La psicoterapia breve focale
delle dipendenze affettive
Ciò che porta alla soluzione di un problema psicologico
non è la ricerca delle cause né l'interpretazione delle conseguenze,
ma l'interruzione del legame che unisce
le cause e le conseguenze in un circolo vizioso
che rende sempre attuale il passato, nel presente e nel futuro.
Carla pensava che Giacomo fosse l’uomo della sua vita, la soluzione a un matrimonio sbagliato, la salvezza giunta inattesa da un incontro casuale. Quell’uomo enigmatico e di successo l’avrebbe riscattata da anni di infelicità coniugale, perciò Carla superò, impulsiva e irruenta come non era mai stata prima, i propri limiti morali, le proprie incertezze, persino i tabù di un’educazione sessuale rigida e arida.
Giacomo prese tutto. Non ci fu neppure bisogno di chiedere, perché Carla non gli diede il tempo di farlo. Gli si offrì completamente, precorse ogni volta i bisogni di lui, ne divenne totalmente succube. E quando la depressione la inchiodò all’evidenza di un amore malato, di una dipendenza affettiva, era troppo tardi per uscirne da sola. Tuttavia, l’esigenza implicita con cui entrò in terapia fu quella di alleviare i sintomi non per liberarsi di Giacomo, ma per continuare a subirlo e subirlo ancora. Così, quando cominciò a star meglio, nonostante avesse oramai intuito i meccanismi della dipendenza patologica da lui e fosse arrivata a sviluppare l’idea che la guarigione potesse determinarsi solo con la chiusura della storia, Carla approfittò delle energie ritrovate e del suo (transitorio) equilibrio per vedere Giacomo altre volte. Naturalmente ritrovò un uomo infantile ed egoista, un guardiano freddo, un inquisitore e riprese a soffrire atrocemente.
C’è un limite all’efficacia della psicoterapia di ogni tipo di dipendenza patologica, comprese le dipendenza affettive e relazionali. Si tratta del limite della volontà della persona di affrancarsi realmente e radicalmente dall’oggetto della dipendenza, di attuare un abbandono fermo e consapevole dei circoli viziosi della relazione disfunzionale. Se la persona rifiuta di affrontare un periodo di astinenza finalizzata al distacco da chi dipende, il suo percorso di cambiamento non può che arrestarsi e gradualmente regredire verso un sintomo, talvolta ancora più strutturato e grave del precedente. Così come nella cura della tossicodipendenza occorre che il paziente rinunci attivamente alla sostanza perché in una fase successiva le intuizioni sviluppate in psicoterapia si consolidino in consapevolezze e determino un cambiamento stabile, nella terapia della dipendenza affettiva è necessario che la persona riconosca la necessità di un periodo di “disintossicazione”, di astinenza mediante allontanamento dal partner per proseguire la psicoterapia e concluderla con successo.
Nella terapia breve delle dipendenze relazionali ho individuato un percorso di sette passaggi o fasi successive, fasi che occorre affrontare in un ordine determinato perché l’intervento raggiunga pienamente il suo obiettivo: non solo il depotenziamento e l’annullamento radicale della sintomatologia specifica, ma anche la ricostruzione di un’identità in grado di agire al di fuori e oltre la relazione di dipendenza patologica.
Il percorso è dunque articolato in sei momenti che descriverò nei prossimi paragrafi:
| | Fase 0. Prima consulenza |
| | Fase 1. Fase intuitiva o di insight |
| | Fase 2. Fase di latenza |
| | Fase 3. Fase attuativa o di astinenza attiva |
| | Fase 4. Fase esperienziale emotiva correttiva |
| | Fase 5. Fase della consapevolezza |
| | Fase 6. Consolidamento. |
Gli obiettivi della psicoterapia
Anche se è impossibile generalizzare gli obietti e i tempi del percorso psicologico o standardizzarli, perché si incorrerebbe nel rischio di depersonalizzare la psicoterapia e la relazione terapeutica si può ricondurre la varietà dei casi, teoricamente infinita a sette grandi aree-obiettivo utili a focalizzare, insieme al paziente, le finalità a breve e medio termine della psicoterapia.
