Week-end in campagna
Un venerdì pomeriggio vidi arrivare, mentre stavo giocando a pallone all'oratorio, mia madre. Poche parole per dire che dovevo urgentemente venire via perché la zia Nella si era aggravata e lei, quindi doveva partire subito per assisterla. Questa sorella rappresentò per noi un punto fermo, l'unica persona che non le fece mancare l’affetto, aiuti concreti e la solidarietà in momenti difficili di un dopoguerra crudele, che aveva distrutto non solo una realtà materiale ma anche imbarbarito i rapporti familiari e personali. Mia madre proveniva da una famiglia numerosissima di contadini e si capisce come l'ignoranza e la grettezza non potevano permettere di concepire che una donna vedova potesse avere avuto un figlio fuori da un rapporto coniugale e, fatto ancor più grave, si fosse ostinata a volerselo tenere contro il loro consiglio unanime di lasciarmi in un orfanotrofio. Questo il verdetto di un “tam tam” che si era diffuso quando nelle occasioni festive gli altri parenti si erano riuniti e ne avevano sfacciatamente parlato in sua assenza. Ricordo ancora nitidamente alcune visite al Poggio Imperiale, come l’unico appuntamento continuativo ritagliato in un’ottica familiare, con la famiglia della zia e quel cammino a piedi sulla passerella in legno del Ponte alle Grazie, il tragitto per la costa Scarpuccia e la costa San Giorgio fino a Fontana e Via S. Leonardo.
Sotto casa, incontrai mio cugino seduto su una Vespa e, come varcai il portone dello stabile, la mise in moto.
Mia madre scrisse alcune cose per mia sorella e mi fece delle raccomandazioni verbali: “Fai il bagno e domani mattina, subito dopo colazione, vieni dalla zia. Qui c'è il mangiare pronto. Ti lascio i soldi per il giornalino, tieni! ".
Un paio di baci, un abbraccio e uscì con due borse. Dalla finestra la vidi montare sullo scooter prima che sparisse in un attimo. Rimasi in casa da solo e mi misi a leggere un libro di Salgari, in attesa che arrivasse mia sorella.
Quando essa tornò dal lavoro la informai di tutto. Entrambi andammo a letto presto per svegliarci in orario. Non era ancora l'alba che ero già nella tinozza dopo che mia sorella aveva riscaldato un pentolone d'acqua. Non amavo fare il bagno con lei, perché dopo mi riempiva sempre di borotalco. Quel giorno mi pettinò in maniera che non mi piacque e mi impomatò di brillantina. Premurosa, mi accompagnò alla fermata del tram e non trovando in edicola il numero nuovo del Corrierino dei Piccoli, mi accontentai di rileggere un fumetto di Mandrake che mi ero portato dietro. Lei comprò Grand' Hotel e Sogno.
Presi il tram numero 11 che arrivò di lì a poco.
- Scendi a Fontana e prendi via S. Leonardo perché è la via più breve- mi consigliò mentre ero sul predellino- glielo dica lei quando è a Fontana- proseguì parlando con il conducente.
- Non dubiti signorina, ci penso io- rispose.
Mi accomodai per fare il biglietto ridotto mentre il controllore, salito insieme a me, stava punzonandone uno a un viaggiatore adulto.
Leggere e viaggiare da solo in tram mi piaceva e tenevo conto delle solite raccomandazioni di mia madre di non parlare con gli estranei. Purtroppo quella mattina, appena sceso il ponte del Pino, alla prima curva uno scintillio e delle imprecazioni del conduttore precedettero la fermata del tram. L'uomo si affacciò al finestrino e guardò in alto.
- È uscita la puleggia, scendi un attimo che rimettiamo il contatto- disse al bigliettaio
- È già la seconda volta che succede stamani, bisogna segnalarlo-
- Dai, dai, per piacere; tira giù! A segnalare ci pensiamo dopo- insisté innervosito il guidatore.
- Vado bene?- chiese il bigliettaio con la borsetta di cuoio che penzolava dalla cintura
- Allenta, piano, piano… vai, forza, lascia!- urlò il conduttore.
Ancora un crepitio di scintille e dei bagliori sprigionati dalla linea della corrente elettrica e infine la puleggia rientrò nel suo alloggiamento.
