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EVITA PERÓN Il cuore dell'Argentina
Informazioni su questo libro
Il mito di Eva Perón resiste a tutte le mode e a tutte le tendenze politiche. Morta più di sessant'anni fa, la sua immagine continua a risplendere più viva che mai nell'immaginario collettivo argentino e internazionale. Con stile chiaro, gradevole e accattivante, Domenico Vecchioni, diplomatico italiano vissuto a lungo in Argentina, penetra nei meandri delle contraddizioni di una delle donne più significative del secolo scorso, indicando con acutezza le ragioni della formazione di un mito straordinariamente attuale. Alle 20.25 del 26 luglio 1952, in effetti, scompariva Evita, ma nasceva il suo mito. Moriva il suo corpo, ma la sua anima non cessava di vibrare per gli argentini. Il suo cuore diventava "Il Cuore dell'Argentina.
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History ReferenceIl mito
Scomparso Perón nel 1974, l’Argentina entra in una fase di gravi turbolenze economiche e sociali, in un quadro politico-istituzionale sempre più confuso. Buenos Aires perde progressivamente la posizione di primato goduta dopo la seconda guerra mondiale, quando il Presidente Perón poteva lanciare al mondo il suo messaggio di pace della “terza posizione” (durante il viaggio arcobaleno di Evita in Europa) e si proponeva di aiutare generosamente i paesi europei devastati dal conflitto.
In meno di trent’anni l’Argentina esce dal club dei paesi “creditori” per precipitare nel poco invidiabile gruppo di paesi “debitori”. Per gli anti-peronisti non ci sono dubbi, la causa va ricercata proprio nella gestione del potere da parte della coppia Perón che ha dilapidato con incoscienza le ricchezze della nazione per “pagarsi” in definitiva la propria politica populista, senza troppo preoccuparsi delle conseguenze sull’insieme dell’economia del paese, senza pensare alle generazioni future e senza tener conto degli imperativi dei cicli economici e delle leggi del mercato. I peronisti, dal canto loro, si frantumano in diverse identità facendo riemergere prepotentemente le loro diverse anime (da quella sociale a quella borghese, da quella delle gestione statale dell’economia a quella liberista), addossandosi reciprocamente la responsabilità della fallimentare situazione economica.
L’Argentina sembra immobilizzata proprio dalle contraddizioni peroniste. Se non si può più governare con i peronisti, non si può nemmeno pensare di gestire il paese senza di loro... I militari interverranno spesso per spezzare questo cerchio di immobilismo, onde ripristinare ordine e legalità e porre fine allo sconquasso economico e sociale. Ma falliranno ripetutamente non avendo appunto capito che il “giustizialismo” non è un semplice partito politico o un preciso movimento ideologico che si può spazzare via con un golpe. In effetti è qualcosa di più: è un modo di essere, una maniera di affrontare i problemi man mano che si presentano, cercando quelle che al momento sembrano le soluzioni migliori, al di là di rigidi condizionamenti ideologici e tenendo conto del contesto storico di riferimento. Questo del resto spiega come i peronisti siano passati dallo “statalismo” di Juan Domingo Perón al “liberismo” di Carlos Menem e, di nuovo, alla politica socialmente avanzata dei due Kirchner. Un fenomeno di massa tipicamente argentino, ancora ben presente nel paese, che rende difficile agli osservatori stranieri capire come due militanti, dal pensiero politico ed economico quasi contrapposto, possano dirsi entrambi membri dello stesso partito giustizialista…
Una boutade che circolava al momento del massimo splendore dei peronisti ben rappresenta e dà il senso del rapporto, unico e irripetibile, che esiste tra gli argentini e il peronismo. Interrogato da un giornalista inglese sulla situazione politica del paese, il Presidente comincia a spiegare: “gli argentini sono al 30% socialisti, al 20% conservatori, al 30 % radicali e…”. Prima che possa continuare, il giornalista lo interrompe e lo incalza: “E i peronisti?” Al che Perón risponde tranquillamente: “No, no, peronisti sono tutti quanti!”.
L’Argentina che eredita Isabelita alla morte di Juan Domingo è un paese in preda ad una vera e propria guerra civile. La Presidenta non è assolutamente in grado di gestire la situazione ed il confronto con Evita è per lei umiliante. Il contesto economico si degrada ulteriormente, la guerriglia urbana si intensifica, la violenza dilaga.
Nel marzo del 1976 i militari decidono di porre fine all’esperimento, invero fallimentare su tutti i fronti, della terza moglie di Perón. Con un classico golpe prendono il potere, dichiarando guerra al peronismo di qualunque colore o tendenza ed esprimono chiaramente l’intenzione di smantellare l’apparato del controllo statale dell’economia ed i monopoli di Stato. Il capo della Giunta, generale Jorge Videla, si lancia in un ambizioso Processo di Riorganizzazione Nazionale, votato tuttavia al rapido fallimento, anche per la manifesta inesperienza dei militari in campo economico. Nemmeno il tentativo di Leopoldo Galtieri (successore di Videla dopo Roberto Viola) di raccogliere intorno a sé, dietro la spinta di una forte ventata di nazionalismo, tutti gli argentini in occasione del “recupero” delle Malvinas (Falkland), ha successo. Anzi la dura sconfitta inflitta nel maggio del 1982 agli argentini da Londra, che reagisce efficacemente e rapidamente all’invasione della sua colonia, determina la caduta del già logorato regime militare ed il travagliato ritorno del paese alla democrazia con il radicale Raúl Alfonsín, eletto nell’ottobre del 1983.
Alfonsín fa del suo meglio, ma non riesce a far emergere il paese dalla drammatica situazione economica in cui annaspa né a risolvere in maniera soddisfacente la “questione morale” relativa alle responsabilità delle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Giunta Videla, cui si addebitano circa 30.000 scomparsi (i desaparecidos), tra i quali molti stranieri, compresi diversi italiani. Non poche perplessità in effetti suscitano le leggi dette dell’"obbedienza dovuta" e del "punto finale", provvedimenti tesi evidentemente ad una sorta di riconciliazione nazionale ma che, in sostanza, concretizzano un’amnistia per tutti i militari coinvolti nella “guerra sporca”. Leggi votate anche per tenere buona e tranquilla la casta militare, che non sembra abbia definitivamente rinunciato a svolgere ruoli politici (il fenomeno delle cosiddette "caras pintadas", militari contestatori).
I peronisti intanto riprendono coraggio e vigore e nelle elezioni del 1989 riappaiono, ancora una volta, protagonisti della scena politica con la elezione alla Presidenza della repubblica di Carlos Saúl Menem. Un peronista peraltro sui generis, paladino di un programma socio-economico del tutto liberista, che avrà fatto rivoltare nella tomba Juan Domingo Perón. Sul piano economico: privatizzazioni, libero mercato, limitazione dell’intervento statale, ritorno all’equilibrio del bilancio, minori protezioni sociali, meritocrazia, capitalismo senza freni ecc… A livello internazionale: riavvicinamento agli Stati Uniti e all’Unione Europea. Nel settore istituzionale: problematici rapporti con le forze armate.
Per i primi anni la ricetta di Domingo Caval...
Indice dei contenuti
- Cover
- Frontespizio
- L’adolescenza
- La giovinezza
- Juan Domingo Perón
- Reciproca attrazione
- La militante
- Verso il potere supremo
- La pasionaria
- La consacrazione europea
- La Fondazione
- Malinconico tramonto
- La seconda vita
- Il mito
- Il testamento di Eva Perón
- Bibliografia
- Indice