Queste aree-obiettivo individuano gli ambiti in cui, spesso inconsapevolmente, la persona è carente o inadeguata sia a causa di vissuti pregressi sia nel contesto e nelle sue relazioni attuali con se stessa, con gli altri e col mondo.
Le chiamo “le sette grandi A”, perché cominciano tutte con la prima lettera dell’alfabeto:
Autonomia, riguarda la capacità di prendere decisioni in linea con i propri bisogni affettivi e di coltivare un senso di integrità e d'indipendenza rispetto al giudizio e all’influenza altrui.
Autostima, può definirsi sinteticamente come l’attitudine a valorizzare se stessi e a integrare le “parti buone” con le “parti cattive” di sé in un sentimento positivo di auto-accettazione e di complessiva serenità.
Auto-realizzazione, ha a che fare con la tendenza della persona a utilizzare le proprie risorse per mettere a frutto, anche sul piano lavorativo, le sue attitudini e i suoi talenti.
Auto-consapevolezza, consiste nella capacità di “guardarsi dentro in relazioni al fuori”, ovvero nel saper identificare il proprio funzionamento emotivo, cognitivo e relazionale e riconoscere, in modo flessibile e dinamico, le conseguenze dei propri comportamenti e della qualità della propria comunicazione sugli altri e viceversa.
Assertività, individua l’abilità di comunicare in modo efficace e costruttivo, senza aggressività e senza remissività.
Apertura, identifica la tendenza a confrontarsi con autenticità con gli altri, la disponibilità all’amicizia e alle buone relazioni, la volontà, la curiosità e la fiducia verso il prossimo.
Affettività, è l’area in cui convergono il passato e il presente delle relazioni significative nella vita della persona e che contiene, spesso al di là della sua consapevolezza, gli schemi d’interazione disfunzionali che soggiacciono al problema portato in psicoterapia.
Fase 0. Prima consulenza
Il primo incontro col terapeuta è generalmente carico di attese e di ansietà. Indipendentemente dal problema per il quale chiede la consulenza, la persona giunge in studio dopo lunghe riflessioni e non di rado dopo aver tentato in altri modi di affrontare il proprio disagio. Il sentimento che meglio descrive l’approccio della persona a una prima seduta di psicoterapia, soprattutto se vive una dipendenza affettiva è “ambivalenza”; desiderio di aprirsi e bisogno di nascondersi, speranza nel cambiamento e sfiducia nella terapia, esigenza di liberarsi e timore di farlo si alternano in una danza interiore che confonde e che risulta estenuante.
Il terapeuta strategico considera la prima seduta un intervento di consulenza a tutti gli effetti e si comporta come se fosse l’unica, perciò si preoccupa di intervenire sul problema (con un’indicazione, una lettura della dinamica attraverso cui il disturbo si mantiene, l’ipotesi di un piano terapeutico ecc.) già entro la fine del colloquio. Per riuscire in un’impresa così complessa, lo psicoterapeuta segue la persona nella narrazione che fa di sé, ascolta mettendo se stesso a tacere, accoglie lacrime e indecisioni, domanda allo scopo di ascoltare ancor più profondamente e non certo per giudicare l’individuo in base a qualche teoria preconfezionata. Il paziente che sino a quel momento aveva “ballato da solo” in un mondo confuso di paure e di aspetti inconfessabili della propria vita percepisce la sensazione inedita che qualcuno, il terapeuta, danzi accanto a lui. È il primo decisivo passo verso la soluzione del problema.
La richiesta d’aiuto nel caso di dipendenza affettiva non è mai univoca e raramente è diretta. La persona richiede la consulenza perché è pervasa da un disagio divenuto intollerabile, ma è piuttosto infrequente che ne riconosca esplicitamente i motivi e che garantisca totale disponibilità al cambiamento. Così, entro la seduta 0, occorre che il terapeuta supporti la persona nell’esplicitazione del problema e nella definizione di obiettivi da raggiungere nel tempo più breve possibile (generalmente in un periodo compreso tra i 10-20 incontri).
