I giovani e la crisi economica
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I giovani e la crisi economica

Capire per ricostruire la speranza

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I giovani e la crisi economica

Capire per ricostruire la speranza

Informazioni su questo libro

La difficoltà dei giovani nel mercato del lavoro non dipende dalla crisi, anche se la crisi l’ha senz’altro ulteriormente aumentata. La causa prima della difficoltà dei giovani è nella loro mancanza di competenze lavorative, pure in presenza di livelli d’istruzione crescenti. È un fenomeno antico che affonda le sue radici, in primo luogo, nel declino italiano e, poi, anche nel modo farraginoso in cui sono organizzate le transizioni scuola lavoro.
Questo libro raccoglie alcuni editoriali sul tema che l’autore ha pubblicato su numerosi magazine di attualità, quali lavoce.info, linkiesta, nelmerito, InGenere, social-europe. L’elemento comune è la semplicità e la chiarezza del linguaggio adottato.

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Informazioni

Anno
2014
Print ISBN
9788891145864
eBook ISBN
9788891153715
Argomento
Business
Parte VI.
Le politiche per l’occupazione giovanile
Tenacia, umiltà e coerenza. Ecco come si entra, a piccoli passi, nel mondo del lavoro
di Francesco Pastore
Mi capita sempre più spesso, quando presento ai giovani il mio libro sulle transizioni dalla scuola al lavoro, che alla fine dell’incontro mi chiedano: “Ma cosa ci consiglia concretamente di fare?” Questa è la domanda più difficile che si possa ricevere ma provo a rispondere in pochi punti chiave.
Prima, però, voglio sgombrare il campo da una fonte possibile di ambiguità: i pessimi risultati che alcuni giovani raggiungono non sono la conseguenza di una loro presunta scarsa volontà, come alcuni credono. Tutt'altro! I giovani sono pronti a sacrifici sempre più grandi come dimostrano i crescenti livelli d'istruzione e anche la rinascita dei flussi migratori. Tuttavia, il loro impegno non è sempre sufficiente a causa degli ostacoli che il mercato pone loro, ostacoli che sono evidentemente insormontabili per la maggioranza. Per questo si emigra verso quei luoghi che offrono più opportunità di lavoro e richiedono un impegno più grande, ma alla dedizione corrispondono anche un premio maggiore.
I giovani non chiedono altro che essere messi alla prova. È importante comprendere che occorre ristabilire il principio secondo il quale lo sforzo, la motivazione, i valori culturali ed etici della persona umana pagano anche nel mercato del lavoro. Ai giovani direi allora innanzi tutto di non farsi scoraggiare. Nelle maglie di una società profondamente ingiusta, chi si impegna e si muove con tenacia prima o poi riesce nel suo intento.
Consiglio poi di restare sempre umili (non come Checco Zalone, però). Ricordate che anche chi ha un’alta istruzione, come un diploma superiore, l’università o un titolo postlauream, se non ha esperienza lavorativa, ha pur sempre un basso capitale umano. Quest’ultimo è costituito non solo dall’istruzione, ma anche dall’esperienza lavorativa, sia quella generica che quella specifica ad un certo posto di lavoro.
La prima consente di apprendere abilità come il rispetto della divisione funzionale del lavoro, dei rapporti gerarchici che esistono all’interno di ogni organizzazione, del rispetto delle regole e degli orari e così via. Queste competenze si acquisiscono anche con esperienze brevi e occasionali e si esportano facilmente da un lavoro all’altro.
La componente più importante è l’esperienza lavorativa specifica ad un certo posto di lavoro. Essa consente di acquisire il know-how per svolgere bene un’attività ed essere, perciò, direttamente impiegabili dalle imprese. Questa componente si acquisisce solo dopo anni di permanenza in un certa collocazione professionale e solo in quella. Se si vuole diventare un buon avvocato, ad esempio, non si può pensare di apprendere il mestiere in occupazioni diverse.
L’umiltà è un’abilità che non si apprende a scuola, ma è non meno importante delle altre. Le abilità non cognitive sono per molti parte di un bagaglio culturale che si forma in famiglia e nella propria cerchia di amici prima ancora che a scuola. Altre abilità non cognitive molto più apprezzate di quanto i giovani non riescano neppure a rendersi conto sono: l’affidabilità, la motivazione, la determinazione. Queste abilità possono essere acquisite attraverso le prime esperienze di lavoro, a patto che il giovane si ponga davvero in ascolto.
Altro consiglio chiave: la coerenza paga. Coerenza significa evitare di cambiare strada a meno che non ci sia un motivo serio, anche se a breve non si vedono i risultati. Questi ultimi arrivano solo quando si è acquisito il know-how e questo, come si è detto prima, richiede tempo. È tipico, ma del tutto sbagliato, perseguire diverse strade allo stesso tempo: molti giovani fanno mille lavoretti, seguono qualche corso a tempo perso e magari coltivano con passione qualche hobby che impegna loro intere giornate o settimane, come organizzare eventi teatrali o feste in discoteca. Esce prima dal tunnel chi non bluffa con il proprio futuro.