Il tram ripartì. Ci fu chi approfittò per salire fuori fermata e io che avevo osservato interessato il ripristino, ricominciai le mie letture mentre il bigliettaio tirò fuori dei moduli sui quali trascrisse dei numeri, dopo aver controllato le serie dei biglietti. Vicino a me due donne parlavano sottovoce e io con un occhio guardavo il fumetto ma con le orecchie ero interessato a sentire i loro discorsi, perché sono sempre stata una persona curiosa, espressi con un bisbiglio a volte incomprensibile. Una di esse aveva un messale in mano. Parlava della Messa in Duomo e a un certo punto argomentò:
- Hai visto quel bambino che viaggia da solo?-
- Che roba! Quella che l'ha accompagnato deve essere la sorella- rispose l'altra,
- Hai notato che giornali legge?-
- Roba da serve. Che tempi! Dove andremo a finire- concluse lanciandomi un'occhiata.
Io tacqui perché non volevo disobbedire a quello che mi aveva raccomandato mia madre.
Quando il tram entrò in piazza Donatello, le donne si alzarono per scendere alla prossima fermata e una delle due, con un sorriso antipatico, mi chiese perché viaggiavo da solo. Risposi che “mia madre mi ha detto di non parlare con estranei e mia sorella non è una serva perché studia per prendere un diploma di steno-dattilografa”. Devo essere stato buffo nel mio atteggiamento perché il bigliettaio sorrise mentre le donne stavano scendendo. Il tram continuò ancora a lungo nella sua marcia fino a che sentii il conduttore dire:
- Bambino, la prossima fermata è la tua-.
Una volta sceso mi incamminai verso il “borghetto” come veniva chiamato un insediamento abitativo composto da piccoli edifici con quasi tutte le finestre rivolte verso gli spiazzi a comune, al riparo del traffico esiguo perché si poteva solo accedere da un cancello che dava sulla strada.
Nel mio tragitto vidi solo alcune biciclette e una Fiat Topolino A grigia che procedeva quasi a passo d'uomo nella strada stretta. La giornata si preannunciava serena.
Come arrivai sull'aia, subito i due cani da caccia dello zio cominciarono, abbaiando, a farmi le feste e ad annusarmi insistentemente. Intralciarono, sormontandosi, più volte il mio cammino e rischiai di cadere. Il segugio, quasi scheletrico, dal manto fulvo a pelo raso con orecchie ampie e cadenti e un viso affilato, aveva un bubbolo che tintinnava incessantemente. L'altro più grosso era un pointer dal manto bianco e nero maculato.
Incontrai mia madre quando uscì per stendere il bucato.
Entrai in casa insieme a lei dopo che con un bastone aveva allontanati i cani.
-Non devono entrare in casa perché sono pieni di pulci…non fanno altro che grattarsi- sbottò dopo aver battuto un piede per terra per intimorirli.
In cucina dilatai le narici e sentì un profumo di pane. Sul tavolo c'era il fiasco del vino, chiuso con un tappo metallico, l'ampolla dell'olio, un filone di pane, un lungo coltello e tante mosche che si rincorrevano e svolazzavano da lì alle filze di pomodori appesi. Sulla madia una voluminosa radio, incastonata dentro un'armatura di legno massiccio, diffondeva il trillo prolungato dell'usignolo preludio delle notizie. Il fuoco, nonostante la stagione calda, languiva mostrando di tanto in tanto qualche bagliore. Domandai perché era stato attizzato e la mamma mi rispose “per abbrustolire il pane”.
Lei mi fece un cenno per ricordarmi di andare a salutare la zia. Appena entrai in camera lei si voltò e mi sorrise. I suoi occhi, seppur cerchiati dalla sofferenza, non avevano smarrito la serenità. Si muoveva con lentezza e respirava con difficoltà. Mi avvicinai al letto metallico sul cui frontone era appeso un rosario con un crocifisso. Le detti un bacio sulla fronte e le strinsi la mano. Con un filo di voce mi chiese della scuola e le dissi che ero stato promosso in terza. Lei prese un fazzoletto ricamato da sotto il guanciale e si asciugò gli occhi.
- Bravo, bravo bambino... studia- mi mormorò accennando a una carezza e dopo chiamò mia madre. Si espresse con un filo di voce di prendere il portamonete e di darmi cento lire come premio.
Ringraziai dandole ancora un bacio sulla fronte e in cucina rimirai dieci pezzi nuovi di zecca con l'immagine di un aratro e la spiga, prima di consegnarli, per paura di perderli, a mia madre che mi chiese se avevo fatto colazione. Nonostante la mia conferma prese ad affettare il filone di pane e mise due fette ad abbrustolire su una gratella. In un orecchio mi comunicò che sarebbe rimasta a dormire lì perché la zia si era aggravata.
