SCRITTORI ITALIANI
Stefano Pierini La pelle
Franco è un uomo semplice, timido, con qualche problema nell’approcciare le donne, è impiegato nella pubblica amministrazione e di questi tempi... Mafalda, non è proprio uno schianto, fa lavori umili, lava pavimenti e cerca... cerca.
Si sono incontrati con amici comuni e sono andati tutti al cinema. Per caso Franco era nella poltrona vicina a quella di Mafalda. L’aria era secca e soffriva di mal di gola e cercando una caramella nella tasca dei pantaloni nel tirarla fuori gli era caduta. Con la mano si era chinato e aveva , per errore!!, toccato la gamba di lei!! Mafalda aveva trasalito. Rimasta immobile, pregustava ulteriori sensazioni. “Mi scusi signorina..con questo buio! Cercavo la mia caramella” disse l’impacciato Franco. Mafalda , pur delusa, abbozzò “Di nulla... mi chiamo Mafalda e sono amica di Sergio” e aveva allungato la mano per stringere amicizia. “Io Franco e sono anch’io amico di Sergio... E’ un gran simpaticone Sergio” aggiunse Mafalda... SSSilenzio!! Si sentì un urlo dalle file accanto e lei sibilò al suo orecchio “Ci vediamo all’uscita”.
All’uscita Mafalda nel salutare la compagnia tenne per ultimo Franco a cui rivolse uno sguardo intenso, ma Franco aveva poca dimestichezza con gli sguardi femminili. Mafalda allora disse...” S’è fatto tardi, a quest’ora la città fa paura, perché non mi accompagna a casa e beviamo qualcosa eh? Che ne dice?”. Gli amici che qualcosa avevano percepito si erano dileguati e Franco , un po’ titubante, acconsentì. “Va bene ma solo un goccino”.
Mafalda ribolliva, non era male, posto fisso, timido... quello era il meno anzi, avrebbe guidato lei alla recherche du (du... cosa?). Arrivarono dopo circa 20 minuti di buon passo. Salirono al 3 piano di un palazzo di 6 piani piuttosto anonimo. Entrarono, piccolo appartamento, affitto sempre più gravoso e qualcosa le davano i genitori. “Accomodati sul divano e prenditi un amaro” e Mafalda si andò a cambiare. Franco non era un bevitore , vide qualche bottiglia, lesse “Rosso Antico- Buton” caspita!, l’ultima volta l’aveva visto 20 anni fa e infatti la data sul tappo riportava,si leggeva poco, ma sembrava un ‘85. Curiosità ma era meglio astenersi e un anonimo “Amaro del finanziere” pur non entusiasmandolo, avrebbe evitato rischi alimentari. Si sedette, il divano era un po’ consumato, lungo quasi 2 metri. Mafalda ritardava, cercò di posizionarsi più comodamente appoggiando le spalle. Dopo pochi secondi sentì all’orecchio un qualcosa di umido ma fu un attimo. Le labbra di Mafalda, umide e bramose sembravano che volessero entrargli nei vari padiglioni auricolari. Un leggero solletichio gli percorse il corpo tale che affiorò un evidente sorriso dal suo viso. Per Mafalda fu il segnale e gli piombò addosso. Indossava una vestaglia senza reggiseno e cominciò a stringerlo. La sua bocca cercava la sua che però sembrava volesse parlare più che baciare e allora anche lei cominciò a parlare “Ti voglio... toccami... toccami” . Franco però sentì qualcosa che le diede fastidio e cercando di placarla pronunciò: “Ti vorrei spalmare...” Mafalda a quelle parole non resistette “Sì... sì... dai.” . Franco più rilassato aggiunse” Vorrei spalmarti un po’di Leocrema... sulle mani!!”.
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Le rime
Una tastiera come ultima speranza professionale, sempre queste rime nella mia testa, tacete, almeno nel dì di festa! ma niente.
Scrivo il contesto? Il cielo in una stanza! ma non è originale, un titolo di canzone, non so neanche chi l'ha scritta. Mi ricordo di Mina, la divina, ancora!
La mente non è mai doma e il mio tentativo di ritornar sulle parole consapevoli è come quello della coda di una vacca, d'estate, quando in una stalla piena di puzza, scaccia, senza gran patema, le mosche.
Invece no! Io voglio scrivere una storia, da imparare a memoria, ma che c'entra! Semmai va bene per una poesia. Vedi sei tutto sconclusionato, stai buono per favore, sarai un gran intelletto ma ora sei quasi maledetto.
L'editore vuole un racconto. Io devo trovare la calma.
Dalla finestra vedo che stanno modificando il mio giardino, fintanto che faceva freddo se ne fregavano, ora con il sole, tutti fuori: piantiamo questo, togliamo quello e io qui con queste frasi tremolanti che sembrano un motore ingolfato di un diesel invecchiato (va bene, così rima ti faccio contenta e chissà se mi lasci).