Chi non ha acquisito un sufficiente livello di istruzione, deve essere abbastanza umile da capire che deve ritornare nel circuito della formazione. L’esperienza lavorativa produce effetti quando cammina di pari passo con una adeguata formazione di carattere generale. Molti giovani, una volta usciti dal circuito scolastico, credono che la formazione non serva più. Questo può essere un grave errore. Mantenere sempre un occhio alle attività formative è importante in un mondo che cambia continuamente.
Da poco c’è anche l’apprendistato professionalizzante. Chi utilizzerà questo nuovo strumento non si stanchi di chiedere che il datore di lavoro fornisca loro anche la formazione in aula oltre a quella in azienda. La seconda aumenta la produttività a beneficio del giovane e dell’impresa, la prima accresce l’occupabilità che può servire se occorre cambiare lavoro, a beneficio del giovane e della società nel suo complesso.
I laureati che non riescono subito a trovare lavoro è bene che accettino di fare pratica nel campo di loro interesse, ma se non ci riescono, è meglio seguire un master. Come muoversi nella selva dei master? Scegliete quelli che offrono tirocini in azienda e che forniscono informazioni pubbliche sul job placement dei diplomati. I master che non lo fanno, non aiutano davvero a trovare lavoro.
Adapt: Dialoghi con l’accademia. A colloquio con Francesco Pastore15
Nel suo testo “Fuori dal tunnel” definisce il contratto a termine come trampolino per accedere al mondo del lavoro, non crede però che un miglioramento effettivo dei livelli di disoccupazione possa conseguirsi solo quando il contratto a tempo indeterminato sia più conveniente e quindi meno oneroso del contratto a termine?
Le due cose non si escludono, direi. Il contratto a termine è un trampolino di lancio verso il lavoro a tempo indeterminato per molti (anche se non per tutti i) giovani che lo sperimentano. Il mio libro va molto più nel dettaglio di quanto non sia possibile fare qui per motivi di spazio nel tentativo di quantificare l’effetto trampolino. Esiste ormai un’ampia letteratura che stima l’effetto trampolino in diversi paesi e con forme contrattuali assai variegate.
Quello che si evince chiaramente da questa letteratura è che la dimensione dell’effetto trampolino non è uguale in tutti i paesi né per qualunque tipo di soluzione contrattuale. Le stime econometriche sono diverse a seconda del contesto più o meno flessibile del mercato del lavoro degli adulti già occupati a tempo indeterminato (gli insiders); della durata dei contratti temporanei; della presenza o meno di un contenuto formativo del contratto stesso; e così via discorrendo.
In realtà, il lavoro temporaneo funziona se riesce a risolvere quello che io chiamo lo youth experience gap, vale a dire il divario di esperienza lavorativa fra giovani e adulti: in una età nella quale i giovani sono sempre più istruiti, appare ancor più evidente che la causa della loro debolezza nel mercato del lavoro va ricercata nella loro mancanza di esperienza lavorativa, non solo quella generica, quanto quella specifica ad un certo posto di lavoro. Si capisce allora che il lavoro temporaneo è solo uno dei tanti strumenti presenti nei diversi paesi del mondo per accrescere l’esperienza lavorativa dei giovani.
In altre economie, come la Germania, si preferisce demandare questo compito al sistema di istruzione attraverso l’implementazione del cosiddetto principio duale che prevede lo svolgimento di attività di formazione professionale on the job accanto alla formazione teorica in aula.
In Italia, il sistema di istruzione è, da questo punto di vista, ancora ampiamente assente. Anziché iniettare elementi del principio duale nel sistema di istruzione, l’Italia ha preferito spostare il problema a valle, nel mercato del lavoro, affidandosi al lavoro temporaneo. Alcuni interventi legislativi recenti stanno, però, ritornando a coinvolgere anche il sistema di istruzione nella transizione scuola-lavoro. È il caso, ad esempio, della riforma Moratti della scuola, ma anche del cosiddetto Testo Unico sull’apprendistato. Anche il Governo di Mario Monti sta cambiando questo limite del nostro sistema di istruzione in vari modi. Un recente intervento consente ai giovani laureandi di iniziare la pratica necessaria a conseguire il titolo professionale nell’ultimo anno di università. Si può fare di più, ma la strada che si sta tentando di tracciare di recente è senz’altro quella giusta.
Tutto ciò suggerisce che occorre superare gli scontri ideologici su questi temi, rifiutare di porre la questione nei termini di “lavoro temporaneo sì o no” e piuttosto interrogarsi sulle forme contrattuali a termine che sono più efficaci a generare lavoro permanente. Da questo punto di vista, la ricerca econometrica può essere molto utile come strumento per una valutazione d’impatto di diverse forme contrattuali che ancorché efficaci in principio potrebbero, in realtà, non esserlo in pratica.
