Enterprise 1.0 - Storie di ordinaria follia aziendale
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Enterprise 1.0 - Storie di ordinaria follia aziendale

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Enterprise 1.0 - Storie di ordinaria follia aziendale

Informazioni su questo libro

I personaggi dei racconti appartengono al mondo aziendale e la loro vita di dipendenti è sconvolta dallo spietato mondo delle organizzazioni complesse, che tutto tritano e digeriscono, poco accettano, molto sprecano e soprattutto dimenticano.
Al centro dell'obiettivo figure eroiche descritte nella loro quotidiana battaglia all'interno di un'organizzazione malata che mal tollerano e alla quale difficilmente si assoggettano. La loro contrapposizione viene descritta con una vena ironica, aspra, grottesca, in alcuni punti kafkiana. L'organizzazione obbliga a percorrere sentieri già tracciati, difficilmente modificabili, mentre la strenua resistenza è destinata immancabilmente al fallimento.

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Informazioni

Anno
2013
Print ISBN
9788891112767
Enterprise 1.0
Mi lancio in una nuova area narrativa, quella aziendale, descrivendo la vita dei dipendenti nello spietato mondo delle organizzazioni complesse, che tutto tritano e digeriscono, poco accettano, molto sprecano e dimenticano.
Al centro dell’obiettivo figure eroiche descritte nella loro quotidiana battaglia all’interno di un’organizzazione malata che mal tollerano e alla quale difficilmente si assoggettano. La loro contrapposizione viene descritta con una vena ironica, aspra, grottesca, in alcuni punti kafkiana. L’organizzazione obbliga a percorrere sentieri già tracciati difficilmente modificabili, mentre la strenua resistenza è destinata immancabilmente a portare al fallimento.
Buona lettura
Fabrizio Trainito
Roma, 1 maggio 2013
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Nonostante le numerose e complesse vicende alle quali ho assistito nelle aziende nelle quali ho lavorato possano essere spunto per numerose trame narrative, le storie che seguono sono frutto di fantasia e non fanno riferimento a nessuna situazione reale.
 
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Prospettive gerarchiche

ottobre 2011 / dicembre 2012
Il timbro della voce era metallico, lo sguardo perforante, la gestualità esagerata, il tono ironico, il volume appena al di sotto della soglia della decenza. Le argomentazioni mi sfuggivano, sfumate sullo sfondo, come il rombo di un martello pneumatico, il concetto era chiaro: non andavamo d’accordo. Su nulla.
Non c’era una cosa che io facessi e che per lui andasse bene, riusciva sempre a trovare qualcosa di inadeguato, di inopportuno, di intempestivo, di incompleto, di impreciso.
Mentre venivano elencati errori, omissioni, inesattezze, modifiche e altre prolissità di minor conto, entrò lei, l’assistente. Adesso si fa chiamare così: assistente. Suona più professionale di semplice “segretaria”, la gonna si è accorciata, la scollatura si è ampliata, ma la sostanza è sempre la stessa.
Il rimbombo dei tacchi nella stanza, anche essi saliti di un livello, coprì per un istante l’odiosa filastrocca, relegandola ad un triste e monotono sottofondo.
Notò subito la mia impercettibile distrazione, forse la suppose solamente, e subito il volume della voce si impennò riempiendo di vibrazioni moleste la stanza.
“Mi stai ascoltando? O pensi che io abbia tutta la giornata per te?!”
Non voleva perdere il vantaggio e godeva a mostrare la sua autorità.
Insomma non c’era modo di sfuggire a quella mareggiata di vuote parole di cui ancora stentavo a comprendere il significato.
Annuisco, conciliante. Lo spiazzo. Sembra vacillare, perde qualche colpo e stenta a ricominciare. Gli do ragione con voce ferma e sommessa.
Le lunghe ciglia dell’assistente si allungano oltre ogni immaginazione, mentre osserva divertita la scena. Lui borbotta indeciso, poi si alza e ritorna alla sua poltrona dirigenziale. Bofonchia qualcosa sul tempo che gli ho fatto perdere inutilmente, sulle troppe attività che aspettano di essere da lui affrontate, e regolarmente delegate. Poi un cenno della mano, esplicito. Capisco che il sipario sta calando, la rappresentazione è finita, è ora di lasciare la stanza e rintanarmi nel mio box al centro dell’open space. Mi alzo ed esco senza voltarmi a salutare.
Siamo in riunione da circa un’ora e le parole si susseguono in un fiume ininterrotto, senza increspature. Tono e volume conciliano il sonno, ma devo resistere. Non posso fare come venerdì scorso quando sono crollato. Per un attimo, solo il tempo di reclinare la testa e perdere quel precario equilibrio, tanto ricercato, sul palmo della mano. Non ho battuto la testa sul tavolo, il movimento è stato appena percettibile per i più, non per lui, il capo, che l’ha presa come un affronto personale al suo prezioso intervento.
Da allora continua a riprendermi con quel suo fare ironico, insopportabile, indisponente. Proprio sta sbirciando per trovarmi distratto, annuisco senza motivo, mostro interesse e partecipazione, ma ignoro quel che dicono. Si accorgono di me e subito ne approfittano: cercavano qualcuno al quale aggrapparsi in tanta indifferenza e ora hanno un interlocutore attento, merce rara… Sono già dieci minuti che il consulente si rivolge a me come se fossi l’amministratore delegato, cerca la mia approvazione, si preoccupa per ogni mio movimento, per la mimica del mio volto, ormai paralizzato in una smorfia sorridente. Certo che sostenere una tesi con il supporto di un’indagine effettuata su diciotto interviste in due città campione mi sembra veramente assurdo. Diciotto interviste! E che ci si fa con questa manciata di opinioni? Chiaramente è un modo per giustificare una decisione già presa e noi siamo inutili spettatori in un teatrino buffo. Elementi di perplessità si affacciano all’orizzonte e sono ora oggetto di condivisione all’interno del gruppo di lavoro, ma non appena condivisi vengono accantonati con qualche colpo di tosse e una frase vaga sulle disponibilità economiche di budget. Di fronte all’irresponsa...

Indice dei contenuti

  1. Frontespizio
  2. Enterprise 1.0
  3. Copyright
  4. Prospettive gerarchiche
  5. Robinson
  6. La riunione
  7. Alla fine giunse il roscio
  8. L’autore e le altre pubblicazioni