informazioni su questo libro

Alla metà del XII secolo il Mediterraneo è in fermento: da un lato Manuele I Comneno, imperatore di Bisanzio, che tenta di riportare Bisanzio ai suoi antichi splendori, dall'altro gli Hohenstaufen, che con i due Federico sognano la rinascita dell'Impero. E con loro, tanti altri protagonisti della vita politica: il Papato, i Normanni, i conti di Saint Gilles, Pisa, Venezia. Gli equilibri politici sono precari, ma i clan familiari genovesi hanno interessi sparsi su tutto il bacino del Mediterraneo, e il proseguimento dei loro fitti commerci con l'Oriente presuppone il conseguimento di un accordo con il trono di Bisanzio.

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Informazioni

I. Genova alla metà del XII secolo: i trattati con Manuele I Comneno e Guglielmo I

Per comprendere correttamente e analizzare i difficili rapporti intercorsi tra Genova e l’Impero bizantino nel corso della seconda metà del XII secolo conviene soffermarsi e porre nella giusta luce un fatto nuovo e decisivo, che incise profondamente la vita degli uomini ed ebbe ricadute economiche, politiche e sociali rilevanti già dall’inizio di quel secolo causando una frattura tra mondo occidentale e mondo orientale. Infatti, un’embrionale economia di mercato di tipo “capitalistico” si stava imponendo in Occidente preparando «pratiche di rinnovamento e di scambio, che indirizzavano il commercio verso il suo apice. Al contrario, il sistema bizantino, basato sull’interventismo statale e ancorato a concezioni ormai invecchiate, rimaneva inflessibile e rigido».7 Venezia, Genova e Firenze, più di Pisa, furono le prime città dell’Europa medievale a improntare la loro politica in senso “capitalista (assumendo per la parola “capitalismo” il significato stabilito dal Lane, che cioè la classe al potere raggiunge, conquista e moltiplica la propria ricchezza, usando beni commerciali sotto forma di capitale e sfruttando parallelamente il controllo del potere a vantaggio dei propri guadagni8)”. Questo consentì loro di ricoprire in tutto il bacino del Mediterraneo un ruolo di primo piano, sempre crescente e vieppiù intrecciantesi con le vicende politiche.
Alla metà circa del XII secolo, infatti, Genova si è ormai affermata su tutto il Mediterraneo inizialmente dal punto di vista economico, ma non di meno anche da quello militare. Alla sua flotta o ai suoi tecnici, quasi di necessità, devono fare riferimento gli Stati cristiani della Spagna per la lotta contro i musulmani e per il mantenimento del controllo delle coste, papa Innocenzo II e l’imperatore Corrado II per la battaglia contro l’antipapa Anacleto, ma anche il re normanno di Sicilia Ruggero e – come diremo più avanti – anche l’imperatore d’Oriente.9 Con il passare degli anni il ruolo dell’aristocrazia cittadina genovese sarà sempre più decisivo nel determinare la politica del Papato e degli Imperi, che, unitamente ai favori dei Genovesi, cercheranno di conquistarsi anche quelli di Venezia e di Pisa: l’affermazione in guerra, infatti, non poteva in nessun caso considerarsi effettiva senza che il vincitore riuscisse a garantirsi anche il controllo dei mari e, ipso facto, la libera circolazione delle merci.
Un altro aspetto dal quale non è possibile prescindere è il netto cambiamento delle strategie politiche che interessò l’Impero di Bisanzio. Esse, con l’avvento al trono di Manuele I Comneno, divennero assai più complesse e tornarono nuovamente ad avere un respiro internazionale e una spiccata attenzione per alcune zone del Mediterraneo, in particolare per le coste adriatiche, e per le sorti dell’Italia del sud. D’altro canto per Manuele Comneno non si ponevano alternative praticabili: rinunciare, infatti, a tali “anacronistici” propositi di grandezza avrebbe nello stesso tempo significato rinunciare – anche formalmente – ai valori ideologici intrinseci alla nozione stessa di impero (per sua natura “universale”), che invece, tanto a Bisanzio, quanto nell’Europa centrale e in Italia, rimasero predominanti per tutto il medioevo e anche oltre. Ne conseguiva per Bisanzio, all’epoca chiusa tra l’espansionismo (economico e commerciale) europeo e l’invasione (militare) turca, l’obbligo di essere comunque attiva, in Occidente come in Oriente, senza tuttavia possedere più né la forza necessaria a imporsi, né il carisma e il blasone antichi. Inoltre, la politica militare era condotta non con una logica o una strategia ben definite, ma privilegiando di volta in volta un fronte rispetto all’altro a seconda delle circostanze, di convenienze solo apparenti o di necessità contingenti.