Se mi lasci non vale... ma allora è un tormento questa è un'altra canzone e io non canto quasi mai , sento solo telegiornali, talk show, Mentana in corpore-sana, ma oddio è un incubo. Jacopo Ortis si incatenava ad una sedia, beato lui, non è la voglia di scrivere che mi manca ma sono le parole che vogliono affiancarsi, amoreggiare, sfidarsi e mi provocano.
Si spogliano dei loro caratteri e nude ballano di fronte; vedi noi ti dominiamo, tu sei solo un dito che preme, noi siamo le sirene.
Allora vorreste dire che io non ho la mia cultura? Vi faccio vedere io se vi batto, proprio così vi batto sopra con rabbia e silenzio.
Solo un chiacchiericcio di merli e passeri mi ricordano il giardino. Ormai sono spettatore anche qui, ma ora è questa tastiera che chiama.
L'editore, mi viene in mente Valentino Bompiani che in tempi dove c'era pure la censura, riusciva a volte ad ottenere sulle sue collane editoriali, il beneplacito di Pavolini, Ministro della Cultura Popolare, che seppur fascista indomito sapeva scrivere e capire l'arte. Ecco allora che ripenso a Cesare Pavese, e a quando poco più che dodicenne cominciai a leggere il suo romanzo, “La luna e i falò” e sognavo di diventar scrittore e come nell'indagar le stelle e i blasfemi oroscopi, intravedevo i miei onori come un omaggio ai suoi tesori letterari, per un banale accostamento: lui era nato a Santo Stefano Belbo. Stefano, il mio onomastico, un giorno speciale, il protomartire cristiano.
Ci voleva questo orgoglio per azzittare loro, le parole ironiche, ormai in fuga, incapaci di intromettersi su temi come la guerra, il fascismo, i grandi del neorealismo.
Ho vinto! Forse... ma non son tanto convinto.
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Una biblioteca alle spalle
Un libro ti salva la vita? No il titolo non va, mi richiama troppo la pubblicità, ma ha un senso dare tutto questo valore al libro, alla lettura, quando poi senti sui media che siamo sempre agli ultimi posti nel leggere libri, quotidiani, ecc..
In ogni intervista televisiva di un personaggio (politico, culturale, scientifico) appare una ricca libreria alle sue spalle. I libri dietro di te, come i guardia spalle, ti difendono, li comandi, non devono invadere troppo la tua vita, ma se li esponi quando serve, contano, hai voglia se contano!
Insomma danno forza, status. Sono anch'essi una selezione. Infatti compri a pochi euro racconti dell'ottocento di autori noti per la presenza in antologie scolastiche, novelle che trovi sul web, classici che non riesci a contestualizzare ma che sono ricchi di profondità del vivere. Cammino portando con me i libri e questi hanno una loro sfacciataggine: il titolo di copertina, il numero di pagine, i colori, le immagini.
Dove le metto 500 pagine? Oltre il logorio mentale, il mio intelletto è minacciato dalla senescenza (mi fermo qui, grazie), queste moli impediscono che il saccente, entri in una piccola borsa, magari rigida che mi aiuta a sentirmi un colto disoccupato di paese! “Buongiorno dottore, come sta?”.
“Ciao Franco, sempre di fretta eh! Quando hai tempo mi vieni a sistemare il rubinetto che gocciola sempre di più?”
“Certo, dottore, però non subito!”
“Va bene, quando è possibile”.
Le 500 pagine in questo preciso istante si fanno pesanti, le parole scritte con disinvoltura, sembrano ora cartelli stradali che indicano dossi in arrivo ma tu ti trovi in salita ora e senti che c'è bisogno di un'ulteriore forza per reagire.
Poi la copertina, rigida, certo, mi aiuta a che stia diritto, lui, il libro, mentre tu devi stare seduto, curvo e quando ti distacchi da lui hai sempre una certa paura della tua cartilagine (guarda un po' che la parola cart...) un'invadenza non vi pare? E quindi il break di lettura, può contenere forti incognite posturali di genere letterario giallo!
La copertina, il titolo. Qualche editore ritiene, sicuramente a ragione, che l'occhio vuole per primo percepire mondi sognati,come l'“orgasmo” generato dall'apriscatole (parola oggi non più domestica ma evocativa di trasformazioni inimmaginabili) di barattoli di pomodorini “pachino”, biologici, puri, non trattati. Allora porti a passeggio il libro ma ci ragioni, no la copertina è meglio che non si veda, sai magari ti guardano e vedono e pensano. Che ne sa la gente di Saffo se non quello che è più immediato. Il popolo ragiona con la pancia, io son magro, con la cul...