Per misurare l’effetto trampolino, i lavori di ricerca più rigorosi sono quelli che confrontano un gruppo obiettivo (i temporanei) con un gruppo di controllo (i disoccupati). Tali lavori raffrontano la probabilità di trovare lavoro da parte di un lavoratore temporaneo con quella di un lavoratore con le stesse caratteristiche, ma disoccupato. Si può definire un effetto lordo, vale a dire la probabilità di un lavoratore temporaneo di trovare lavoro tout court, e distinguerlo dall’effetto netto, vale a dire la differenza fra l’effetto lordo e la probabilità di trovare lavoro da parte di un disoccupato con le stesse caratteristiche. Uno studio molto interessante e rigoroso di Andrea Ichino, Fabrizia Mealli e Tommaso Nannicini sull’argomento trova un effetto lordo pari a circa il 30% nelle regioni del Centro-Nord e al 25% nelle regioni del Mezzogiorno; l’effetto netto, vale a dire la probabilità in più che i temporanei hanno rispetto a quella che avrebbero comunque rimanendo disoccupati, è pari al 19% nelle regioni del Centro-Nord e solo all’11% nelle regioni del Mezzogiorno. Insomma, l’effetto trampolino c’è eccome anche in Italia, ma è di dimensioni alquanto modeste e per di più non è statisticamente significativo nel Mezzogiorno.
È proprio perciò che sono sempre più numerosi gli osservatori che iniziano a chiedersi se non sia possibile modificare e migliorare la legislazione relativa ai contratti temporanei per accrescere l’effetto trampolino. Credo che la strada giusta sia quella da te suggerita di rendere i contratti temporanei più costosi di quelli permanenti. È difficile al momento dire quale sia la soluzione tecnicogiuridica migliore per rendere più costoso il lavoro temporaneo. Vi sono diverse opzioni in campo, che possono essere ordinate in due grandi categorie: da un lato, si può pensare a strumenti volti ad aumentare il costo del lavoro temporaneo; dall’altro lato, si può pensare a strumenti volti a ridurre il costo del lavoro permanente, agendo, ad esempio, sui firing costs e perciò sull’art. 18. La soluzione migliore mi sembra un mix di queste due opzioni.
Consideriamo il primo punto. Occorre che sia chiaro a tutti, ed in specie alle imprese, che il lavoro temporaneo deve essere usato solo quando ce n’è davvero bisogno, vale a dire come un periodo di prova per il lavoratore, da assegnare in fasi di espansione della domanda dei prodotti dell’impresa, ma da confermare in via permanente quando si accerti che la domanda è aumentata in modo stabile. Il lavoro temporaneo non deve essere in alcun caso considerato un sostituto del lavoro permanente. Come fare ad ottenere questo obiettivo? Credo che possa essere utile regolamentare meglio le diverse forme di lavoro temporaneo esistenti, ponendo vincoli al loro abuso da parte delle imprese. È difficile qui considerare tutti i possibili interventi. Le direzioni però sono chiare. In primo luogo, occorre estendere i diritti dei lavoratori temporanei, mettendoli sullo stesso piano di quelli permanenti, come prevedeva anche Marco Biagi nel Libro Bianco, ma non è stato mai realizzato. In questi giorni, si parla, ad esempio, di garantire la Cassa Integrazione anche ai lavoratori temporanei. Va, poi, favorita la stabilità occupazionale, se non è più possibile garantire quella del posto di lavoro, obbligando anche le imprese a fare formazione nel caso dei lavoratori più giovani. Il contratto di apprendistato può essere usato in questo caso.
È importante convincere le imprese a consentire la formazione in aula accanto a quella on-the-job. I due tipi di formazione su cui è fondato, ad esempio, il contratto di apprendistato hanno una funzione diversa. La componente on-the-job accresce la produttività a breve del lavoratore, generando guadagni a favore dei lavoratori e / o delle imprese. Si tratta di una funzione che definirei “privatistica” e quindi va lasciata eminentemente alle parti e al mercato che attraverso i salari decidono quale parte del guadagno di produttività deve essere riconosciuto al lavoratore e quale parte all’impresa. La formazione in aula, invece, accresce l’occupabilità a vantaggio del giovane, ma anche della società nel suo complesso, poiché il giovane che trova più facilmente lavoro quando lo perde attinge meno alle risorse pubbliche. Si tratta di una funzione che definirei “pubblicistica”. Per questo, lo stato e di recente le regioni, che per la nuova legge devono occuparsi a tutti gli effet...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Prefazione
  5. Indice
  6. Elenco cronologico degli interventi
  7. Parte I. Disoccupazione giovanile e transizioni scuola-lavoro
  8. Parte II. Le donne nel mercato del lavoro giovanile
  9. Parte III. Donne, religione e mercato del lavoro
  10. Parte IV. Il Fuoricorsismo
  11. Parte V. L’overeducation
  12. Parte VI. Le politiche per l’occupazione giovanile
  13. Parte VII. Lo European Youth Guarantee
  14. Parte VIII. I centri per l’impiego fra pubblico e privato