In tal modo la politica mutevole di Bisanzio finì per crearle più problemi che vantaggi, inimicandole definitivamente Venezia, il Papato e l’Impero d’Occidente (oltreché – ma era logico – il neonato Regno dei Normanni): le forze cioè che ne determinarono la rovinosa caduta del 1204. Il vero problema in sostanza era che questa linea di condotta mancava del tutto di una pianificazione a lunga scadenza. Manuele I, bisogna riconoscerlo, agendo così, rimaneva fedele e perpetrava una politica già attuata con un certo successo dai suoi predecessori: furono, infatti, proprio queste necessità e le occasioni del momento (come, in particolare avvenne proprio in occasione della quarta crociata), assai più che le propensioni personali dei singoli sovrani, a guidare e influenzare le scelte che permisero ad Alessio e a suo figlio Giovanni, di riaffermare il ruolo centrale dell’Impero tanto nell’area balcanica, quanto nella Turchia occidentale, ridonandogli una consistenza territoriale degna del suo nome. Essi finirono così per lasciare in eredità a Manuele il non facile compito di proseguire l’opera di riconquista. Tale progetto si accordava pienamente con le velleità del nuovo sovrano, che mirava – con una certa dose di ambizione – a ribadire l’universalità dell’Impero bizantino e infatti «la grandiosa politica estera di Manuele fu in primo luogo orientata dalla consapevolezza di quanto decisivo fosse per Bisanzio il ruolo del mondo occidentale e, solo in subordine, dal filolatinismo quasi concordemente attribuitogli da fonti antiche e studiosi moderni. Di fatto la stessa alleanza con i sovrani tedeschi, una svolta senza dubbio rilevante nei rapporti con l’Occidente, fu piuttosto la naturale conseguenza di precedenti iniziative di Giovanni che l’esito di un’autonoma scelta di Manuele».10 Insomma, il destino dell’Impero bizantino era ormai legato a filo doppio al mondo occidentale, quel mondo che, però, non poteva più fare a meno in alcun modo delle flotte delle città italiane per attuare una qualche politica di grandezza e di controllo sul Mediterraneo. L’Occidente era nello stesso tempo la vecchia frontiera da “riconquistare” e il nuovo alleato necessario per fronteggiare dall’altra parte l’aggressività del mondo turco-islamico, sia in Terrasanta che nella parte orientale della penisola anatolica.
Se l’Impero bizantino non voleva correre il rischio di rimanere soffocato e mortificato sotto il peso di uno splendore solo apparente, pallido e avvilente lacerto del passato, e di abbandonarsi a un completo, sterile e pericoloso isolamento (anche appunto in considerazione della montante marea turca a oriente), era di necessità chiamato a riequilibrare il proprio asse d’azione anche verso l’occidente.
Tuttavia, nell’Europa centrale e mediterranea la situazione politica era drasticamente mutata nel corso dei primi cinquant’anni del XII secolo: l’affermarsi della potenza normanna nel sud della penisola italiana, favorita dal papa in funzione antimperiale (sia occidentale che orientale), la lenta ascesa dello stesso Impero d’Occidente e il suo progressivo consolidamento istituzionale, lo straordinario sviluppo delle città italiane rendevano assai complicata l’intromissione di Bisanzio nei gangli vitali della politica del Mediterraneo centrale. Quando poi in qualche modo Bisanzio seppe influire nelle questioni italiane la sua manovra si rivelò spesso più dispendiosa che redditizia.
Gli uomini dell’Occidente, intanto, non rimanevano impassibili a guardare, anzi si dimostravano assai più attivi di quanto non fosse lo sclerotico Impero bizantino. Era un fenomeno che non interessava solo i grandi regni (Papato, Francia, Impero d’Occidente e Regno dei Normanni), protagonisti dell’epopea crociata, ma anche le città marinare italiane; si trattava poi di un fenomeno che non coinvolgeva più solo gli strati più alti della popolazione, ma anche una pletora di commercianti intraprendenti e spregiudicati. Veneziani, Pisani e Genovesi, chi sotto la protezione di formali privilegi, chi per imprese private e individuali, chi attraverso ardite opere di pirateria, si apprestavano a giungere sempre più numerosi in territorio bizantino dopo aver già sviluppato a partire dalla prima crociata una larga attività mercantile in Egitto, Siria e Palestina. Così, anche i cartolari notarili sono una fonte di primaria importanza, che getta una nuova luce sulla politica delle città marinare e che spesso evidenzia, chiarendole, le reali ricadute che i trattati firmati dai Comuni ebbero nella vita cittadina di tutti i giorni. Alla domanda se i pochi movimenti commerciali registrati da un solo notaio, anche per finestre temporali discontinue e tutto sommato piuttosto brevi, possano in qualche modo essere posti in una diretta relazione di “causa-effetto” con i privilegi concessi al Comune cittadino di appartenenza dei firmatari, Abulafia rispondeva inequivocabilmente di sì e faceva altresì notare all’inizio del suo studio “Le due Italie” «una netta e repentina espansione dei commerci con la Sicilia in seguito alla firma del grande trattato siculo - genovese del 1156. Parimenti l’interesse per Costantinopoli prese vigore negli anni 1160, quando l’imperatore Manuele Comneno si adoperò a rendere i mercati bizantini attraenti per i genovesi».11 È una pista che cercheremo di seguire, per quanto lo stesso Abulafia si preoccupi di precisare che non vale il discorso inverso e cioè che non è sempre detto che la rottura delle relazioni diplomatiche abbia comportato di necessità una contrazione o una cessazione dei rapporti commerciali.