- Posso restare anch'io?- chiesi
- Perché vuoi rimanere?- rispose lei perplessa
- La domenica i miei amici non ci sono perché vanno con i loro genitori e a casa da solo mi annoio-
- C'è tua sorella, non sei solo- ribadì mia madre
- Si ma lei sta sempre a studiare la domenica- insistei
- Ora vediamo come vanno le cose altrimenti prendi il tram nel tardo pomeriggio…parla piano capito?- mormorò.
Prese le due fette, vi stropicciò un capo d'aglio e dopo aver sparso sopra delle gocce d'olio, le strisciò l'una contro l'altra.
- Tieni e vai fuori a mangiare. Quando arriverà il dottore, vai a chiamare subito lo zio nel campo- .
Appena uscito di cucina mi sedei sullo scalino, ma fui subito assediato dai cani perché pretendevano qualche minuzzolo e per ottenerlo facevano dei balzi prodigiosi, specialmente il segugio che sembrava spiritato. Mi alzai e tenni alte le fette fino a che non le finii.
Solo allora cominciarono a giocare tra loro sdraiandosi, rovesciandosi, scavalcandosi e lanciando qualche guaito quando il gioco diventava pesante.
Mi sedei su un cippo di quercia per rileggere il mio fumetto. Arrivò anche Andrea, un ragazzo con il quale molte volte avevo giocato a palline e mi chiese se glielo prestavo una volta finito di leggere.
- Te lo do, ma me lo devi riportare e non fare come l'ultima volta, con quello di Flash Gordon, che non me lo hai restituito - risposi seccato mentre una vecchia cocker dai capezzoli pronunciati e sformati si avvicinò a lui.
Con andatura lenta cercò di insinuarsi tra me, seduto sul cippo, e le gambe di Andrea. Malferma sulle zampe posteriori, cercò di posare invano il muso sulle mie ginocchia ricevendo una carezza sul pelo fulvo e opaco. Subito s'intromisero i giovani cani dello zio. Irruenti, cominciarono a girarle intorno. Improvvisamente un sordo latrato fece cambiare anche il suo sguardo che, da supplichevole e stanco, diventò cattivo e mostrò quello che restava dei suoi denti giallognoli. Irrigidita, amplificò il timbro di questo suono cupo al punto di dissuadere i giovani cuccioli. Andrea si scusò dicendo che era invecchiata; addirittura insinuò che lei avesse quasi cento anni perché gli anni dei cani valgono sette volte quelli degli uomini.
- Sei sicuro?- gli chiesi stupito
- Me lo ha detto uno dal veterinario perché l'abbiamo portata a farle controllare il pelo... vedi com'è chiazzata? Avevamo paura che avesse la tigna e invece è vecchiaia... bisogna farle un pastone particolare- .
Intuendo che si parlava di lei, ricominciò a scodinzolare lentamente e dopo un fischio del padre di Andrea riprese la via di casa.
Continuai a leggere fino a quando sentii il rumore di uno scooter. Immediatamente spuntò dall'angolo del piazzale interno e oltrepassandoci entrò dentro l'aia. Era il dottore con il suo Mosquito rosso e la borsa di pelle fissata sul portabagagli. Mia madre gli si fece incontro dandogli la mano dopo essersela pulita con il grembiule.
- Come sta la signora Nella?- chiese subito il medico.
Lei rispose con una smorfia e scosse la testa facendo capire che la situazione era grave.
- Venga dottore- bisbigliò visibilmente preoccupata- e tu vai a chiamare lo zio; c'hai tanto tempo per leggere il giornalino- mi ordinò.
Lasciai l'amico che si sedé sul cippo, il fumetto, e sfilai una corsa verso il campo. Lo zio era là, piegato che falciava con alacrità con un cappello in testa.
- Zio, zio è arrivato il dottore- gridai.
- Quando sei arrivato Nini?- mi chiese.
- Da poco- risposi ansimante
- Dammi un bacio- chiese porgendomi la guancia.
- Certo!- .
Lo zio appoggiò l'attrezzo a un tralcio di vite e la fiaschetta di vino per terra dopo aver bevuto un sorso; insieme ritornammo verso casa.
Quando vi arrivammo, il dottore era seduto al tavolo e parlava con mia madre. Lo zio appena lo vide, si tolse il cappello e chiese notizie di sua moglie. Venne informato della situazione e quando fece per andare nella stanza venne trattenuto.
- Aspetti un attimo le ho messo le mignatte nella zona del fegato. Tra poco si staccheranno da sole e potrà entrare...