Alla fine del primo incontro i pazienti riportano con frequenza un sentimento misto di “leggerezza” e di “paura”. Da una parte sentono di poter davvero spezzare le proprie catene con l’aiuto della psicoterapia, dall’altra già immaginano gli ostacoli nascosti nel cambiamento. In alcuni casi prefigurano le reazioni repressive violente del/della partner alla loro “guarigione”, in altri si vedono deprivati della “droga d’amore”, del soggetto da cui dipendono ed è una cosa che in prima seduta non piace loro affatto.
Fase 1. Fase intuitiva
La prima fase del processo terapeutico si concentra su come “funziona” il problema. Come si manifesta? Quali sintomi lo caratterizzano? Quali conseguenze ha sulla quotidianità della persona? Quali pensieri, emozioni e comportamenti lo alimentano? Quali lo inibiscono?
Più che compiere una ricognizione storica sulla relazione e sul vissuto del paziente, si lavora sulla configurazione attuale della sua dipendenza. Infatti, incoraggiare il paziente a compiere una minuziosa ricerca “archeologica” su di sé, sui propri genitori e sulla propria infanzia può depistarlo dalla ricerca di una soluzione concreta e operativa al disagio, oltre che prolungare notevolmente i tempi di trattamento.
Dal punto di vista della psicoterapia strategica, problemi e soluzioni si coniugano al tempo presente e non c’è alcuna ragione valida per ritenere che la chiave per risolvere un disagio che perturba la psiche nel “qui ed ora” si trovi in un remoto “là e allora”, come uno shock subito da bambini o lontani eventi traumatici. Bisogna, inoltre, considerare che spostare l’attenzione dal presente disfunzionale dell’attuale relazione a ipotetici altri “più profondi” conflitti con figure del passato può divenire per il paziente un modo perfetto per evitare di analizzare l’esperienza in cui più avverte disagio, quella attuale appunto, e così rimandare ad oltranza l’azione e il cambiamento.
I soggetti più dipendenti idealizzano a tal punto l’oggetto d’amore da sollevarlo di ogni responsabilità per la sofferenza che patiscono nella relazione. L’altro è immaginato come “tutto buono”, ogni addebito va a carico del paziente che, soprattutto nelle prime sedute, tende a recitare un rosario infinito di accuse a se stesso. “Forse dovevo dire così …”, “Forse ho sbagliato …”, “Forse sono troppo esigente” e così via. Incolpando se stessa di tutto, la persona dipendente mantiene un’illusione di controllo sulla relazione: infatti, se il “fallimento del legame” è imputabile solo a se stessa, basterà cambiare per avere il rapporto amoroso che desidera. Questa logica all’apparenza consolatoria prelude, invece, un irrigidimento del quadro patologico. Ogni tentativo di riconquista sembra intensificare l’angoscia, il senso d’allarme perenne e di perpetua transitorietà che domina le relazioni di dipendenza patologica. Come si vedrà più avanti, la cosa più complessa nel trattamento delle dipendenze affettive è aiutare la persona a rendersi conto che per quanto possa cambiare, per quanto si sforzi di plasmarsi sulle esigenze del/della partner la situazione rimarrà tale e quale: un deserto emozionale dove si seminano invano candidi gigli.
Durante la prima fase della psicoterapia la persona comincia a intuire come funzioni la sua dipendenza e quali conseguenze abbia sulla propria vita e inizia a notare quanto le osservazioni che emergono seduta per seduta risultino esatte e “magicamente” predittive di quanto accade tra un incontro e il successivo.
Questa forma di intuizione o insight generalmente non ha la forza dirompente di una più solida consapevolezza - che si raggiungerà successivamente - ma, su un piano strategico, è bene che sia così: è la goccia che scava la roccia e spezza la montagna.
La funzione principale della fase dell’insight è quella di sostenere la persona nello sviluppo di un’attitudine in cui certamente è stata carente: l’intuizione, ovvero l’attitudine di “anticipare” in base a un processo inconscio l’agire e il sentire proprio e di sé in rapporto all’altro. Molte storie di dipendenza affettiva sembrano nascere e proseguire in un’escalation di disperazione e di patologia dal fatto che uno o entrambi i soggetti coinvolti abbiano messo a tacere se stessi e il proprio intuito pur di “vivere un amore”…
Fase 2. Fase di latenza
In questa fase del processo terapeutico generalmente i sintomi iniziali sono del tutt...