Nello stesso intervallo di poco più di mezzo secolo i Genovesi, ormai raccoltisi intorno alla Compagna Communis, si erano ritagliati uno spazio non irrilevante tra le potenze mediterranee.12 Il mantenimento del difficile equilibrio, sulla base del quale erano regolati i rapporti con Bizantini, Papato, Normanni e Impero d’Occidente, sta al centro della politica estera del Comune.13 Non è tutto: tale esigenza di equilibrio in politica estera si intreccia e deve spesso fare i conti con la litigiosa politica interna (che verso la fine del XII secolo vivrà un momento di forti tensioni segnando il passaggio, niente affatto lineare, della città dal regime consolare a quello podestarile), con le continue azioni militari volte alla conquista o al consolidamento del controllo delle Riviere e delle terre dell’Oltregiogo, con le tumultuose fasi della guerra contro Pisa per il predominio sul Mediterraneo centrale, sulla Sardegna e la Corsica. Ogni suo intervento provocava reazioni e risentimenti da parte di qualcuna delle potenze con le quali Genova, per convenienza economicocommerciale o per evidente inferiorità militare, non era interessata a scontrarsi. Che tutto fosse strettamente collegato, che cioè ogni operazione di politica estera fosse valutata e condotta anche in relazione alle questioni di politica interna e viceversa, è ormai una consapevolezza acquisita. L’estendersi dei commerci dei Genovesi a oriente e a occidente del bacino del Mediterraneo e la nascita di una sorta di “talassocrazia genovese” comporta contestualmente un più profondo radicamento delle famiglie dedite alla mercatura anche nell’entroterra. Da lì, infatti, potrà provenire il vettovagliamento e il legname per le galee e le braccia da mettere ai remi. Allo stesso modo sarà sempre più importante anche il controllo capillare delle due riviere e quello dei rispettivi porti: per potersi affermare nello scacchiere internazionale è vitale dominare il territorio circostante.14 Le dispendiose energie impiegate per la conquista dell’entroterra non trovano alcuna spiegazione se non le si considerano e non se ne analizzano le fasi unitamente e parallelamente alle azioni volte a ridisegnare ruolo e mansioni che la Compagna Communis si stava ritagliando nel difficile panorama della politica internazionale. Inoltre, ma non può essere argomento di questo studio, l’aristocrazia cittadina dosava sempre con intelligenza e prudenza interventi e investimenti in attività commerciali con altre tese al continuo radicamento territoriale nelle terre alle spalle della città.
La serie di trattati commerciali e politici della metà circa del XII secolo sono forse la più manifesta testimonianza della nuova posizione riconosciuta a Genova. In primo luogo quello del 1155 sottoscritto con l’imperatore d’Oriente Manuele I Comneno.15 Questi, infastidito e condizionato sempre più pesantemente dalle continue intromissioni dei Veneziani, fece ampie concessioni anche ai mercanti delle altre città. In realtà, la cronologia degli avvenimenti di questi anni, e in particolare quella relativa alla firma del trattato tra i Genovesi e Manuele, non sono certe. Probabilmente fu Demetrio Makrembolites, ospite a Genova nel 1155, a gettare le basi per l’intesa, che fu perfezionata solo in un secondo tempo, quasi sicuramente dopo la firma del trattato del 1156 tra Genova e i Normanni,16 infatti, già Amico de Murta, nel 1157 fu inviato dall’imperatore in qualità di ambasciatore per esigere quanto era stato promesso.17
Gli Annali del Caffaro, poi, informano che il console Enrico Guercio fu inviato in ambasceria a Costantinopoli nel 116018 proprio per definire la questione della concessione del quartiere, che evidentemente a quella data non era ancora stata ratificata. È questa una vicenda che chiarisce bene quale fosse il ruolo determinante esercitato dalla famiglia Guercio, che fu quella che trasse i maggiori benefici dalla missione diplomatica e che troveremo sempre attiva sulle sponde di Costantinopoli anche a ridosso della quarta crociata. D’altra parte, il particolare e non sempre ben definibile rapporto tra l’iniziativa dei privati e quella pubblica è uno dei tratti peculiari della politica cittadina genovese di tutto il Medioevo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. Capitolo 1 Genova alla metà del XII secolo: i trattati con Manuele I Comneno e Guglielmo I
  7. Capitolo 2 Tra Federico Barbarossa e Manuele I Comneno: un equilibrio precario
  8. Capitolo 3 La crisi dei rapporti con l’Impero bizantino: Andronico I Comneno
  9. Capitolo 4 La terza crociata e il ruolo dei Genovesi
  10. Capitolo 5 Tra la terza e la quarta crociata: la “mancata” quarta crociata dei Genovesi
  11. Capitolo 6 Commerci genovesi a Bisanzio tra terza e quarta crociata
  12. Capitolo 7 Dopo la quarta crociata: la crisi del “sistema Genova”
  13. Fonti
  14. Bibliografia